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2018-08-21
«Abusi su un minorenne». Sky pronta a cacciare la Argento da «X Factor»
Prima vittima, poi carnefice. Asia Argento, stando alle carte pubblicate ieri dal New York Times, avrebbe risarcito con 380.000 dollari un giovane dopo che questi l'ha accusata di molestie sessuali e aggressione. Jimmy Bennett, enfant prodige del cinema americano, e i suoi avvocati si sarebbero accordati con l'attrice per un episodio avvenuto a Los Angeles il 9 maggio 2013. All'epoca Bennet aveva 17 anni, uno meno di quanto serve in California per il consenso. La Argento, che allora aveva 37 anni, lo conosceva da tempo. Nel 2004 lo aveva diretto in Ingannevole è il cuore più di ogni cosa, film in cui Bennett interpretava un bambino maltrattato dalla madre tossica, Asia Argento, e abusato dai suoi fidanzati. La pellicola aveva avvicinato i due che, circa dieci anni più tardi, si sarebbero dati appuntamento al Ritz Carlton di Marina del Rey.
Bennett, cui un disturbo della vista avrebbe impedito di guidare, si sarebbe presentato alla riunione con un parente cui la Argento avrebbe poi intimato di andarsene. «(L'attrice) diede (a Bennett) degli alcolici e gli mostrò una serie di appunti. Poi, lo baciò, lo spinse sul letto, gli levò i pantaloni e gli praticò del sesso orale. Infine, si arrampicò sopra di lui e i due ebbero un rapporto sessuale. La Argento chiese a Bennett di scattare qualche foto», si legge nelle carte, supportate da alcune «prove» social.
Prima di ricevere Bennett, quel 9 maggio 2013, Asia Argento ha pubblicato su Instagram un selfie. «Aspettando il mio bambino perduto da tempo, il mio amore Jimmy Bennett. Sono in trepidazione #MarinadelRey Fumo sigarette come se non ci fosse una prossima settimana», ha scritto nella didascalia, rincarando la dose poche ore più tardi. «Il giorno più felice della mia vita, reunion con Jimmy Bennett», ha compulsato online dopo la presunta aggressione, annunciando - attraverso uno scatto dei loro volti vicini - che il ragazzo sarebbe stato parte del suo prossimo film.
Entrambe le foto, insieme a un terzo selfie, ritraente i due a petto nudo sul letto del Ritz Carlton, sarebbero state incluse dall'avvocato di Bennett, Gordon K. Sattro, tra i documenti presentati contro l'Argento. L'episodio avrebbe stordito il ragazzo e compromesso la sua salute mentale al punto da rovinargli la carriera.
Il Nyt sostiene che le prime avvisaglie del malessere si sarebbero avute proprio nella serata del 9 maggio 2013. «Mentre veniva portato a casa, (Bennett) cominciò a sentirsi estremamente confuso, mortificato e disgustato», anche se, l'8 giugno 2013, avrebbe scritto alla Argento un messaggio pacifico: «Mi manchi, mammina». In allegato, una foto di un braccialetto regalatogli dall'attrice.
Bennett si sarebbe deciso a vuotare il sacco solo nell'ottobre del 2017, quando i titoloni contro Harvey Weinstein e la marcia femminista della Argento lo avrebbero indispettito. «Vederla presentarsi come vittima di violenza sessuale era troppo da sopportare», così avrebbe chiesto un risarcimento di 3,5 milioni di dollari, atto a compensare «l'inflizione intenzionale di sofferenza emotiva, perdita di salario, aggressione e violenza sessuale». Le carte, ricevute dal Nyt tramite un'email criptata, parlano di ricadute «così traumatiche da aver ostacolato il lavoro e ridotto le entrate economiche del signor Bennett».
«Nei cinque anni precedenti all'incontro del 2013 con la Argento, aveva incassato oltre 2,7 milioni di dollari. Ma il suo reddito, da allora, è sceso a una media di 60.000 dollari l'anno», si legge sul Nyt, ligio nel riportare anche le lettere spedite alla Argento dai suoi avvocati.
Carrie Goldeberg, il legale dell'attrice, ha pattuito un risarcimento di 380.000 dollari e disposto che i primi 200.000 fossero pagati nell'aprile 2018, le avrebbe scritto augurandosi che nulla di simile ricapitasse. «Sei un'autrice potente e stimolante ed è triste che tu viva circondata di individui di merda», si legge sul New York Times, che spiega come parte dell'accordo abbia previsto la cessione dei selfie seminudi all'attrice.
La Argento, contatta dal giornale per fare luce sulla vicenda, non ha risposto. E così Bennett, al quale pur non è stata imposta alcuna riservatezza. La legge della California non consente accordi di non divulgazione e l'attrice, per coerenza con «i messaggi pubblici lanciati», avrebbe rifiutato di aggirarla. «A Bennett», ha scritto la Goldberg, «Non è però permesso di infastidirti per soldi, denigrarti o denunciarti». Cosa, quest'ultima, che ha fatto il Web.
Se Rose McGowan, figura di spicco del Me too, ha scritto: «L'ho conosciuta dieci mesi fa. A unirci, è stata la sofferenza dovuta alle aggressioni di Weinstein. Il mio cuore è a pezzi, continuerò il mio lavoro accanto alle vittime», sottolineando poi che «nessuno sa la verità. Sono sicura che molte cose ancora verranno fuori. Siate gentili», altrettanto non ha fatto Matteo Salvini. Il ministro dell'Interno ha avuto la sua rivalsa. «Questa è la signora che mi insultava ogni due minuti, e mi ha dato del razzista e della m…a? Mamma mia che tristezza», ha twittato il leader leghista.
La Argento è stata scelta come giudice di X Factor, e Twitter ha votato la sua interdizione. Per par condicio e correttezza morale. Licenziarla è possibile anche se X Factor inizierà il 6 settembre. Gilbert Rozon, in Francia, è stato fatto fuori da La France a un incroyable talent dopo che nove donne lo hanno accusato di molestie. Nelle puntate registrate dello show, firmato dalla stessa Fremantlemedia che produce X Factor, Rozon è stato cancellato grazie alla tecnologia. Sky Italia e Fremantlemedia Italia ieri hanno scritto un comunicato in cui hanno annunciato che «se quanto scrive il New York Times fosse confermato, questa vicenda sarebbe del tutto incompatibile con i principi etici e i valori di Sky e dunque - in pieno accordo con Fremantlemedia - non potremmo che prenderne atto e interrompere la collaborazione con Asia Argento».
Claudia Casiraghi
Una vita sempre al limite che mescola finzione e realtà
Pier Paolo Pasolini diceva di «scendere ogni sera all'inferno» (e aggiungeva: «Ma quando torno - se torno - ho visto altre cose, più cose»). Parlava delle sue immersioni nelle periferie, tra i ragazzi sottoproletari che tanto aveva amato e che poi, d'improvviso, gli erano parsi terribili, violenti, mostruosi. Oggi quella stessa discesa agli inferi va fatta non più tra i morti di fame, ma - direbbe Dagospia - tra i «morti di fama»: nei quartieri alti, tra intellettuali (veri, presunti e wannabe) e artisti (più o meno sedicenti e autoproclamati). Per trovare povere figure irrisolte, sofferenti, attorcigliate intorno a nodi di sofferenza, inflitta e subita. Pronte a odiare tutti, forse per non avere l'atroce imbarazzo di guardarsi dentro.
