2021-07-11
Abbiamo bisogno di più naturalisti eretici
Gli scaffali delle librerie, virtuali e non, traboccano di volumi dedicati all’ambiente. Per lo più sono manualetti che sfruttano l’onda del momento. Raramente ci si imbatte in qualcuno che smonti la visione «simpatica» del rapporto tra l’umano e il mondo attornoIl fotografo Sebastião Salgado sostiene di non avere necessariamente bisogno del verde per mostrare le chiome degli alberi. Affogando nella marea dei testi scritti e dedicati alla natura che oramai fioccano continuamente sugli scaffali delle librerie e sfumano come meteore nelle pagine ingolfate dalle novità editoriali, si ha la netta impressione che la natura di cui ci occupiamo sia in parte una proiezione di noi stessi, un disquisire e suggerire natura in assenza di natura; che si scriva e si dica e si riveli e si tromboneggi e ci si meravigli e ci si indigni e si accusi e poi si critichi e poi si proponga, ammonisca, imponga, deponga, per non dire niente. Piccolo esperimento editoriale: vado su sito si Amazon, non meno criticato che frequentato, ed inserisco la parola «ambiente», seleziono la categoria «libri» e ricerco. A destra ordino per «data di pubblicazione». Ecco i titoli che escono: Ragazze per l’ambiente, Codice dell’ambiente, Progettare il futuro, Ambiente biosfera, Cambia il mondo, Dove inizia il futuro, Il bambino e l’ambiente naturale, Happy planet. Tutti usciti o in uscita in questi mesi. Provo con la parola «natura»: ne escono molti in altre lingue, allora congiungo «natura» e «italiano»: tra i volumi di prossima uscita Riflessioni sulla natura, Il libro della natura, Nel giardino di timo, Uomo e natura, La salute del mondo, Storie di animali, L’immortale spirito della natura, Forest Food, Cerca e trova gli animali, Sulla rotta di Darwin, Nella giungla di Sandokan, Gli amici del giardino, Gli animali della savana, Nature in città, Animali del bosco. Dunque provo con «alberi», e già oltrepasso il senso di sazietà: La meditazione nella natura, Alberi. Manuale per conoscerli e amarli, Come un albero, Saremo alberi, L’albero che è in te, La storia degli alberi e di come hanno cambiato il nostro modo di vivere, Il medioevo degli alberi, Psicologia e alberi, Raccontare gli alberi, Gli abitanti degli alberi, L’albero, Di là dall’amore tra gli alberi, Il vento e gli alberi e addirittura un mio futuro titolo. Insomma: una foresta di titoli che ribadiscono gli stessi concetti, le stesse geografie, ci allarmano, ci educano, ci indicano e ci informano. In questo mare di opere figurano autori della tradizione ottocentesca che per anni sono stati marginalizzati nei cataloghi di minuscoli editori appassionati ed ora, viste le potenzialità di vendita, vengono recuperati, ritradotti in più edizioni e da parte di diverse portaerei editoriali. Ma figurano anche nuovi autori che puntano a diventare i filosofi della natura, i poeti del bosco, i saggisti, gli storici, gli accademici, i naturalisti, i viandanti e o le vecchie glorie vanitose dell’ambientalismo nazionale. La maggior parte di questi libri lasceranno scarni segni, sia perché appartengono ad una produzione drogata dall’illusione che l’ambiente sia diventato il tema del giorno, sia perché sono stati scritti sull’onda di un entusiasmo che è del tutto evenemenziale, come quando un film su un tema ottiene premi e attenzione e altri registi provano a ripercorrerne il successo. Non è un caso che i titoli che appartengono al «classico» forse risultano addirittura più avanzati di tante proposte dell’ultim’ora, ovviamente meno politicizzati, meno spendibili, ma non di rado ben più concreti e profondi. Di certo un autore che è stato recentemente pubblicato, tal Paul Shepard (1925-1996), ha qualcosa da dirci. Ma chi è stato questo filosofo, zoologo, biologo, antropologo americano? «Tra i molti volumi che oggi affollano e parlano di Natura, questo libro di Paul Shepard spicca come un papavero cresciuto a ridosso del muro esterno di un centro commerciale, o come un orso proveniente dai boschi selvaggi, nell’atto di attraversare un campo di girasoli», così si legge in quarta del primo suo titolo edito in Italia, Natura e follia (in originale Nature and Madness, 1982), pubblicato un anno fa per le meritorie Edizioni