2023-07-09
«La mia pattuglia di esploratori va a caccia di alberi monumentali»
Il presidente dell’associazione Rami, Elia Fontana: «Abbiamo 80 appassionati che in Italia hanno già censito 15.000 piante. È un gioco affascinante, ma non solo. La mappatura dei volontari semplifica il lavoro degli addetti alla tutela».Elia Fontana (Milano, 1960) nasce nella periferia quando i prati e le cascine lasciavano il posto ai casermoni del boom economico. Studi in scienze agrarie, migra a Vicenza dove lavora in agricoltura e, nel tempo libero, si occupa con passione di valorizzare la conoscenza degli alberi monumentali; è presidente dell’associazione Rami, che gestisce il Registro degli alberi, sito e pagina social particolarmente seguiti e che ha censito oltre 15.000 grandi e annosi alberi del nostro Paese.Come nasce la passione di Elia Fontana per gli alberi?«Tutto comincia con una nonna friulana che amava la natura e gli alberi; ricordo bene gli alberi che ho arrampicato da bambino: gelsi, fichi, ciliegi, noci, noccioli, cornioli. Da ragazzo sento il bisogno di esplorare e “salire in alto”, ho trovato piena soddisfazione nella montagna e in particolare nell’alpinismo, un’attività che agevola il raggiungimento degli alberi che vivono in zone impervie. Da adulto è stata la professione di agronomo a consentirmi una crescente comprensione delle piante, soprattutto per quanto concerne la fisiologia, la nutrizione e la difesa dai parassiti. Insieme all’esperienza è maturata anche l’amara constatazione che l’agricoltura moderna ha esercitato un enorme processo di semplificazione degli ecosistemi, portando a una drastica riduzione della biodiversità e a un notevole aumento dei problemi ambientali. L’incontro con gli alberi monumentali è relativamente recente; nel 2014 nasce l’amicizia con Valido Capodarca, uno dei primi “cercatori d’alberi”. È stata come una rivelazione: gli alberi monumentali sono ovunque ma per incontrarli devi avviare una ricerca personale basata sulla raccolta di informazioni, sul passaparola, su viaggi fatti con qualsiasi mezzo (a piedi, in bici, in moto, in auto, in treno). Questi viaggi nello spazio e nella memoria rappresentano una parte importante della mia vita recente e, poiché non amo viaggiare da solo, moglie, figli e amici sono diventati i compagni di avventura alla ricerca dei grandi alberi italiani. Quando riguardo le foto degli alberi e di mio figlio Paolo (il piccolo), mi rendo conto di aver documentato la sua crescita dai 9 ai 18 anni. Fotografare l’incontro con i grandi alberi è importante, la macchina fotografica cerca di fissare quel groviglio di pensieri e di emozioni. Cercare di “far vedere” gli alberi è la cosa che mi gratifica maggiormente. Attraverso una fotografia si possono comunicare i valori che riguardano i grandi alberi: l’età, la dimensione, il portamento, la complessità ecologica, il legame con la storia dell’uomo».Il Registro degli alberi: avete recensito in tutta Italia, a oggi, oltre 15.000 alberi. Ogni post riceve migliaia di like e molti commenti, un seguito importante. Come nasce questa realtà e come si articola la sua azione di ricerca e documentazione.«Nel 2009 un gruppo Facebook creato da Francesco Nasini e Valido Capodarca ha fatto crescere una comunità virtuale di “cercatori d’alberi” che, nel tempo, hanno sentito il bisogno di interagire tra loro per scambiarsi esperienze e informazioni. Nel 2019 queste persone decidono di costituire un’organizzazione di volontariato con due scopi principali: favorire la conoscenza degli alberi monumentali e promuovere il loro censimento. Attualmente l’associazione ha circa 80 “cercatori d’alberi”, distribuiti nelle diverse regioni italiane. Gli associati usano il sito Web per condividere le informazioni e aggiornarle. Il lavoro è ancora in gran parte da compiere: stimiamo che siano decine di migliaia gli alberi italiani potenzialmente monumentali».Che cosa vi dicono le persone che vi seguono, che tipo di lettori segue i vostri post?