Proprio qui, in questa zona di sconforto (l'opposto di una «comfort zone»), troverete Asia Argento. Non serve un raffinato psicologo per sapere che, proprio negli insulti che rivolgiamo agli altri nei nostri momenti peggiori, siamo in realtà autobiografici: parliamo di noi, ci descriviamo in modo feroce, vogliamo farci del male.
Poche settimane fa, a Cannes, in una predica rabbiosa, Asia aveva gridato: «Nel 1997 sono stata stuprata da Harvey Weinstein qui a Cannes. Questo era il suo territorio di caccia. Weinstein non sarà mai più benvenuto qui. Vivrà in disgrazia, escluso dalla comunità che un tempo lo accoglieva e che ha nascosto i suoi crimini. E stasera, tra di voi, ci sono quelli che ancora devono essere ritenuti responsabili per i loro comportamenti. Sapete chi siete. Ma soprattutto noi sappiamo chi siete. E non vi permetteremo più di farla franca».
Direbbe lo psicologo: forse parlava di sé. Della stessa Asia che (secondo le accuse rese note ieri) nel 2013 aveva convocato nella sua stanza al Ritz Carlton di Marina del Rey, in California, il giovane Jimmy Bennett, gli aveva dato da bere alcolici, per poi togliergli i pantaloni, praticargli sesso orale, arrampicarsi su di lui e completare il rapporto sessuale. Lasciamo da parte Bennett, figura assai discutibile (un 17enne violentato?!?), ma concentriamoci su cosa scrisse Asia quella sera su Instagram: «Il giorno più felice della mia vita, reunion con Jimmy», che «sarà nel mio prossimo film». Provino ok, insomma: meglio di Weinstein.
Ma non si finisce di scendere nell'abisso, non basta uno psicologo solo, serve un'intera équipe. Cercando, viene fuori che dieci anni prima, quando Bennett di anni ne aveva solo 7, recitò insieme ad Asia in un altro film: faceva la parte del figlio di una prostituta, interpretata dalla stessa Argento. Ecco, saltando in avanti di dieci anni, Asia, sempre sui social, riferendosi alla sua attesa per Bennett in hotel, scrive: «Aspettando il mio figlio perduto da tempo, il mio amore Jimmy». E lui risponderà più tardi: «Miss you momma!». Capite che il caso è grave.
Ma il quadro è ancora più contorto, flagellazione e autoflagellazione come specchi perversi. Asia è anche una madre: di Anna Lou (avuta da Morgan) e di un ragazzo (Nicola Giovanni) avuto dal regista Michele Civetta. Ecco, cosa fa mamma Asia se vede in un ristorante un'altra madre, in questo caso la leader di Fdi Giorgia Meloni? Incredibilmente, la insulta in modo sguaiato: «La schiena lardosa della ricca e svergognata: fascista ritratta al pascolo».
Naturalmente, casca male, perché la Meloni risponde a tono: «Voglio dire a tutte le donne che hanno partorito da pochi mesi, e che per dimagrire non usano la cocaina, di non prendersela se qualche poveretta fa dell'ironia sulla loro forma fisica». Chissà perché, Asia non ha più polemizzato sul tema. Ma in quella triste circostanza, entra in campo in modo poco glorioso anche il terzo compagno della Argento, lo chef Anthony Bourdain, che accosta la Meloni a un «pitone che ingoia un'antilope». Ecco, accanto a questo Bourdain, Asia sembra aver trovato pace ed equilibrio: interviste più serene, dichiarazioni di amore eterno.
Poi, all'improvviso, come uno sparo nel buio, compaiono su un settimanale le foto di Asia abbracciata a un altro uomo, molto più giovane di Bourdain, 62 anni. A quanto pare, infatti, sempre a Cannes, terminato il comizio, Asia aveva adocchiato un giornalista belloccio, Hugo Clément, 28 anni. Le foto escono, inequivocabili. Pochi giorni dopo, e ovviamente non sappiamo perché, Bourdain si impicca. Sui social per Asia il massacro è feroce quanto inevitabile: un pandemonio di insulti. Ma lei rivendica il suo lutto inconsolabile.
Così inconsolabile che trascorrono appena 24 ore e Asia, jeans e maglietta, si ripresenta in pubblico per le audizioni di X Factor, di cui quest'anno è giudice con Manuel Agnelli, Fedez e Mara Maionchi. Si alza in piedi e saluta la folla: «Questi dovevano essere i tre giorni più difficili della mia vita, ma grazie a queste persone che sono qui accanto a me e grazie a voi sto sopravvivendo».
Il resto è cronaca di queste settimane: i comizi Me too, gli impegni con Laura Boldrini, e - sintetizzo con parole mie - il ricordo di quante persecuzioni abbiano subito le donne e quanto siano porci i maschi italiani. Fino a ieri, con le rivelazioni del New York Times.
Non siamo davvero nessuno per dare consigli. Però suggeriremmo ad Asia, se le fossimo amici, di sparire per un po', di lasciare X Factor, di cercare il silenzio. Ci guadagnerebbe lei. E, egoisticamente, ci guadagneremmo anche noi: qualche mese di pausa rispetto a questo spettacolo avvilente.
Daniele Capezzone
Scandali e bugie abbattono il Me too. Ma chi risarcirà gli uomini rovinati?
Due a zero. Se non fossimo alle prese con un argomento tremendo, con due facce entrambe drammatiche (le violenze reali subite dalle donne, le carriere di uomini stroncate in presenza di j'accuse i cui contorni talvolta si perdono tra comportamenti inappropriati, corteggiamento spinto, molestie e stupri, messi tutti su uno stesso piano), ci sarebbe da ricorrere al linguaggio sportivo per dire che la campagna Me too ha appena incassato - almeno per quanto riguarda personaggi italiani - il secondo gol. Sotto forma di autogol.
Alla fine di luglio era infatti arrivata la richiesta di archiviazione della Procura di Roma per le accuse di violenza sessuale nei confronti del regista Fausto Brizzi. Ieri è piombata come un meteorite la rivelazione su Asia Argento: la paladina impegnata a promuovere un movimento di presa di coscienza planetaria delle donne contro il maschio alfa predatore - l'uomo che, approfittando o meno di una sua posizione di potere, molesta, violenta o estorce favori sessuali - ha pagato, come transazione risarcitoria, un attore che l'ha accusata di aver approfittato di lui minorenne.
Nel frattempo, dall'inizio del Me too negli Usa di condanne, penali o civili, a carico di «maiali» veri o presunti ce n'è stata solo una, a carico del comico Bill Cosby, mentre l'archetipo della categoria, il porcellone per antonomasia Harvey Weinstein, è ancora sotto processo.
Al di là delle gogne mediatiche, delle denunce a mezzo stampa o tv senza uno straccio di controverifica, dei manifesti e degli appelli, fino a oggi - quando si è trattato di arrivare al dunque - gli atti ufficiali registrano uno stallo per le furiose erinni del sessualmente corretto.
Chissà se Asia Argento conosce l'espressione coniata dal filosofo e psicologo Wilhelm Wundt, «eterogenesi dei fini», quel fenomeno per cui, mentre si cerca di ottenere uno scopo, se ne consegue un altro. Diverso. O addirittura uguale e contrario.
Perché adesso perfino la brutalità degli atti da lei denunciati, e presunti fino a prova contraria, passerà in secondo piano rispetto al fatto che, mentre chiamava alle armi, lei sapeva di aver pagato per non incorrere nei rigori della giustizia proprio per molestie e violenze.
Così danno si è aggiunto a danno. Quello che lei avrebbe patito. Quello da lei causato a un diciassettenne.
