2019-04-01
Abbiamo 350 jihadisti del Califfato sull’altra sponda del Mare Adriatico
Dopo la disfatta dello Stato islamico, si stanno concentrando nel Kosovo, nota fucina di foreign fighters. Pristina vuole la liberalizzazione dei visti nell'Ue così si spalancheranno le porte a schiere di miliziani. Il deputato serbo: «Nel Paese già censiti cinque campi di Daesh Svegliatevi: tra i Balcani e la Puglia passano solo 100 chilometri».Lo speciale contiene due articoliI salentini lo sanno: in certe giornate terse, dalla costa adriatica si scorgono le montagne dell'Albania. I Balcani sono a una manciata di chilometri in linea d'aria. E poco oltre i monti albanesi, in un lembo di terra non più grande dell'Abruzzo, ci sono anche i nostri più temibili nemici: i jihadisti.Dal Kosovo, Paese che nel 2008, dopo il sanguinoso conflitto con la Serbia, si è dichiarato unilateralmente indipendente, sono partiti per la Siria almeno 348 miliziani dell'Isis. Una cifra enorme, visto che la regione ha meno di 2 milioni di abitanti. Il Kosovo, dove circa il 95% della popolazione è di fede musulmana, è stato il secondo più grande esportatore di foreign fighters dopo la Tunisia. Con lo Stato islamico in rotta («ma è una disfatta territoriale, non ideologica», ricorda alla Verità il generale Giuseppe Morabito, membro del consiglio direttivo della Nato defense college foundation), molti di quei combattenti sono rientrati nel loro Paese. Altri, come un mese fa aveva denunciato il primo ministro kosovaro, Ramush Haradinaj, stanno per rientrare. Per circa un centinaio di loro si sono aperte le porte della galera. Ma in una regione tristemente nota per la criminalità organizzata e il traffico d'organi, la maggior parte è uscita o uscirà in pochi mesi. L'ha ammesso al Times anche uno dei ministri kosovari che si era occupato di antiterrorismo, Fikrije Krasniqi: «I giudici faticano a comminare lunghe condanne contro i membri dell'Isis a causa della mancanza di prove. Inoltre, la mancanza di un sistema rigido lascia molti sospetti terroristi liberi». Insomma, abbiamo potenziali attentatori islamici sull'altra sponda dell'Adriatico. Una minaccia gravissima, se si considera che il governo di Pristina, pur non facendo parte dell'Ue, da anni chiede a Bruxelles la libera circolazione senza visto obbligatorio all'interno dell'Unione.Alla Verità, l'onorevole Vito Comencini, esponente della Lega in commissione Esteri, ha riferito che giovedì scorso, in quell'ufficio parlamentare, si è svolto un incontro informale con alcuni delegati di Pristina. E cosa chiedevano costoro? La liberalizzazione dei visti, appunto. Un'ipotesi che trova già d'accordo l'Europarlamento, ma che sta suscitando, per fortuna, l'opposizione di Paesi come Francia, Germania e la stessa Italia. È facile immaginare cosa significherebbe la «libera circolazione». In Kosovo, che è la terra d'origine di Lavdrim Muhaxheri, un «martire» del Califfato eloquentemente soprannominato «Il Macellaio», «i foreign fighters potrebbero essere considerati come dei veterani da emulare», spiega Morabito. Nella regione, la maggior parte delle moschee e delle scuole viene costruita con donazioni riconducibili ad Arabia Saudita e Turchia; è facile che i giovani trovino in questi miliziani degli esempi da imitare. «Basterebbe un analogo del programma Erasmus», ribadisce il generale «e questi ragazzi, dopo essere stati radicalizzati, potrebbero venire a studiare da noi ingegneria o chimica. E indovini cosa può fare un chimico potenziale terrorista...». Un'idea? A giugno 2018, è stata arrestata una coppia di kosovari sospettati di pianificare attentati in Francia e Belgio.È evidente che l'esecutivo di Pristina non può o non vuole affrontare il problema. E lascia liberi di cercare nuove reclute gli ex combattenti dell'Isis. Come Fitim Lladrovci, che in Siria c'è andato due volte. Ora è in Kosovo e continua a fare proselitismo. Attenzione, però. Tenere i jihadisti in carcere in Kosovo non sarebbe una garanzia. Il rischio, al contrario, è che si mettano a indottrinare e reclutare pure lì dentro. Per questo, il governo di recente ha varato un piano per contrastare la radicalizzazione nelle galere, inviando una serie di imam «moderati» a predicare tra i detenuti. È improbabile che questa misura serva a qualcosa, in uno Stato fallito, in cui l'autorità centrale è incapace di imporsi sulle bande armate e in cui l'islam è stato per decenni «allattato» dai neo ottomani di Ankara e da Riad. In particolare, in Kosovo c'è stata una forte penetrazione dell'estremismo wahabita e salafita attraverso varie Ong saudite, quali Rinia Islame, che hanno finanziato edifici religiosi, scuole e hanno sovvenzionato i foreign