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Cercano la talpa, fischiettano sulla notizia
Francesco Saverio Garofani (Imagoeconomica)
Anziché sugli evidenti risvolti politici, il dibattito sul Quirinale gate si sta concentrando sui dettagli di colore: chi ha parlato? Non manca chi avvalora piste internazionali. Nessuno, tuttavia, sembra chiedersi se quelle dichiarazioni fossero opportune.

Gran parte della stampa non risponde alle logiche dell’informazione ma a quelle del potere. Prendete ad esempio il cosiddetto Garofani-gate. Invece di domandarsi se sia opportuno che una persona chiaramente schierata da una parte continui a ricoprire un ruolo super partes come quello di segretario del Consiglio supremo di Difesa, i giornali si sono scatenati alla ricerca della talpa che ha passato l’informazione.

Perché non può stare lì un minuto di più
Sergio Mattarella (Getty Images)

Il commento più sapido al «Garofani-gate» lo ha fatto Salvatore Merlo, del Foglio. Sotto il titolo «Anche le cene hanno orecchie. Il Quirinale non rischia a Palazzo, ma nei salotti satolli di vino e lasagnette», il giornalista del quotidiano romano ha scritto che «per difendere il presidente basta una mossa eroica: restarsene zitti con un bicchiere d’acqua in mano». Ecco, il nocciolo della questione che ha coinvolto il consigliere di Sergio Mattarella si può sintetizzare così: se sei un collaboratore importante del capo dello Stato non vai a cena in un ristorante e ti metti a parlare di come sconfiggere il centrodestra e di come evitare che il presidente del Consiglio faccia il bis.

Lo puoi fare, e dire ciò che vuoi, se sei un privato cittadino o un esponente politico. Se sei un ex parlamentare del Pd puoi parlare di listoni civici nazionali da schierare contro la Meloni e anche di come modificare la legge elettorale per impedire che rivinca. Puoi invocare provvidenziali scossoni che la facciano cadere e, se ti va, perfino dire che non vedi l’ora che se ne vada a casa. E addirittura come si debba organizzare il centrosinistra per raggiungere lo scopo. Ma se sei il rappresentante di un’istituzione che deve essere al di sopra delle parti devi essere e apparire imparziale.

«Solo in Italia è strano pubblicare le notizie»
Francesco Saverio Garofani (Imagoeconomica)
La posizione del segretario non è più sostenibile. Padellaro: «Si trattava di uno scoop e, come tale, bisognava farlo uscire». Anche Travaglio, sulla stessa linea, rincara la dose con la richiesta di allontanamento. Cavalli: «C’è in mezzo un pezzo del Pd».

Forse, dopotutto, la storia non è così ridicola, visto il putiferio che ha suscitato. E forse lo scoop della Verità sul consigliere del Quirinale Francesco Garofani non è nemmeno irrilevante dal punto di vista giornalistico. Almeno così sembrano pensarla in parecchi, di sicuro molti di più di quanto qualcuno vorrebbe far credere. Molti media si sono affannati nel tentativo di smontare le nostre ricostruzioni, hanno tentato di sminuire e di far torbide le acque. Ma ora cominciano a levarsi voci differenti. Un collega autorevole come Marcello Foa da giorni scrive che la squadra del presidente non è poi così super partes: «Questo è chiaro a tutti gli elettori di centrodestra e a quelli magari non schierati politicamente a cui la vicenda Garofani ha aperto gli occhi». Foa è stato lapidario: «Non potendo smentire, a Garofani non resta che una via. Quella delle dimissioni». A pensarla così è anche Marco Travaglio, che lo ha scritto chiaramente: «Garofani ha solo due strade: o smentisce, sperando di non essere sbugiardato da testimoni o registrazioni; o si dimette». Più articolato ma altrettanto netto è il ragionamento di Antonio Padellaro - fondatore e già direttore del Fatto, di certo non un uomo di destra - che parlando con la Verità inizia con ironia: «Sono molto amareggiato del fatto che a una riunione di romanisti non mi abbiano voluto», dice riferendosi al contesto in cui Garofani ha parlato dello «scossone» ai danni del governo Meloni. «A parte gli scherzi», continua, «sono abbastanza sorpreso, per non dire sbalordito, dalle reazioni che ci sono state su questa notizia, che è un fior di notizia. Qui non si tratta di esprimere opinioni. Qui c’è un fatto: La Verità, avendo ricevuto un documento e avendo probabilmente fatto tutte le verifiche, lo ha pubblicato. A me sembra una cosa di assoluta normalità, almeno in un normale mondo dell’informazione. Ma qui invece di guardare la luna si guarda il dito. La notizia è vera? Sì. È importante? Direi di sì, perché il clamore che ha suscitato dimostra che è di interesse pubblico. Quindi resto stupito - anche se fino a un certo punto, perché conosciamo i nostri polli - dalla reazione abbastanza stravagante che c’è stata».

Giornali e opposizione in coro contro «La Verità» rea di aver dato una notizia
Annalisa Cuzzocrea (Ansa)
Sulle prime pagine di ieri teneva banco la tesi della bufala. Smentita dall’interessato. E c’è chi, come il «Giornale», si vanta di aver avuto l’informazione e averla cestinata.

Il premio Furbitzer per il giornalista più sagace del Paese va senza dubbio a Massimiliano Scafi del Giornale. Da vecchio cronista qual è, infatti, lui ci ha tenuto subito a far sapere che quella «storia», cioè la notizia delle esternazioni del consigliere del Quirinale Francesco Saverio Garofani, lui ce l’aveva. Eccome. Gli era arrivata in redazione il giorno prima, nientemeno, e con un testo firmato Mario Rossi, nota formula usata dai più sagaci 007 del mondo quando vogliono nascondersi. C’era tutto. Proprio tutto.

Non solo il superconsigliere. Ecco nomi e incarichi nella squadra progressista del capo dello Stato
Ansa e Imagoeconomica
Il «cerchio magico» di Mattarella ha un profondo legame con la corrente progressista della Balena bianca: tra i consiglieri più fidati Guerrini e Astori. Ma anche il magistrato Erbani. Il portavoce? Ovviamente quel Grasso che firmava gli editoriali contro Berlusconi.
Da quando Sergio Mattarella è diventato presidente della Repubblica, nel 2015, il Quirinale è diventato il luogo in cui una parte precisa della storia politica italiana ha trovato la sua continuità più silenziosa. Non una corrente, non un partito, non una famiglia politica nel senso tradizionale: piuttosto la lunga ombra della vecchia sinistra democristiana, la componente cattolico-progressista che ha attraversato tre decenni di trasformazioni, dall’epoca della Prima Repubblica fino al Partito democratico. È un mondo che negli anni ha perso peso elettorale, ma che negli ingranaggi dello Stato ha mantenuto una presenza costante, stratificata, spesso decisiva.
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