Quello provocato alla causa del Me too (una delle fondatrici, Laura Moser, autrice della biografia dell'attrice Bette Davis, intuendone la portata potenzialmente devastante, l'ha scaricata su Twitter: «Asia Argento had absolutely nothing to do with #metoo», non ha assolutamente nulla a che fare con il movimento). Quello da lei inferto alla causa delle tante donne che, oggetto di soprusi, adesso si sentiranno opporre, con contorno di risatine, l'argomento: «Non sarai mica una vittima come Asia Argento?».
Quello sofferto da chi, uomo, è stato travolto dallo tsunami a tutti i livelli, privato e professionale, in qualche caso - come ha scritto La Verità lo scorso giugno, riprendendo un'inchiesta della rivista Time - perfino in presenza di «relazioni consensuali» (per capirci: qualche dirigente infoiato si è portato a letto una collega, o la segretaria, assolutamente consenzienti, ma le aziende, una volta risaputa la storia, per non veder rovinata la loro brand reputation hanno incentivato l'esodo).
Ricordate il maccartismo? Era quella corrente politica che, caratterizzata da un esasperato clima di sospetto e da atteggiamenti persecutori nei confronti di persone ritenute sovversive, «per mezzo di accuse in genere non provate» (così la Treccani), alla fine si autoaffondò, con il senatore Joseph McCarthy che finì accusato e censurato dallo stesso Senato americano.
In pochi mesi, la guerra dei sessi ha visto coinvolti uomini di spettacolo - conduttori tv e attori, da Kevin Spacey (che si è scusato per le molestie a un quattordicenne) fino a Morgan Freeman, passando per Dustin Hoffman, Ben Affleck, James Franco, arrivando al regista emblema dell'impegno politico «tendenza democratica» Oliver Stone fino a quello danese Lars von Trier, tralasciando il precedente storico di Roman Polanski - manager di aziende editoriali, tecnologiche, finanziarie.
E politici. E no, non Donald Trump, bensì George Bush padre, accusato di aver palpeggiato un'attrice in posa per una foto. Quando? Nel 2014. Cioè a 90 anni e seduto su una sedia a rotelle, per di più con accanto la moglie Barbara.
Ma le parole più dure contro «un tipo di femminismo che esprime odio verso gli uomini» le hanno pronunciate altre donne. Francesi, capitanate da Catherine Deneuve. A gennaio hanno scritto in 100 su Le Monde: «Questa febbre d'inviare i maiali al mattatoio serve in realtà gli interessi dei nemici della libertà sessuale, gli estremisti religiosi, i peggiori reazionari». Di più: «Lo stupro è un crimine, le avance anche insistenti no, né la galanteria è un'aggressione maschilista». Fino alla chiusa, che è un'apoteosi: «Difendiamo la libertà degli uomini di importunarci».
Senza violenza, ca va sans dire, ma con un fiore.
Antonello Piroso
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Secondo il «New York Times», l'attrice ha pagato 380.000 dollari per evitare di essere denunciata dopo aver avuto rapporti con un diciassettenne ubriaco.La figlia d'arte si faceva chiamare dal giovane che avrebbe molestato «mamma», ruolo che aveva avuto sullo schermo. Dopo la morte di Anthony Bourdain è tornata in tv in 24 ore.Lo scoop è l'ultima tegola caduta sul movimento, già azzoppato dall'archiviazione del caso contro Fausto Brizzi. La caccia alle streghe però ha già fatto molte vittime.Prima vittima, poi carnefice. Asia Argento, stando alle carte pubblicate ieri dal New York Times, avrebbe risarcito con 380.000 dollari un giovane dopo che questi l'ha accusata di molestie sessuali e aggressione. Jimmy Bennett, enfant prodige del cinema americano, e i suoi avvocati si sarebbero accordati con l'attrice per un episodio avvenuto a Los Angeles il 9 maggio 2013. All'epoca Bennet aveva 17 anni, uno meno di quanto serve in California per il consenso. La Argento, che allora aveva 37 anni, lo conosceva da tempo. Nel 2004 lo aveva diretto in Ingannevole è il cuore più di ogni cosa, film in cui Bennett interpretava un bambino maltrattato dalla madre tossica, Asia Argento, e abusato dai suoi fidanzati. La pellicola aveva avvicinato i due che, circa dieci anni più tardi, si sarebbero dati appuntamento al Ritz Carlton di Marina del Rey.Bennett, cui un disturbo della vista avrebbe impedito di guidare, si sarebbe presentato alla riunione con un parente cui la Argento avrebbe poi intimato di andarsene. «(L'attrice) diede (a Bennett) degli alcolici e gli mostrò una serie di appunti. Poi, lo baciò, lo spinse sul letto, gli levò i pantaloni e gli praticò del sesso orale. Infine, si arrampicò sopra di lui e i due ebbero un rapporto sessuale. La Argento chiese a Bennett di scattare qualche foto», si legge nelle carte, supportate da alcune «prove» social.Prima di ricevere Bennett, quel 9 maggio 2013, Asia Argento ha pubblicato su Instagram un selfie. «Aspettando il mio bambino perduto da tempo, il mio amore Jimmy Bennett. Sono in trepidazione #MarinadelRey Fumo sigarette come se non ci fosse una prossima settimana», ha scritto nella didascalia, rincarando la dose poche ore più tardi. «Il giorno più felice della mia vita, reunion con Jimmy Bennett», ha compulsato online dopo la presunta aggressione, annunciando - attraverso uno scatto dei loro volti vicini - che il ragazzo sarebbe stato parte del suo prossimo film.Entrambe le foto, insieme a un terzo selfie, ritraente i due a petto nudo sul letto del Ritz Carlton, sarebbero state incluse dall'avvocato di Bennett, Gordon K. Sattro, tra i documenti presentati contro l'Argento. L'episodio avrebbe stordito il ragazzo e compromesso la sua salute mentale al punto da rovinargli la carriera. Il Nyt sostiene che le prime avvisaglie del malessere si sarebbero avute proprio nella serata del 9 maggio 2013. «Mentre veniva portato a casa, (Bennett) cominciò a sentirsi estremamente confuso, mortificato e disgustato», anche se, l'8 giugno 2013, avrebbe scritto alla Argento un messaggio pacifico: «Mi manchi, mammina». In allegato, una foto di un braccialetto regalatogli dall'attrice. Bennett si sarebbe deciso a vuotare il sacco solo nell'ottobre del 2017, quando i titoloni contro Harvey Weinstein e la marcia femminista della Argento lo avrebbero indispettito. «Vederla presentarsi come vittima di violenza sessuale era troppo da sopportare», così avrebbe chiesto un risarcimento di 3,5 milioni di dollari, atto a compensare «l'inflizione intenzionale di sofferenza emotiva, perdita di salario, aggressione e violenza sessuale». Le carte, ricevute dal Nyt tramite un'email criptata, parlano di ricadute «così traumatiche da aver ostacolato il lavoro e ridotto le entrate economiche del signor Bennett». «Nei cinque anni precedenti all'incontro del 2013 con la Argento, aveva incassato oltre 2,7 milioni di dollari. Ma il suo reddito, da allora, è sceso a una media di 60.000 dollari l'anno», si legge sul Nyt, ligio nel riportare anche le lettere spedite alla Argento dai suoi avvocati.Carrie Goldeberg, il legale dell'attrice, ha pattuito un risarcimento di 380.000 dollari e disposto che i primi 200.000 fossero pagati nell'aprile 2018, le avrebbe scritto augurandosi che nulla di simile