fighers.Proprio la massiccia presenza di musulmani radicali ha costretto le forze Nato, con la missione Kfor, a garantire la protezione dei monasteri ortodossi del Paese. Noi italiani siamo ininterrottamente al comando dell'operazione dal 2013. Ma la presenza militare non basta a contenere i jihadisti. L'Europa, con poche eccezioni, si è affrettata a riconoscere l'indipendenza del Kosovo. Ma «un Kosovo monoetnico e monoreligioso», ha lamentato pochi giorni fa il vescovo ortodosso serbo Artemije Radosavljevic, «verrà utilizzato per rafforzare l'Al Qaeda bianca», la costola di quell'organizzazione terroristica costituita da miliziani dai tratti somatici europei. «A 20 anni dall'inizio delle operazioni Nato in Kosovo, l'Ue poteva fare di più. Servirebbe un grande piano Marshall per ridurre i pericoli nella regione», conclude il generale Morabito. «È un Paese con un Pil pro capite di 4.500 dollari l'anno, chiaro che i giovani, senza un lavoro e un futuro certo, siano molto esposti all'indottrinamento. E poi bisognerebbe tenere alto il livello di controllo. Ma il governo del Kosovo lo vuole davvero?». Appunto: il governo del Kosovo lo vuole davvero?<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/abbiamo-350-jihadisti-del-califfato-sullaltra-sponda-del-mare-adriatico-2633315684.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="ritornano-dalla-siria-e-addestrano-nuove-leve" data-post-id="2633315684" data-published-at="1764021427" data-use-pagination="False"> «Ritornano dalla Siria e addestrano nuove leve» Jovan Palalic è un deputato serbo. Esponente del Partito del popolo serbo, alleato dell'attuale governo di centrodestra, Palalic, grande ammiratore dell'Italia, da anni denuncia il pericolo della polveriera islamista in Kosovo. Onorevole Palalic, il radicalismo in Kosovo è un fenomeno antico? «Due decenni fa ci fu una conferenza islamica in Pakistan. In quella conferenza, si disse che la lotta dei separatisti kosovari andava considerata alla stregua di una jihad». La secessione dalla Serbia era una guerra santa? «Per gli islamisti, sì. E vari Stati islamici hanno aiutato i combattenti kosovari. Durante la guerra, furono installati dei campi d'addestramento per i separatisti». Questi campi d'addestramento sono rimasti? «Sì. Sono stati riadattati per i jihadisti». Cioè? «Secondo il sito d'informazione russo Sputnik, sono attivi in Kosovo cinque campi d'addestramento dell'Isis». Molti kosovari hanno combattuto per il Califfato. «Più di 300. E adesso molti di loro sono ritornati in Kosovo e sono attivi come addestratori in quei campi». Cosa succede ai serbi che vivono in Kosovo? «Già da tre anni, sulle abitazioni delle famiglie di etnia serba sono comparse delle scritte inneggianti all'Isis». Il governo di Pristina ha reagito? «Il governo non funziona». Che intende? «Secondo noi serbi, il Kosovo è un fake State. Non funzionano le istituzioni, c'è un enorme tasso di criminalità. Figuriamoci se possono contrastare i fondamentalisti». Quindi, non esiste nessuna contromisura. «Persino i rappresentanti internazionali tacciono sui centri d'addestramento islamisti in Kosovo. Tutti». La Turchia contribuisce a radicalizzare il Kosovo? «La Turchia coltiva ancora un vecchio progetto, quello del “corridoio verde"». Il corridoio verde? Cos'è? «L'idea di penetrare nel cuore dell'Europa e di destabilizzarla attraverso i Balcani». Penetrare in Europa attraverso il Kosovo? «Il Kosovo, la Bosnia Erzegovina e l'Albania. Ovvero, le regioni a forte presenza musulmana. Non a caso, la Turchia è la prima ad aver sostenuto l'indipendenza del Kosovo». Il corridoio verde rientra nel disegno neo ottomano di Recep Tayyip Erdogan? «Sì. Basta una dichiarazione per capire a cosa ambisca Erdogan». Quale dichiarazione? «Ha detto che Santa Sofia, oggi un museo, tornerà a essere una moschea». Una moschea? «Sì. È una minaccia rivolta a tutti i cristiani ortodossi». E l'Arabia Saudita? «È molto presente in Kosovo e in Bosnia. Finanzia moschee, scuole, università… C'è una vera e propria penetrazione ideologica dell'islam saudita». Il fondamentalismo islamico in Kosovo è una minaccia per l'Europa? «Certo. La situazione è molto pericolosa per i Balcani e il resto dell'Europa. Si può supporre che nei campi d'addestramento si stiano preparando i terroristi per attacchi nel cuore del continente». Stanno preparando attacchi terroristici? «Non posso dire con certezza se siano già pronti. Però è molto importante che l'Europa si svegli. Il Rassemblement nazionale in Francia e la Lega possono contribuire». Confida nella Lega? «Sì, anche perché l'Italia è uno dei diretti interessati dal problema: da Pristina alla Puglia passano 100 chilometri in linea d'aria».
