2021-08-29
Abbiamo 5.000 afgani da sistemare. Meloni: «Coinvolgere i Paesi vicini»
Concluso ieri il ponte aereo con Kabul, ora i profughi verranno distribuiti fra i Comuni, ma servono altri soldi. La leader di Fdi posa con Orbán (e sfida la Lega al governo): «L'accoglienza non gravi ancora sull'Europa»I rifugiati in arrivo dall'Afghanistan vengono controllati, fin qui pochissimi i positivi Si sta procedendo con le punture, somministrate con l'aiuto di mediatori culturaliLo speciale contiene due articoliSi è conclusa ieri mattina l'operazione Aquila Omnia, il ponte aereo umanitario iniziato a Ferragosto da Kabul verso l'Italia. Il ministro degli Esteri Luigi Di Maio ha accolto all'aeroporto di Fiumicino l'ultimo volo decollato l'altro ieri pomeriggio alle 15 dall'aeroporto Hamid Karzai di Kabul: un C130 dell'aeronautica militare che ha riportato in Italia dall'Afghanistan 110 persone, tra cui 58 afghani. A bordo c'erano anche il console Tommaso Claudi, l'ambasciatore Stefano Pontecorvo, lo staff Nato e carabinieri del Tuscania. «Abbiamo accolto», commenta Di Maio, «diplomatici e militari tornati da Kabul. Nei loro volti la stanchezza di giornate lunghe, di un lavoro difficile e rischioso, ma anche l'emozione di esser ritornati in patria, dai propri cari. Si conclude la fase 1», aggiunge Di Maio, «l'Italia ha evacuato circa 5.000 civili afghani, siamo stati il primo Paese dell'Unione europea per numero di evacuazioni. Adesso inizia la fase 2. In settimana partirà il piano italiano per il popolo afghano, che ho illustrato nei giorni scorsi in Consiglio dei ministri, con la prima riunione della cabina di regia interministeriale», aggiunge il ministro degli Esteri, «così da coordinare le iniziative per l'accoglienza e la formazione di tanti bambini e ragazzi arrivati in Italia». I dettagli dell'operazione vengono forniti dal ministro della Difesa, Lorenzo Guerini: «Sono state evacuate 5.011 persone», dice Guerini, «di cui 4.890 afghani. Tra di loro 1.301 donne e 1.453 bambini». Concluse le operazioni di rientro, va avanti la macchina degli aiuti e assistenza ai profughi giunti in Italia, che vede in campo enti e istituzioni di tutta la penisola, con la Croce rossa in prima linea. I profughi afghani devono affrontare la quarantena e poi ricevere la vaccinazione, prima di essere smistati presso centri di accoglienza, enti di assistenza o familiari già residenti in Italia. La disposizione del governo è quella di non dividere i gruppi familiari. La maggior parte dei profughi afghani verrà distribuita nelle strutture della rete Sai (Sistema accoglienza integrazione) e Cas (Centri di accoglienza straordinaria). I posti messi a disposizione dai Comuni del Sai non sono tuttavia sufficienti e sarà dunque necessario varare un provvedimento per ampliarli, con conseguente copertura finanziaria. Come scritto ieri dalla Verità, si rincorrono voci sull'ipotesi di riaprire anche il Cara di Mineo, in provincia di Catania, il centro di accoglienza per richiedenti asilo più grande d'Europa, quattrocento villette a schiera identificate ognuno con un numero, con tutto attorno una recinzione di filo spinato, che è arrivato a ospitare anche 4.000 immigrati, con gravissimi problemi di sicurezza e igienico-sanitari. Costruito nel 2011 per alloggiare i militari americani di stanza a Sigonella, negli anni è diventato il simbolo di come non si gestisce l'immigrazione, un vero e proprio ghetto incontrollabile, teatro di rivolte, scandali e oggetto di infinite polemiche, fino alla chiusura nel giugno 2019, voluta dall'allora ministro degli Interni, Matteo Salvini. Sono diversi gli indizi che fanno ipotizzare una riapertura, che sarebbe stata suggerita all'Italia dagli Stati Uniti: alcuni degli operatori che lavoravano nel centro sono stati recentemente ricontattati, mentre all'interno della struttura si notano lavori in corso. «Sarebbe davvero singolare», denuncia Fabio Cantarella, assessore alla sicurezza del Comune di Catania e esponente della segreteria nazionale della Lega, «che dopo aver fatto tanto per chiudere il Cara di Mineo adesso lo si riapra di soppiatto addirittura per soddisfare le esigenze del governo degli Stati Uniti. Si tratta di una vicenda poco chiara, di certo c'è che all'ex Cara di Mineo sono in corso dei lavori che fanno pensare a un impiego della struttura nuovamente nell'accoglienza. È singolare però che di questa attività il sindaco e altre autorità siano all'oscuro. Centinaia di afghani salvati dalla furia integralista dei talebani», argomenta Cantarella, «stanno arrivando nella stazione aeronavale della Marina Usa nel Sud Est della Sicilia. È chiaro che la base sarà solo uno snodo dell'accoglienza americana e a questo punto ci sarebbe da capire se la meta finale dei profughi siano gli Stati Uniti o il più vicino ex Cara di Mineo. Non è in discussione l'accoglienza dei profughi afghani», tiene a sottolineare l'esponente del Carroccio, «che tutti abbiamo il dovere di aiutare in ogni modo ma è giusto che da parte del governo ci sia chiarezza sul futuro dell'ex Cara e se questo è al centro di accordi per la gestione del flusso di sfollati da Kabul. A noi preoccupa il modello di accoglienza, chiudendo il Cara di Mineo con Matteo Salvini ne abbiamo archiviato uno», conclude Cantarella, «e ci dispiacerebbe che venisse riesumato con la scusa dell'emergenza». Da forza di governo, la Lega si guarda bene dal sollevare problemi in merito all'accoglienza dei profughi afghani, uomini, donne e bambini in fuga da una terra oppressa dal regime dei Talebani e devastata dal terrorismo. Da parte sua, invece, Giorgia Meloni, non perde occasione per pubblicare su Facebook una riflessione critica, prendendo spunto da un incontro con il presidente ungherese Viktor Orbán: «Ho avuto il piacere», scrive la leader di Fratelli d'Italia, «di salutare Viktor Orbán, in visita privata a Roma. Abbiamo fatto il punto sulle vicende internazionali di questi giorni, a partire dall'Afghanistan e dalla necessità di coinvolgere i Paesi confinanti nell'accoglienza dei profughi senza gravare ulteriormente sull'Europa. Insieme», aggiunge la Meloni, «continuiamo a lavorare verso l'obiettivo comune di avere una destra europea sempre più forte e decisiva».
Il primo ministro del Pakistan Shehbaz Sharif e il principe ereditario saudita Mohammed bin Salman (Getty Images)
Riyadh e Islamabad hanno firmato un patto di difesa reciproca, che include anche la deterrenza nucleare pakistana. L’intesa rafforza la cooperazione militare e ridefinisce gli equilibri regionali dopo l’attacco israeliano a Doha.
Emanuele Orsini e Dario Scannapieco