ricapitasse. «Sei un'autrice potente e stimolante ed è triste che tu viva circondata di individui di merda», si legge sul New York Times, che spiega come parte dell'accordo abbia previsto la cessione dei selfie seminudi all'attrice. La Argento, contatta dal giornale per fare luce sulla vicenda, non ha risposto. E così Bennett, al quale pur non è stata imposta alcuna riservatezza. La legge della California non consente accordi di non divulgazione e l'attrice, per coerenza con «i messaggi pubblici lanciati», avrebbe rifiutato di aggirarla. «A Bennett», ha scritto la Goldberg, «Non è però permesso di infastidirti per soldi, denigrarti o denunciarti». Cosa, quest'ultima, che ha fatto il Web.Se Rose McGowan, figura di spicco del Me too, ha scritto: «L'ho conosciuta dieci mesi fa. A unirci, è stata la sofferenza dovuta alle aggressioni di Weinstein. Il mio cuore è a pezzi, continuerò il mio lavoro accanto alle vittime», sottolineando poi che «nessuno sa la verità. Sono sicura che molte cose ancora verranno fuori. Siate gentili», altrettanto non ha fatto Matteo Salvini. Il ministro dell'Interno ha avuto la sua rivalsa. «Questa è la signora che mi insultava ogni due minuti, e mi ha dato del razzista e della m…a? Mamma mia che tristezza», ha twittato il leader leghista.La Argento è stata scelta come giudice di X Factor, e Twitter ha votato la sua interdizione. Per par condicio e correttezza morale. Licenziarla è possibile anche se X Factor inizierà il 6 settembre. Gilbert Rozon, in Francia, è stato fatto fuori da La France a un incroyable talent dopo che nove donne lo hanno accusato di molestie. Nelle puntate registrate dello show, firmato dalla stessa Fremantlemedia che produce X Factor, Rozon è stato cancellato grazie alla tecnologia. Sky Italia e Fremantlemedia Italia ieri hanno scritto un comunicato in cui hanno annunciato che «se quanto scrive il New York Times fosse confermato, questa vicenda sarebbe del tutto incompatibile con i principi etici e i valori di Sky e dunque - in pieno accordo con Fremantlemedia - non potremmo che prenderne atto e interrompere la collaborazione con Asia Argento».Claudia Casiraghi<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/abusi-su-un-minorenne-sky-pronta-a-cacciare-la-argento-da-x-factor-2597537935.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="una-vita-sempre-al-limite-che-mescola-finzione-e-realta" data-post-id="2597537935" data-published-at="1765746087" data-use-pagination="False"> Una vita sempre al limite che mescola finzione e realtà Pier Paolo Pasolini diceva di «scendere ogni sera all'inferno» (e aggiungeva: «Ma quando torno - se torno - ho visto altre cose, più cose»). Parlava delle sue immersioni nelle periferie, tra i ragazzi sottoproletari che tanto aveva amato e che poi, d'improvviso, gli erano parsi terribili, violenti, mostruosi. Oggi quella stessa discesa agli inferi va fatta non più tra i morti di fame, ma - direbbe Dagospia - tra i «morti di fama»: nei quartieri alti, tra intellettuali (veri, presunti e wannabe) e artisti (più o meno sedicenti e autoproclamati). Per trovare povere figure irrisolte, sofferenti, attorcigliate intorno a nodi di sofferenza, inflitta e subita. Pronte a odiare tutti, forse per non avere l'atroce imbarazzo di guardarsi dentro. Proprio qui, in questa zona di sconforto (l'opposto di una «comfort zone»), troverete Asia Argento. Non serve un raffinato psicologo per sapere che, proprio negli insulti che rivolgiamo agli altri nei nostri momenti peggiori, siamo in realtà autobiografici: parliamo di noi, ci descriviamo in modo feroce, vogliamo farci del male. Poche settimane fa, a Cannes, in una predica rabbiosa, Asia aveva gridato: «Nel 1997 sono stata stuprata da Harvey Weinstein qui a Cannes. Questo era il suo territorio di caccia. Weinstein non sarà mai più benvenuto qui. Vivrà in disgrazia, escluso dalla comunità che un tempo lo accoglieva e che ha nascosto i suoi crimini. E stasera, tra di voi, ci sono quelli che ancora devono essere ritenuti responsabili per i loro comportamenti. Sapete chi siete. Ma soprattutto noi sappiamo chi siete. E non vi permetteremo più di farla franca». Direbbe lo psicologo: forse parlava di sé. Della stessa Asia che (secondo le accuse rese note ieri) nel 2013 aveva convocato nella sua stanza al Ritz Carlton di Marina del Rey, in California, il giovane Jimmy Bennett, gli aveva dato da bere alcolici, per poi togliergli i pantaloni, praticargli sesso orale, arrampicarsi su di lui e completare il rapporto sessuale. Lasciamo da parte Bennett, figura assai discutibile (un 17enne violentato?!?), ma concentriamoci su cosa scrisse Asia quella sera su Instagram: «Il giorno più felice della mia vita, reunion con Jimmy», che «sarà nel mio prossimo film». Provino ok, insomma: meglio di Weinstein. Ma non si finisce di scendere nell'abisso, non basta uno psicologo solo, serve un'intera équipe. Cercando, viene fuori che dieci anni prima, quando Bennett di anni ne aveva solo 7, recitò insieme ad Asia in un altro film: faceva la parte del figlio di una prostituta, interpretata dalla stessa Argento. Ecco, saltando in avanti di dieci anni, Asia, sempre sui social, riferendosi alla sua attesa per Bennett in hotel, scrive: «Aspettando il mio figlio perduto da tempo, il mio amore Jimmy». E lui risponderà più tardi: «Miss you momma!». Capite che il caso è grave. Ma il quadro è ancora più contorto, flagellazione e autoflagellazione come specchi perversi. Asia è anche una madre: di Anna Lou (avuta da Morgan) e di un ragazzo (Nicola Giovanni) avuto dal regista Michele Civetta. Ecco, cosa fa mamma Asia se vede in un ristorante un'altra madre, in questo caso la leader di Fdi Giorgia Meloni? Incredibilmente, la insulta in modo sguaiato: «La schiena lardosa della ricca e svergognata: fascista ritratta al pascolo». Naturalmente, casca male, perché la Meloni risponde a tono: «Voglio dire a tutte le donne che hanno partorito da pochi mesi, e che per dimagrire non usano la cocaina, di non prendersela se qualche poveretta fa dell'ironia sulla loro forma fisica». Chissà perché, Asia non ha più polemizzato sul tema. Ma in quella triste circostanza, entra in campo in modo poco glorioso anche il terzo compagno della Argento, lo chef Anthony Bourdain, che accosta la Meloni a un «pitone che ingoia un'antilope». Ecco, accanto a questo Bourdain, Asia sembra aver trovato pace ed equilibrio: interviste più serene, dichiarazioni di amore eterno. Poi, all'improvviso, come uno sparo nel buio, compaiono su un settimanale le foto di Asia abbracciata a un altro uomo, molto più giovane di Bourdain, 62 anni. A quanto pare, infatti, sempre a Cannes, terminato il comizio, Asia aveva adocchiato un giornalista belloccio, Hugo Clément, 28 anni. Le foto escono, inequivocabili. Pochi giorni dopo, e ovviamente non sappiamo perché, Bourdain si impicca. Sui social per Asia il massacro è feroce quanto inevitabile: un pandemonio di insulti. Ma lei rivendica il suo lutto inconsolabile. Così inconsolabile che trascorrono appena 24 ore e Asia, jeans e maglietta, si ripresenta in pubblico per le audizioni di X Factor, di cui quest'anno è giudice con Manuel Agnelli, Fedez e Mara Maionchi. Si alza in piedi e saluta la folla: «Questi dovevano essere i tre giorni più difficili della mia vita, ma grazie a queste persone che sono qui accanto a me e grazie a voi sto sopravvivendo». Il resto è cronaca di queste settimane: i comizi Me too, gli impegni con Laura Boldrini, e - sintetizzo con parole mie - il ricordo di quante persecuzioni abbiano subito le donne e quanto siano porci i maschi italiani. Fino a ieri, con le rivelazioni del New York Times. Non siamo davvero nessuno per dare consigli. Però suggeriremmo ad Asia, se le fossimo amici, di sparire per un po', di lasciare X Factor, di cercare il silenzio. Ci guadagnerebbe lei. E, egoisticamente, ci guadagneremmo anche noi: qualche mese di pausa rispetto a questo spettacolo avvilente. Daniele Capezzone <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/abusi-su-un-minorenne-sky-pronta-a-cacciare-la-argento-da-x-factor-2597537935.