Foto @Elena Oricelli
Dal 6 dicembre il viaggio della Fiamma Olimpica di Milano Cortina 2026 toccherà 60 città italiane tra concerti, sportivi e iniziative sociali, coinvolgendo le comunità in vista dei Giochi.
Coca-Cola, partner del viaggio della Fiamma Olimpica di Milano Cortina 2026, ha presentato le iniziative che accompagneranno il percorso della torcia attraverso l’Italia, un itinerario di 63 giorni che partirà il 6 dicembre e toccherà 60 città. L’obiettivo dichiarato è trasformare l’attesa dei Giochi in un momento di partecipazione diffusa, con eventi e attività pensati per coinvolgere le comunità locali.
Le celebrazioni si apriranno il 5 dicembre a Roma, allo Stadio dei Marmi, con un concerto gratuito intitolato The Coca-Cola Music Fest – Il viaggio della Fiamma Olimpica. Sul palco si alterneranno Mahmood, Noemi, The Kolors, Tananai e Carl Brave. L’evento, secondo l’azienda, vuole rappresentare un omaggio collettivo all’avvio del percorso che porterà la Fiamma Olimpica in tutta Italia. «Il viaggio della Fiamma unisce storie, territori e persone, trasformando l’attesa dei Giochi in un’esperienza che appartiene a tutti», ha dichiarato Luca Santandrea, general manager olympic and paralympic Winter Games Milano Cortina 2026 di Coca-Cola.
Come in altre edizioni, Coca-Cola affiancherà il percorso selezionando alcuni tedofori. Tra i nomi annunciati compaiono artisti come Noemi, Mahmood e Stash dei The Kolors, volti dell’intrattenimento come Benedetta Parodi e The Jackal, e diversi atleti: Simone Barlaam, Myriam Sylla, Deborah Compagnoni, Ivan Zaytsev, Mara Navarria e Ciro Ferrara. La lista include anche associazioni attive nel sociale – dalla Croce Rossa al Banco Alimentare, passando per l’Unione italiana dei ciechi e ipovedenti – a cui viene attribuito il compito di rappresentare l’impegno civile legato allo spirito olimpico.
Elemento ricorrente di ogni tappa sarà il truck Coca-Cola, un mezzo ispirato alle auto italiane vintage e dotato di schermi led e installazioni luminose. Il convoglio, accompagnato da dj e animatori, aprirà l’arrivo della torcia nelle varie città. Accanto al truck verrà allestito il Coca-Cola Village, spazio dedicato a musica, cibo e attività sportive, compresi percorsi interattivi realizzati sotto il marchio Powerade. L’azienda sottolinea anche l’attenzione alla sostenibilità: durante il tour saranno distribuite mini-lattine in alluminio e, grazie alla collaborazione con CiAl, sarà organizzata la raccolta dei contenitori nelle aree di festa. Nelle City Celebration sarà inoltre possibile sostenere il Banco Alimentare attraverso donazioni.
Secondo un sondaggio SWG citato dall’azienda, due italiani su tre percepiscono il Viaggio della Fiamma Olimpica come un’occasione per rafforzare i legami tra le comunità locali. Coca-Cola richiama inoltre la propria lunga presenza nel Paese, risalente al 1927, quando la prima bottiglia fu imbottigliata a Roma. «Sarà un viaggio che attraverserà territori e tradizioni, un ponte tra sport e comunità», ha affermato Maria Laura Iascone, Ceremonies Director di Milano Cortina 2026.
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Nicola Fratoianni, Elly Schlein e Angelo Bonelli (Ansa)