«Ci sono diverse tipologie di lettori. La maggior parte è semplicemente attratta dalle immagini dei grandi alberi che suscitano sentimenti di stupore, rispetto e ammirazione. Una parte dei lettori è mossa da un senso di urgenza rispetto a tematiche di difesa ambientale. Una minoranza di “lettori esperti” è attratta dagli aspetti più tecnici: la classificazione botanica, la stima dell’età, i criteri di monumentalità».Da alcuni anni l’associazione Rami, creata con un gruppo di appassionati cercatori di alberi, attiva in tutta Italia, pubblica un calendario dedicato ai grandi alberi. Come viene realizzato e distribuito?«Siamo arrivati alla quinta edizione e ogni anno cerchiamo di proporre 12 alberi di specie diverse in altrettante regioni italiane. Il calendario degli alberi monumentali sta diventando sempre più un “programma” delle attività che l’associazione sviluppa attraverso collaborazioni con enti diversi: università, orti botanici, amministrazioni pubbliche. I soci propongono le loro foto che saranno selezionate secondo uno specifico progetto editoriale. La distribuzione è affidata ai volontari che contribuiscono in tal modo alla raccolta fondi per il sostegno dell’associazione».Secondo lei cosa manca ancora nel nostro Paese affinché gli alberi secolari e monumentali siano adeguatamente conosciuti e protetti?«Da un lato l’opinione pubblica sembra comprendere il ruolo degli alberi come freno ai cambiamenti climatici, dall’altro la convivenza con gli alberi in ambito urbano sembra difficile, come sempre. Per quel che riguarda il censimento degli alberi monumentali è ormai chiaro che sarebbe utile separare i due concetti di censimento e tutela, come due fasi distinte dello stesso processo. Prima bisogna conoscere gli alberi e censirli in modo sistematico. Subito dopo occorre decidere i provvedimenti di cura e tutela. Anche i ruoli potrebbero essere distinti, chi cerca gli alberi fa un lavoro oscuro e prezioso che prepara la strada a chi deve valutare gli eventuali interventi di protezione. Le organizzazioni di volontariato, come il Registro degli alberi, possono dare un contributo sul modello anglosassone e americano. Un obiettivo importante, infine, è creare un collegamento tra le comunità e gli alberi del territorio, promuovendo forme di “memoria attiva” che facciano crescere la consapevolezza dei cittadini sull’importante ruolo degli alberi monumentali. Bisogna avvicinare i bambini ai grandi alberi, stimolandoli anche attraverso il gioco. In fondo “cercare gli alberi” è un bellissimo gioco (per adulti e bambini) pieno di avventura, divertimento e voglia di fare nuove scoperte».
Giancarlo Giorgetti (Ansa)
Giorgetti ha poi escluso la possibilità di una manovra correttiva: «Non c'è bisogno di correggere una rotta che già gli arbitri ci dicono essere quella rotta giusta» e sottolinea l'obiettivo di tutelare e andare incontro alle famiglie e ai lavoratori con uno sguardo alle famiglie numerose». Per quanto riguarda l'ipotesi di un intervento in manovra sulle banche ha detto: «Io penso che chiunque faccia l'amministratore pubblico debba valutare con attenzione ogni euro speso dalla pubblica amministrazione. Però queste sono valutazioni politiche, ribadisco che saranno fatte solo quando il quadro di priorità sarà definito e basta aspettare due settimane».
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Il direttore generale di Renexia Riccardo Toto e il direttore de La Verità Maurizio Belpietro
Toto ha presentato il progetto di eolico offshore galleggiante al largo delle coste siciliane, destinato a produrre circa 2,7 gigawatt di energia rinnovabile. Un’iniziativa che, secondo il direttore di Renexia, rappresenta un’opportunità concreta per creare nuova occupazione e una filiera industriale nazionale: «Stiamo avviando una fabbrica in Abruzzo che genererebbe 3.200 posti di lavoro. Le rinnovabili oggi sono un’occasione per far partire un mercato che può valere fino a 45 miliardi di euro di valore aggiunto per l’economia italiana».