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="scandali-e-bugie-abbattono-il-me-too-ma-chi-risarcira-gli-uomini-rovinati" data-post-id="2597537935" data-published-at="1765746087" data-use-pagination="False"> Scandali e bugie abbattono il Me too. Ma chi risarcirà gli uomini rovinati? Due a zero. Se non fossimo alle prese con un argomento tremendo, con due facce entrambe drammatiche (le violenze reali subite dalle donne, le carriere di uomini stroncate in presenza di j'accuse i cui contorni talvolta si perdono tra comportamenti inappropriati, corteggiamento spinto, molestie e stupri, messi tutti su uno stesso piano), ci sarebbe da ricorrere al linguaggio sportivo per dire che la campagna Me too ha appena incassato - almeno per quanto riguarda personaggi italiani - il secondo gol. Sotto forma di autogol. Alla fine di luglio era infatti arrivata la richiesta di archiviazione della Procura di Roma per le accuse di violenza sessuale nei confronti del regista Fausto Brizzi. Ieri è piombata come un meteorite la rivelazione su Asia Argento: la paladina impegnata a promuovere un movimento di presa di coscienza planetaria delle donne contro il maschio alfa predatore - l'uomo che, approfittando o meno di una sua posizione di potere, molesta, violenta o estorce favori sessuali - ha pagato, come transazione risarcitoria, un attore che l'ha accusata di aver approfittato di lui minorenne. Nel frattempo, dall'inizio del Me too negli Usa di condanne, penali o civili, a carico di «maiali» veri o presunti ce n'è stata solo una, a carico del comico Bill Cosby, mentre l'archetipo della categoria, il porcellone per antonomasia Harvey Weinstein, è ancora sotto processo. Al di là delle gogne mediatiche, delle denunce a mezzo stampa o tv senza uno straccio di controverifica, dei manifesti e degli appelli, fino a oggi - quando si è trattato di arrivare al dunque - gli atti ufficiali registrano uno stallo per le furiose erinni del sessualmente corretto. Chissà se Asia Argento conosce l'espressione coniata dal filosofo e psicologo Wilhelm Wundt, «eterogenesi dei fini», quel fenomeno per cui, mentre si cerca di ottenere uno scopo, se ne consegue un altro. Diverso. O addirittura uguale e contrario. Perché adesso perfino la brutalità degli atti da lei denunciati, e presunti fino a prova contraria, passerà in secondo piano rispetto al fatto che, mentre chiamava alle armi, lei sapeva di aver pagato per non incorrere nei rigori della giustizia proprio per molestie e violenze. Così danno si è aggiunto a danno. Quello che lei avrebbe patito. Quello da lei causato a un diciassettenne. Quello provocato alla causa del Me too (una delle fondatrici, Laura Moser, autrice della biografia dell'attrice Bette Davis, intuendone la portata potenzialmente devastante, l'ha scaricata su Twitter: «Asia Argento had absolutely nothing to do with #metoo», non ha assolutamente nulla a che fare con il movimento). Quello da lei inferto alla causa delle tante donne che, oggetto di soprusi, adesso si sentiranno opporre, con contorno di risatine, l'argomento: «Non sarai mica una vittima come Asia Argento?». Quello sofferto da chi, uomo, è stato travolto dallo tsunami a tutti i livelli, privato e professionale, in qualche caso - come ha scritto La Verità lo scorso giugno, riprendendo un'inchiesta della rivista Time - perfino in presenza di «relazioni consensuali» (per capirci: qualche dirigente infoiato si è portato a letto una collega, o la segretaria, assolutamente consenzienti, ma le aziende, una volta risaputa la storia, per non veder rovinata la loro brand reputation hanno incentivato l'esodo). Ricordate il maccartismo? Era quella corrente politica che, caratterizzata da un esasperato clima di sospetto e da atteggiamenti persecutori nei confronti di persone ritenute sovversive, «per mezzo di accuse in genere non provate» (così la Treccani), alla fine si autoaffondò, con il senatore Joseph McCarthy che finì accusato e censurato dallo stesso Senato americano. In pochi mesi, la guerra dei sessi ha visto coinvolti uomini di spettacolo - conduttori tv e attori, da Kevin Spacey (che si è scusato per le molestie a un quattordicenne) fino a Morgan Freeman, passando per Dustin Hoffman, Ben Affleck, James Franco, arrivando al regista emblema dell'impegno politico «tendenza democratica» Oliver Stone fino a quello danese Lars von Trier, tralasciando il precedente storico di Roman Polanski - manager di aziende editoriali, tecnologiche, finanziarie. E politici. E no, non Donald Trump, bensì George Bush padre, accusato di aver palpeggiato un'attrice in posa per una foto. Quando? Nel 2014. Cioè a 90 anni e seduto su una sedia a rotelle, per di più con accanto la moglie Barbara. Ma le parole più dure contro «un tipo di femminismo che esprime odio verso gli uomini» le hanno pronunciate altre donne. Francesi, capitanate da Catherine Deneuve. A gennaio hanno scritto in 100 su Le Monde: «Questa febbre d'inviare i maiali al mattatoio serve in realtà gli interessi dei nemici della libertà sessuale, gli estremisti religiosi, i peggiori reazionari». Di più: «Lo stupro è un crimine, le avance anche insistenti no, né la galanteria è un'aggressione maschilista». Fino alla chiusa, che è un'apoteosi: «Difendiamo la libertà degli uomini di importunarci». Senza violenza, ca va sans dire, ma con un fiore. Antonello Piroso
Giovanna Rei (Getty Images)
Noi del Rione Sanità è stata un’esperienza che l’ha toccata nel profondo.
«Mi piacciono tantissimo le storie di rivalsa sociale e l’idea della gratitudine, anche se un mio amico mi dice sempre che è più facile incontrare Dio che la riconoscenza. Essendo napoletana, già conoscevo la storia di don Antonio Loffredo. La mia vicina di casa era un’assidua frequentatrice della parrocchia e andava ad aiutarlo nelle varie faccende. Il rione era abbandonato, lui è arrivata e ha sradicato la mentalità arrendevole, per cui ha salvato tanti ragazzi. È stato come un segno del destino ricevere questa parte».
Lei ha cominciato la sua carriera a Napoli, con Renato Carpentieri, straordinario attore.
