2025-02-24
Dal 2014 a oggi oltre 50 golpe in 30 Paesi
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Negli ultimi dieci anni ci sono stati, secondo le stime più prudenti, 51 golpe tentati, falliti o riusciti in 30 Paesi nel mondo. È un dato, questo, che porta con sé alcune opportune riflessioni, poiché dietro due numeri che riguardano i colpi di Stato e le nazioni, risiedono realtà complesse: è pressoché evidente che dai dati succitati si possa dedurre che, in ripetute circostanze, Putsch riusciti o falliti siano stati compiuti più volte all’interno di uno stesso Paese. In più di un caso, inoltre, è quantomai difficile essere certi di usare la terminologia corretta, parlando di «colpo di Stato», perché le condizioni sociali e politiche, nonché le informazioni in nostro possesso, sono difficili da penetrare. Tecnicamente, si parla di colpo di Stato «intendendo un fatto contro la legge e al di fuori della legge, volto a modificare il vigente ordinamento dei pubblici poteri». In alcune regioni del mondo, come l’Africa e il Sudamerica, hanno avuto un impatto profondo, determinando la caduta di governi e l’instaurazione di regimi militari o autoritari. L’Africa è senza dubbio la regione con il più alto numero di colpi di Stato. Dal periodo delle indipendenze a oggi, molti paesi hanno vissuto frequenti rovesciamenti di governo, spesso per mano di militari o gruppi armati. Tra i Paesi africani più colpiti troviamo il Sudan, che ha subito un golpe nel 2019 con la deposizione di Omar al-Bashir, al potere dal 1989. Due anni dopo, nel 2021, un altro rovesciamento ha destabilizzato ulteriormente il Paese, portando a una nuova transizione politica, ancora oggi incerta. Al Sudan fanno seguito Mali, Guinea, Tunisia e Burkina Faso, che tra il 2021 e il 2022 hanno visto i rispettivi governi sovvertiti.
Analizzando il caso maliano si evince la complessità di quanto accennato sopra. Il Mali è stato teatro di diversi colpi di stato negli ultimi anni: un fatto che riflette una crisi politica e istituzionale profonda. Nell’agosto del 2020 un gruppo di ufficiali dell’esercito maliano ha destituito il presidente Ibrahim Boubacar Keïta. La crisi politica era già in corso da mesi, con proteste di massa, che denunciavano corruzione, cattiva gestione economica e insicurezza causata dalla presenza di gruppi jihadisti nel Paese. Il colpo di stato era stato orchestrato da militari di alto rango, tra cui il colonnello Assimi Goïta, che aveva poi assunto il ruolo di vicepresidente nel governo di transizione. La giunta giustificava l’azione con la necessità di «salvare il Paese dal caos», promettendo elezioni democratiche. Ma il periodo di transizione è stato tutt’altro che stabile. La promessa di una transizione pacifica è durata poco: nel maggio 2021, Assimi Goïta rimuoveva il presidente di transizione Bah Ndaw e il primo ministro Moctar Ouane, accusandoli di tentare di sabotare la giunta militare. Così facendo Goïta si era assicurato il potere, con conseguente nomina di presidente ad interim.
Un anno dopo, il governo maliano annunciava di aver sventato un tentativo di colpo di stato da parte di un gruppo di ufficiali. Secondo le autorità, i cospiratori erano «sostenuti da uno stato occidentale», senza specificare quale, e volevano «destabilizzare il regime di transizione». Un pretesto per rafforzare la repressione? A partire da quel momento sono scattati arresti tra gli ufficiali sospettati e ulteriori restrizioni alla libertà di stampa e politica. Sul piano internazionale il Mali ha raffreddato i rapporti con la Francia, rafforzando invece la cooperazione con la Russia, anche attraverso il gruppo paramilitare Wagner.
A chiudere la serie dei golpe africani c’è il Gabon, dove nel 2023, dopo le elezioni generali e la dichiarazione della vittoria del presidente Ali Bongo, con un colpo di mano i soldati della guardia presidenziale hanno annunciato l’annullamento delle elezioni e la «dissoluzione del regime».
Particolare invece il caso della Tunisia, che si pone sul limite di quella zona grigia in cui non si sa se parlare di un vero e proprio golpe. Nel 2021, il presidente Kaïs Saïed si era attribuito unilateralmente pieni poteri costituzionali, revocando i membri del governo e congelando le attività del parlamento, sciogliendo quindi di fatto l’organo. Il destro per mettere in pratica il suo disegno di accentramento del potere glielo aveva fornito l’instabilità in cui in quel momento il Paese versava a causa della pandemia di Covid.