degli animali di Milano. Finalmente un ambientalista escluso, perdente, emarginato, ben diverso dai soliti chiacchieroni da talk show o da elementare bonario incitamento festivaliero? Niente «salveremo il mondo perché siamo tosti, belli, benestanti e intelligenti»? No smart-city, smart-mind, smart-nature? «La domanda che mi pongo è: perché gli uomini si ostinano a distruggere il loro habitat?» si interroga l’eretico Shepard. Uno degli aspetti che caratterizza l’ambientalismo o comunque quel ragionare e sentire e pensare che riguarda uomo e mondo, delle prime epoche, e che accompagna anche il pensiero di taluni spiriti liberi contemporanei, è il non affrontare la questione dell’abitabilità del pianeta partendo dal culo del cavallo, come invece spesso noi ci sentiamo quasi obbligati a fare, ovvero guardando ai livelli scioccanti di inquinamento dei mari, delle falde, dei campi agricoli, allo scioglimento dei ghiacciai sulle nostre montagne, alla perdita di biodiversità, all’immoralità degli stili di vita, eccetera. Ci si interroga su come gli umani si sono adattati ed evoluti, o involuti, partendo dalla dimensione creativa e instabile del cacciatore-raccoglitore per finire ad essere animali stanziali, occupanti, capaci di moltiplicarci a dismisura, e dunque infelici, infantili, aggressivi; noi siamo distruttivi e inadatti ad uno sviluppo armonioso fra di noi e con gli altri ecosistemi poiché le nostre scelte di esistenza si sono sviluppate dalla palafitta alla dimensione della città, che per Shepard è «un vero e proprio ricettacolo di problemi psicologici», e infatti «esistono prove a sostegno del fatto che le creature della specie di cui facciamo parte mostrano, a livello individuale e collettivo, un comportamento distorto quando il loro numero supera quella che è considerata la norma. I sintomi dovuti al sovraffollamento comprendono quasi ogni disfunzione organica e sociale». Shepard va a delineare l’evoluzione psicologica e comportamentale dei tipi umani che dall’antichità si sono trasformati, ovvero gli addomesticatori, i padri del deserto, i puritani e i meccanicistici, adattandosi passo dopo passo a quel che siamo noi. «Per una bambina, il mondo può essere contemporaneamente meraviglioso e terribile. Diventata madre, riuscirà a superare tale contraddizione se da piccola ha imparato la lezione della ghiandaia (il mettere da parte). In caso contrario, e se è scissa tra l’essere cattiva in senso colpevole o arrogantemente divina, come potrà suo figlio imparare diversamente?». «Realtà artefatta. Il mondo è in via di sviluppo, oppure è fatto e concluso? Filosoficamente non è difficile dimostrare che la domanda è irrilevante, perché sotto la superficie delle cose la distinzione si annulla. Eppure c’è un tempo nella vita di ognuno, in cui il separare e raggruppare sono la più alta attività intellettuale. Il dare nomi e creare categorie è una caratteristica della specie, per quanto le categorie stesse tendano a essere arbitrarie. Ad esempio, si potrebbero suddividere le cose tra appartenenti “alla terra” o “all’acqua”, oppure tra “spirituali” e ”naturali”».La natura, ovvero quel che esiste di per sé, è un limbo che può essere plasmato oppure dimostrarsi, come hanno sempre sostenuto i puritani, un non luogo colmo di pericoli e ostilità, ossia convivere non è possibile se non dominando la tigre, il puma, l’orso, uccidendo il serpente, o rendendo il ragno velenoso inoffensivo. Forse Shepard sorriderebbe della visione incantevole che oggi in molti nutriamo e alimentiamo di una natura remota e boschiva simpatica, accogliente, esclusivamente innervante e spirituale, ricordando, ad esempio, che la natura che abbiamo è quel che resta della natura originaria, una sottrazione, un disastro non finito, una privazione che abbiamo interrotto. Lo studioso e autore eco-sensibile Matteo Meschiari ne ha scritto (Il mondo secondo Paul Shepard) su Doppiozero, la rivista diretta da Marco Belpoliti, concludendo che Shepard «è uno dei pensatori più attuali e penetranti del prossimo decennio», «ha qualcosa del reboot cognitivo e del manuale di sopravvivenza per il futuro. Possiamo rimpiangere di non averlo letto fin qui, ma sapere che c’è in inglese e che c’è e ci sarà in italiano è un buon inizio».