«Il mio insegnante di recitazione del liceo mi portò a vedere uno spettacolo teatrale, in cui c’era Renato. Dopo averlo visto, ho detto: “Basta, faccio l’attrice e voglio cominciare con lui”. Renato fu carino, mi disse di andare a uno dei successivi casting e mi diede delle indicazioni. Io mi presentai come Mirandolina, tutta carina, loro furono molto dolci e alla fine mi scelsero. La sua grande idea fu di abbinare al teatro l’architettura, rispolverando la bellezza delle ville vesuviane, come Villa Bruno a San Giorgio a Cremano e Villa Campolieta a Ercolano, per cui facevamo un percorso teatrale e accompagnavamo gli spettatori nelle varie stanze. Io, tra l’altro, ero iscritta alla facoltà di Archittettura, quindi c’era una comunanza di interessi con Renato».
Quando ha deciso di intraprendere definitivamente la carriera d’attrice?
«Nonostante fossi estremamente timida, sentivo che recitare per me era catartico, mi aiutava a stare meglio. Io ero una ragazza che non esprimeva le emozioni, osservavo, ma tenevo tutto dentro. Invece grazie al teatro ho imparato a dire: “Bello, grazie, complimenti…”, tutte cose che sembrano scontate, ma non è semplice esprimere i propri sentimenti».
È una difficoltà che aveva fin da piccola?
«Avevo difficoltà a comunicare fuori dal mio microcosmo. In famiglia mi conoscevano come una nerd che stava sempre chiusa in stanza, mentre a scuola ero un capobranco, facevo delle cose pazzesche. C’era una dicotomia così evidente che la testa mi diceva: “Ma chi sono delle due?!”».
Quindi il percorso dell’attrice l’ha aiutato a ricomporre le due anime?
«Sì, esatto».
Poi ha lasciato l’università?
«Sì, a un certo punto l’ho dovuta mollare. La fortuna è stata che subito dopo quell’esperienza, siccome avevo un faccino molto carino, mi chiamarono molte produzioni e cominciai a lavorare tantissimo».
Ha esordito con L’ultimo Capodanno di Marco Risi, diventato nel tempo un film di culto.
«Un flop incredibile, fu smontato, rimontato, rismontato, rimontato ancora, ogni tanto lo riproponevano, ma era troppo moderno per l’Italia. Sarei curiosa di vedere il film per ogni montaggio. Poteva andare bene in America, dove erano abituati a Tarantino, non qui da noi”.
Ha ricordi del provino?
«Marco Risi mi osservò e mi disse: “Ma che bei capelli che hai!”. Io lo guardai incredula perché per me era una cosa normale, sono lì da sempre! Ero una ragazzina. Suo padre, Dino Risi, mi voleva coinvolgere in un progetto, ma io non capivo niente lì per lì».
Un altro incontro importante è stato con Carlo Vanzina.
«C’erano stati due incontri con Carlo, uno a Capri e l’altro quando mi vide ne L’ultimo capodanno e mi convocò per incontrarmi perché lui e Marco Risi erano molto amici».
A Capri dove l’aveva incontrato?
«Sono cresciuta a Capri, avevo la famiglia lì, e Carlo veniva spesso in vacanza. Io ero proprio la classica ragazzina caprese che gironzolava con il vestitino a fiori e il caratteristico sandalo. Ci incontrammo quando lui stava cercando una ragazza del posto per Anni ’50».
È stata la svolta della sua carriera?
«Assolutamente, però non l’ho saputa cogliere fino in fondo perché tra la fiction e il cinema preferii la prima, che all’epoca veniva quasi vista come una cosa di serie B, quindi difficilmente poi riuscivi a fare il cinema, dove infatti ho lavorato meno. È molto importante creare una rete di conoscenze, un gruppo nell’ambiente, mentre io lavoravo sul set e poi basta».
Non frequenta il mondo del cinema?
«Sono sempre stata molto amante delle mie cose, delle mie abitudini, e sono costantemente alla ricerca di ciò che mi fa stare meglio».
Malgrado non abbia coltivato le amicizie, ha sempre lavorato con continuità.
«Quasi sempre. Quando feci per quattro anni Camera Café, rimasi tagliata fuori da ogni altra cosa perché era un lavoro quotidiano che mi ha tolto anni preziosi, però sono contenta di averlo fatto. All’epoca avevo un fidanzato francese e quindi, frequentando Parigi, già conoscevo il programma. Lì era un fenomeno culturale, ne parlavano di tutti».
Ha avuto un grande successo anche in Italia.
«Per il pubblico giovanissimo ero Giovanna Caleffi di Camera Café, per il pubblico adulto, che lo seguiva meno, era quella sparita improvvisamente dalla circolazione. Con l’autore Christophe Sanchez avevo già fatto un programma pazzesco tra Truman Show e Scherzi a parte…».
Il protagonista.
«Sì. Facevo credere a un ragazzo della mia età di essere innamorata di lui. Ho vissuto una vita fittizia per un mese: era una commistione tra la realtà e immaginazione, non si capiva più cosa fosse vero e cosa fosse finto».
Quindi avevate sempre le telecamere che vi riprendevano?
«Sempre, tant’è che temevo che fossi anch’io vittima di questa storia, finché non l’ho visto montato. Pensavo: “Non è che staranno fregando anche me?”».
Com’era stata individuata la vittima?
«Avevano messo un annuncio sulle reti Mediaset: “Se hai un amico al quale vuoi fare uno scherzo, chiamaci”. Lui fu tirato dentro dal suo miglior amico. Era un insegnante di tennis e l’amico gli fece credere che era stato chiamato a Courmayeur per fare la stagione estiva in un hotel, pagato profumatamente. L’amico lo accompagna, durante il viaggio fanno un incidente e nella macchina con cui avviene il tamponamento ci sono ovviamente io. Poi ci incontriamo allo stesso hotel, più o meno per caso. Da lì parte una spy story che tu non hai idea! Io facevo una fatica terribile perché mi veniva talmente da ridere…».
Le davano una parte ogni giorno?
«C’era un canovaccio e poi avevo un piccolo microfono nell’orecchio, come quello che portava Ambra a Non è la Rai. Grazie ai capelli lunghi non si vedeva».
Ha avuto successo?
«Sono rimasta in mente a tantissime persone per anni perché, appena mi vedevano, ridevano».
E poi com’è finita?
«Ero uno scherzo terribile e la vittima c’è rimasta malissimo. Per molto tempo era arrabbiato con me, anche se aveva capito che io non avevo fatto niente».
Un altro grande successo al quale ha partecipato era Elisa di Rivombrosa.
«Non si poteva uscire di casa. Gente di tutti i livelli culturali, dal notaio alla signora snob, non ti aspettavi che venissero a dirti: “Io amo Elisa di Rivombrosa2. Io rimanevo così perplessa».
Parallelamente alla tv ha continuato a fare teatro?
«Quando non avevo impegni televisivi, ho sempre fatto teatro. Fino al Covid stavo nella compagnia di Maurizio Casagrande, una persona molto divertente che crea una bella atmosfera tra gli attori».
Per lei è molto importante l’ambiente di lavoro…
«Allora ti dico la verità: io amo il mio lavoro, mi ha dato tanto e ha fatto sì che diventassi la persona che sono, però lo amo di più quando sto bene. Quando ci sono troppe tensioni, sto talmente male che sono disposta a rifiutare».
Le è mai capitato di andarsene da un set?