L’intervento ha sottolineato l’importanza di integrare le rinnovabili nel mix energetico, senza prescindere dal gas, dalle batterie e in futuro anche dal nucleare: elementi essenziali non solo per la sicurezza energetica ma anche per garantire crescita e competitività. «Non esiste un’economia senza energia - ha detto Toto - È utopistico pensare di avere solo veicoli elettrici o di modificare il mercato per legge». Toto ha inoltre evidenziato la necessità di una decisione politica chiara per far partire l’eolico offshore, con un decreto che stabilisca regole precise su dove realizzare i progetti e investimenti da privilegiare sul territorio italiano, evitando l’importazione di componenti dall’estero. Sul decreto Fer 2, secondo Renexia, occorre ripensare i tempi e le modalità: «Non dovrebbe essere lanciato prima del 2032. Serve un piano che favorisca gli investimenti in Italia e la nascita di una filiera industriale completa». Infine, Toto ha affrontato il tema della transizione energetica e dei limiti imposti dalla legislazione internazionale: la fine dei motori a combustione nel 2035, ad esempio, appare secondo lui irrealistica senza un sistema energetico pronto. «Non si può pensare di arrivare negli Usa con aerei a idrogeno o di avere un sistema completamente elettrico senza basi logiche e infrastrutturali solide».
L’incontro ha così messo in luce le opportunità dell’eolico offshore come leva strategica per innovazione, lavoro e crescita economica, sottolineando l’urgenza di politiche coerenti e investimenti mirati per trasformare l’Italia in un hub energetico competitivo in Europa.
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Da sinistra, Leonardo Meoli (Group Head of Sustainability Business Integration), Marzia Ravanelli (direttrice Quality & Sustainability) di Bonifiche Feraresi, Giuliano Zulin (La Verità) e Nicola Perizzolo (project engineer)
Al panel su Made in Italy e sostenibilità, moderato da Giuliano Zulin, vicedirettore de La Verità, tre grandi realtà italiane si sono confrontate sul tema della transizione sostenibile: Bonifiche Ferraresi, la più grande azienda agricola italiana, Barilla, colosso del food, e Generali, tra i principali gruppi assicurativi europei. Tre prospettive diverse – la terra, l’industria alimentare e la finanza – che hanno mostrato come la sostenibilità, oggi, sia al centro delle strategie di sviluppo e soprattutto della valorizzazione del Made in Italy. «Non sono d’accordo che l’agricoltura sia sempre sostenibile – ha esordito Marzia Ravanelli, direttrice del Gruppo Quality & Sustainability di Bonifiche Ferraresi –. Per sfamare il pianeta servono produzioni consistenti, e per questo il tema della sostenibilità è diventato cruciale. Noi siamo partiti dalla terra, che è la nostra anima e la nostra base, e abbiamo cercato di portare avanti un modello di valorizzazione del Made in Italy e del prodotto agricolo, per poi arrivare anche al prodotto trasformato. Il nostro obiettivo è sempre stato quello di farlo nel modo più sostenibile possibile».
Per Bf, quotata in Borsa e con oltre 11.000 ettari coltivati, la sostenibilità passa soprattutto dall’innovazione. «Attraverso l’agricoltura 4.0 – ha spiegato Ravanelli – siamo in grado di dare al terreno solo quello di cui ha bisogno, quando ne ha bisogno. Così riduciamo al minimo l’uso delle risorse: dall’acqua ai fitofarmaci. Questo approccio è un grande punto di svolta: per anni è stato sottovalutato, oggi è diventato centrale». Ma non si tratta solo di coltivare. L’azienda sta lavorando anche sull’energia: «Abbiamo dotato i nostri stabilimenti di impianti fotovoltaici e stiamo realizzando un impianto di biometano a Jolanda di Savoia, proprio dove si trova la maggior parte delle nostre superfici agricole. L’agricoltura, oltre a produrre cibo, può produrre energia, riducendo i costi e aumentando l’autonomia. È questa la sfida del futuro». Dall’agricoltura si passa all’industria alimentare.