«Sì, mi è capitato. Sicuramente non l’ho fatto per un colpo di testa, ma dopo una serie di difficoltà, per cui mi dicevo: “Scelgo la salute o la crisi mentale?”. Ho scelto la prima. Amo il mio lavoro, lo ringrazio, però è più importante la mia vita».
Quindi a un certo punto si ferma?
«Sì, quando la mia vita diventa meno importante».
E non le fanno scontare questi periodi di assenza?
«Poi, sì, la paghi e per rientrare ce ne vuole. Devi accettare le regole del gioco: anche se sei abituato a fare dei ruoli importanti, ti offrono dei ruoli più piccoli».
Sogna di lavorare con un regista?
«Con Ozpetek. L’ho sfiorato perché feci uno spot pubblicitario con lui per le Poste. Penso che sarebbe affascinato dai racconti della mia vita».
Nella sua carriera trasversale ha condotto un programma con Maurizio Costanzo su Rai Premium, Memory.
«Condurre è un parolone. Ero lì accanto a lui e gli facevo un po’ da supporto, davo un po’ di colore».
Come l’ha chiamata?
«Ci conoscevamo. Avevo girato uno spot in Sudafrica, in cui ero una mondina che schiacciava l’uva e quello spot mi aveva fatto diventare “nazional-popolare”, per cui Costanzo mi chiamò per andare nel suo salotto. Da lui iniziò una lunga lista di inviti per una serie di puntate più leggere in cui invitava i comici del momento e io ero la presenza femminile. Quando parlo di Carlo Vanzina e Maurizio Costanzo, mi viene da piangere perché per me erano veramente come dei parenti, oltre ad essere stati due punti di riferimento fondamentali nel lavoro. Al funerale di Carlo ho pianto come al funerale di mio nonno».
Un legame molto forte.
«Per me non esiste il rapporto freddo, professionale, poi certo sono una che sa stare al posto suo e non mi piace invadere gli spazi altrui, però dentro di me accadono delle cose così profonde. Sono fatta così, un po’ sentimentale!».
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Il Gourmet Bus è un progetto di Enit Spa dedicato alla cucina italiana e alle eccellenze del Made in Italy. La prima tappa del bus, che ha coinvolto circa 430 partecipanti tra istituzioni ed esperti del settore accolti dai miglior chef italiani, è stata Parigi, a seguire Bruxelles, Londra, Berlino, Stoccolma, Monaco e Vienna. L’altroieri è arrivato a Roma mettendo in vetrina la nostra cucina e le tipicità regionali attraverso degustazioni a bordo, seguendo un percorso panoramico e un’esperienza itinerante di enogastronomia e cultura.
«Roma è la tappa simbolica di un percorso che celebra la nostra tradizione. Ribadiamo così il valore universale delle nostre eccellenze, espressioni dell’identità nazionale. Iniziative come questa di Enit sono fondamentali per rafforzare il legame tra tradizione e innovazione», ha proseguito Santanchè. Secondo Ivana Jelinic, ad di Enit che ha lanciato l’iniziativa, «il turismo enogastronomico negli ultimi anni è diventato un vero traino. I viaggiatori internazionali sono disposti a investire per scoprire le tipicità italiane, creando valore, occupazione e crescita economica a beneficio delle comunità locali. Il Bus Gourmet Italia è nato proprio con la volontà di esportare le eccellenze Made in Italy nel mondo».
In effetti, nel 2024 il mercato globale della ristorazione italiana ha raggiunto un valore pari a 251 miliardi di euro, corrispondente al 19% del mercato mondiale della ristorazione. Nello stesso anno i soggiorni motivati dall’interesse per cibo e vino sono cresciuti del 176% rispetto agli anni precedenti. L’enogastronomia è dunque un fattore decisivo nella scelta dell’Italia come destinazione turistica internazionale: Enit ha rilevato circa 2,4 milioni di presenze riconducibili al turismo enogastronomico. Quanto all’impatto economico diretto, la spesa dei turisti stranieri per esperienze, prodotti e servizi legati al food & wine tourism è stimata in 363 milioni di euro e l’export agroalimentare ha raggiunto il record storico di 69,1 miliardi di euro, segnando una crescita dell’8% rispetto all’anno precedente. Con buona pace dei francesi? «Rispetto alla Francia che non ha tantissime destinazione turistiche, noi siamo l’Italia dagli ottomila campanili, abbiamo le aree interne, le isole più belle, i 5.600 borghi dove si produce il 95% delle nostre eccellenze enogastronomiche», ha spiegato Santanchè. «Sa qual è la differenza tra l’Italia e la Francia? I francesi. Perché i francesi si stringono sempre intorno alla loro bandiera, non parlano mai male della loro nazione: dovremmo farlo anche noi. Io un po’ li invidio».
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L’allarme sul nuovo capitolo - quello che riguarda le bottiglie da spumante o da vini da invecchiare e l’olio extravergine d’oliva (che teme come la peste la luce del sole) - è stato lanciato dal presidente del Coreve, il consorzio italiano per il riciclo del vetro che detiene il record europeo, con l’81% di vetro «circolare», pari a 2,1 milioni di tonnellate nel 2024 (ben sei punti sopra le quote massime richieste da Bruxelles). Che dice: vogliono cancellare le bottiglie scure per il Prosecco. Spiega il presidente Gianni Scotti che tutto nasce dall’idea di Germania e Danimarca d’imporre in Ue solo le bottiglie da birra. S’attaccano al fatto che i lettori ottici, quando devono selezionare una bottiglia scura, la scambiano per ceramica e non la mandano alla fusione, abbassando il tetto delle quantità riciclate. «Abbiamo dimostrato», spiega Scotti, che le nostre macchine arrivano a scartare meno dell’1% del vetro. Speriamo di convincere l’Europa che le indicazioni che vengono da loro sono obsolete». E anche Assovetro, il cui presidente è Marco Ravasi e che usa il rottame di vetro, si dice preoccupata per la piega che sta prendendo Bruxelless. La speranza è l’ultima dea, ma la concorrenza interna all’Ue può molto di più. Gli attacchi al vino da parte dei Paesi del Nord, che lamentano il fatto che sulla birra c’è una (minima) accisa e sul vino no, si ripetono a ondate. Prima l’Irlanda ha imposto le etichette con scritto «il vino fa male», violando i trattati, ma Ursula von der Leyen ha dato loro ragione; poi la Commissione ha approvato il Beca (documento anti cancro che deve passare dall’Eurocamera) per ipertassare il vino, restringerne la vendita e abolirne la promozione; ora si passa dal vetro. Tutto a danno dei Paesi mediterranei, ignorando che in premessa, nel regolamento sugli imballaggi, c’è scritto: «Imballaggi appropriati sono indispensabili per proteggere i prodotti».
Senza bottiglie scure non si può fare la rifermentazione in bottiglia. Solo Cristal in Champagne usa bottiglie bianche, ma tenute al buio. Lo stesso vale per il metodo classico italiano (sempre di rifermentazione in bottiglia si parla), ma anche per gli spumanti fatti in autoclave (il Prosecco appunto). Per avere un’idea, s’imbottigliano 300 milioni di Champagne, gli italiani tappano un miliardo di bottiglie, gli spagnoli 250 milioni. Va bene solo ai tedeschi che fanno tante bollicine ma così leggere che, comunque, non passerebbero l’anno e dunque non hanno bisogno di protezione dal sole, né di contenere le pressioni di rifermentazione. Il caso dei vetri confermerà invece agli inglesi che la Brexit è stata una mano santa. Sono i più forti consumatori di spumanti al mondo, ma sono anche coloro i quali li hanno resi possibile e ora ne producono di ottimi (ad esempio Bolney).
Il metodo di rifermentazione fu codificato da due marchigiani: Andrea Bacci (De naturalis vinorum historia del 1599) e Francesco Scacchi (1622, De Salubri potu dissertatio) mettono a punto la tecnica, tant’è che si potrebbe parale di un metodo Scacchi. Dom Pierre Pérignon arriva sessant’anni dopo. Ma i due italiani hanno un limite: le bottiglie di vetro soffiato scoppiano. In rifermentazione si arriva fino a 6 atmosfere di pressione. Però nel 1652 sir Kelem Digby cambiò tutto. Giorgio I aveva impedito di tagliare alberi per alimentare i forni vetrai, cosi Digby usò il carbone. Questo gli consentì di alzare le fusioni e mescolare carbonio alla pasta vitrea: nacque l’iper-resistente «English Bottle». Gli inglesi, primi clienti dei vini francesi, fecero con il vetro la fortuna dello Champagne. E questo spiega perché le bottiglie sono pesanti e scure (fino a 9 etti per il metodo classico, 700 grammi quelle da Prosecco, mezzo chilo quelle da vino, anche se l’italiana Verallia ha prodotto la Borgne Aire di soli tre etti). Ma l’Europa non lo sa o fa finta. Perché attraverso le bottiglie (produrre un chilo di vetro vergine vale 500 grammi di CO2, ma nel 2024 l’Italia col riciclo ha risparmiato quasi 1 milione di tonnellate di anidride carbonica, 358.000 tonnellate di petrolio e 3,8 milioni tonnellate di materiali) ha capito che può frenare la crescita di alcuni Paesi. Solo che ora dovranno spiegarlo ai vigneron francesi, che da mesi protestano e hanno già estirpato 12.000 ettari di vigna. Ci sta che a Bruxelles dalle cantine arrivi un messaggio in bottiglia: o lasciate perdere, o i trattori che il 18 stanno per circondare palazzo Berlaymont sono solo un aperitivo.
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Maurizio Gasparri (Ansa)
Sono le 20.30, Andrea finisce il suo turno e sale negli spogliatoi, al piano superiore, per cambiarsi. Scendendo dalle scale si trova davanti ad un uomo armato che, forse in preda al panico, apre il fuoco. La pallottola gli buca la testa, da parte a parte, ma invece di ucciderlo lo manda in coma per mesi, riducendolo a un vegetale. La sua vita e quella dei suoi genitori si ferma quel giorno.
Lo Stato si dimentica di loro. Le indagini si concludono con un nulla di fatto. Non solo non hanno mai trovato chi ha sparato ma neppure il proiettile e la pistola da dove è partito il colpo. Questo perché in quel supermercato le telecamere non erano in funzione. Nel 2018 archiviano il caso. E rinvio dopo rinvio non è ancora stato riconosciuto alla famiglia alcun risarcimento in sede civile. Oggi Andrea ha 35 anni e forse neppure lo sa, ha bisogno di tutto, è immobile, si nutre con un sondino, passa le sue giornate tra il letto e la carrozzina. Per assisterlo, al mattino, la famiglia paga due persone. Hanno dovuto installare un ascensore in casa. E ricevono solo un indennizzo Inail che appena gli consente di provvedere alle cure.
Il senatore di Forza Italia, Maurizio Gasparri, membro della commissione Giustizia del Senato, è sconcertato: «Sono profondamente indignato per quanto accaduto a questa famiglia, Andrea e i suoi genitori meritano la giustizia che fino ad oggi gli è stata negata da lungaggini e burocrazia. Non si capisce il motivo di così tanti rinvii. Almeno si giunga a una sentenza e che Andrea abbia il risarcimento che merita dall’assicurazione. Anche il datore di lavoro ha le sue responsabilità e non possono non essere riconosciute dai giudici».
Il collega senatore di Forza Italia, nonché avvocato, Pierantonio Zanettin, anche lui membro della stessa commissione, propone «che lo Stato si faccia carico di un provvedimento ad hoc di solidarietà se la causa venisse persa. È patologico che ci siano tutti questi rinvii. Bisognerebbe capire cosa c’è sotto. Ci devono spiegare le ragioni. Comunque io mi metto a disposizione della famiglia e del legale. La giustizia ha l’obbligo di rispondere».
Ogni volta l’inizio del processo si sposta di sei mesi in sei mesi, quando va bene. L’ultima beffa qualche giorno fa quando la Corte d’Appello calendarizza un altro rinvio. L’avvocato della famiglia, Matteo Mion, non sa darsi una ragione: «Il motivo formale di tutti questi rinvii è il carico di lavoro che hanno nei tribunali, ma io credo più nell’inefficienza che nei complotti. In primo grado era il tribunale di Padova, adesso siamo in Corte di Appello a Venezia. Senza spiegazioni arriva una pec che ci informa dell’ennesimo rinvio. Ormai non li conto più. L’ultima volta il 4 dicembre, rinviati all’11 giugno 2026. La situazione è ingessata, non puoi che prenderne atto e masticare amaro».
In primo grado, il giudice Roberto Beghini, prova addirittura a negare che Andrea avesse diritto a un indennizzo Inail, sostenendo che quello non fosse un infortunio sul lavoro. Poi sentenzia che non c’è alcuna connessione, nemmeno indiretta, tra quanto successo ad Andrea e l’attività lavorativa che stava svolgendo, in quanto aveva già timbrato il cartellino, era quindi fuori dall’orario di lavoro, non era stata sottratta merce dal supermercato, né il ragazzo era stato rapinato personalmente. Per lui non è stata una rapina finita male. Nessuna merce sottratta, nessuna rapina. Il giudice Beghini insinua addirittura che potrebbe essere stato un regolamento di conti. Solo congetture, nessuna prova, nulla che possa far sospettare che qualcuno volesse fare del male al ragazzo. Giusto giovedì sera, alle 19.30, in un altro Prix market, stavolta a Bagnoli di Sopra (Padova), due banditi hanno messo a segno una rapina armati di pistola. Anche stavolta non c’erano le telecamere. Ed è il quarto colpo in nove giorni.
Ciò che è certo in questa storia è che il crimine è avvenuto all’interno del posto di lavoro dove Andrea era assunto, le telecamere erano spente e chi ha sparato è entrato dal retro dell’edificio attraverso un ingresso lasciato aperto. In un Paese normale i titolari del Prix, se non delle colpe dirette, avrebbero senz’altro delle responsabilità. «L’aspetto principale è l’assenza di misure di sicurezza del supermercato», conclude Mion, «che avrebbero tutelato il personale e che avrebbero consentito con buona probabilità di sapere chi ha sparato. C’è una responsabilità della sentenza primo grado, a mio avviso molto modesta».
Per il deputato di Forza Italia, Enrico Costa, ex viceministro della Giustizia e oggi membro della commissione Giustizia della Camera, «ancora una volta giustizia non è fatta. Il responsabile di quell’atto non è stato trovato, abbiamo un ragazzo con una lesione permanente e una famiglia disperata alla quale è cambiata la vita da un momento all’altro. È loro diritto avere un risarcimento e ottenere giustizia».
L’assicurazione della Prix Quality Spa, tace e si rifiuta di pagare. Sapete quanto hanno offerto ad Andrea? Cinquantamila euro. Ecco quanto vale la vita di un ragazzo.
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