Nicola Perizzolo, project engineer di Barilla, ha sottolineato come la sostenibilità non sia una moda, ma un percorso strutturale, con obiettivi chiari e risorse ingenti. «La proprietà, anni fa, ha preso una posizione netta: vogliamo essere un’azienda di un certo tipo e fare business in un certo modo. Oggi questo significa avere un board Esg che definisce la strategia e un piano concreto che ci porterà al 2030, con un investimento da 168 milioni di euro».Non è un impegno “di facciata”. Perizzolo ha raccontato un esempio pratico: «Quando valutiamo un investimento, per esempio l’acquisto di un nuovo forno per i biscotti, inseriamo nei costi anche il valore della CO₂ che verrà emessa. Questo cambia le scelte: non prendiamo più il forno standard, ma pretendiamo soluzioni innovative dai fornitori, anche se più complicate da gestire. Il risultato è che consumiamo meno energia, pur garantendo al consumatore lo stesso prodotto. È stato uno stimolo enorme, altrimenti avremmo continuato a fare quello che si è sempre fatto».
Secondo Perizzolo, la sostenibilità è anche una leva reputazionale e sociale: «Barilla è disposta ad accettare tempi di ritorno più lunghi sugli investimenti legati alla sostenibilità. Lo facciamo perché crediamo che ci siano benefici indiretti: la reputazione, l’attrattività verso i giovani, la fiducia dei consumatori. Gli ingegneri che partecipano alle selezioni ci chiedono se quello che dichiariamo è vero. Una volta entrati, verificano con mano che lo è davvero. Questo fa la differenza».
Se agricoltura e industria alimentare sono chiamate a garantire filiere più pulite e trasparenti, la finanza deve fare la sua parte nel sostenerle. Leonardo Meoli, Group Head of Sustainability Business Integration di Generali, ha ricordato come la compagnia assicurativa lavori da anni per integrare la sostenibilità nei modelli di business: «Ogni nostra attività viene valutata sia dal punto di vista economico, sia in termini di impatto ambientale e sociale. Abbiamo stanziato 12 miliardi di euro in tre anni per investimenti legati alla transizione energetica, e siamo molto focalizzati sul supporto alle imprese e agli individui nella resilienza e nella protezione dai rischi climatici». Il mercato, ha osservato Meoli, risponde positivamente: «Vediamo che i volumi dei prodotti assicurativi con caratteristiche ESG crescono, soprattutto in Europa e in Asia. Ma è chiaro che non basta dire che un prodotto è sostenibile: deve anche garantire un ritorno economico competitivo. Quando riusciamo a unire le due cose, il cliente risponde bene».
Dalle parole dei tre manager emerge una convinzione condivisa: la sostenibilità non è un costo da sopportare, ma un investimento che rafforza la competitività del Made in Italy. «Non si tratta solo di rispettare regole o rincorrere mode – ha sintetizzato Ravanelli –. Si tratta di creare un modello di sviluppo che tenga insieme produzione, ambiente e società. Solo così possiamo guardare al futuro».In questo incrocio tra agricoltura, industria e finanza, il Made in Italy trova la sua forza. Il marchio non è più soltanto sinonimo di qualità e tradizione, ma sempre di più di innovazione e responsabilità. Dalle campagne di Jolanda di Savoia ai forni di Mulino Bianco, fino alle grandi scelte di investimento globale, la transizione passa per la capacità delle imprese italiane di essere sostenibili senza smettere di essere competitive. È la sfida del presente, ma soprattutto del futuro.
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