Attraversando l’Atlantico meridionale ci spostiamo in Sudamerica, una terra che ha alle spalle una lunga storia di colpi di Stato, molti dei quali durante la guerra fredda, quando gli equilibri tra Stati Uniti e Unione Sovietica influenzavano pesantemente la politica locale. L’ultimo golpe significativo in America Latina è stato quello che in Bolivia ha portato alla caduta di Evo Morales nel 2019. Dopo una controversa elezione, il presidente era stato costretto a lasciare il Paese a seguito di pressioni militari e proteste di piazza, non senza agitazioni, tra chi vedeva la deposizione di Morales come un atto necessario per ristabilire la democrazia e chi, invece, lo considerava un attacco alla volontà popolare.
Nel XX secolo, Paesi come il Cile, con il golpe di Augusto Pinochet nel 1973, l’Argentina, con la dittatura del 1976-1983 e il Brasile (1964) hanno vissuto drammatici rovesciamenti di governo che hanno lasciato cicatrici profonde nelle società.
E se dalle Ande prendiamo un volo e ci spostiamo in quel del Mediterraneo, scopriamo che i colpi di Stato non sono soltanto episodi esotici che accadono nel Terzo e nel Quarto mondo. Il 15 luglio 2016 una fazione delle forze armate turche, in particolare ufficiali appartenenti all’esercito, all’aeronautica e alla gendarmeria, avevano tentato di sovvertire il governo di Recep Tayyip Erdoğan. I golpisti si erano identificati come il Consiglio per la pace nella Nazione (Yurtta Sulh Konseyi), dichiarando che il loro obiettivo era «ristabilire la democrazia e i diritti umani in Turchia». Avevano preso il controllo di alcune infrastrutture chiave, tra cui ponti a Istanbul e la sede della TV di Stato, e avevano dichiarato la legge marziale. Tuttavia, il tentativo fallì rapidamente grazie alla resistenza del governo, della polizia e di migliaia di cittadini che erano scesi in piazza su invito di Erdoğan.
Il governo turco attribuì il golpe alla rete di Fethullah Gülen, un predicatore islamico in esilio negli Stati Uniti, accusandolo di aver infiltrato istituzioni statali, incluse le forze armate, attraverso la sua organizzazione. In reazione a questo tentativo di Putsch, Erdoğan aveva avviato una vasta repressione, arrestando migliaia di militari, funzionari pubblici e giornalisti accusati di complicità.
Infine, non possiamo non concludere raccontando del golpe birmano del 2021, forse il più assurdo della storia recente. Khing Hnin Wai, insegnante di educazione fisica e di aerobica e content creator birmana, stava girando uno dei suoi video sul viale principale della capitale Naypyidaw, quando alle sue spalle erano spuntati i carri armati e i mezzi corazzati dell’esercito birmano che andavano a deporre l’ex leader Aung San Suu Kyi. La donna aveva affermato di non essersi accorta di nulla, impegnata com’era nei suoi balletti.
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L’Africa la regione più instabile, mentre in Sudamerica sovvertire il potere è una prassi. In Birmania il colpo di Stato avviene in diretta Facebook, mentre una content creator fa i balletti a Naypyidaw, la capitale.Negli ultimi dieci anni ci sono stati, secondo le stime più prudenti, 51 golpe tentati, falliti o riusciti in 30 Paesi nel mondo. È un dato, questo, che porta con sé alcune opportune riflessioni, poiché dietro due numeri che riguardano i colpi di Stato e le nazioni, risiedono realtà complesse: è pressoché evidente che dai dati succitati si possa dedurre che, in ripetute circostanze, Putsch riusciti o falliti siano stati compiuti più volte all’interno di uno stesso Paese. In più di un caso, inoltre, è quantomai difficile essere certi di usare la terminologia corretta, parlando di «colpo di Stato», perché le condizioni sociali e politiche, nonché le informazioni in nostro possesso, sono difficili da penetrare. Tecnicamente, si parla di colpo di Stato «intendendo un fatto contro la legge e al di fuori della legge, volto a modificare il vigente ordinamento dei pubblici poteri». In alcune regioni del mondo, come l’Africa e il Sudamerica, hanno avuto un impatto profondo, determinando la caduta di governi e l’instaurazione di regimi militari o autoritari. L’Africa è senza dubbio la regione con il più alto numero di colpi di Stato. Dal periodo delle indipendenze a oggi, molti paesi hanno vissuto frequenti rovesciamenti di governo, spesso per mano di militari o gruppi armati. Tra i Paesi africani più colpiti troviamo il Sudan, che ha subito un golpe nel 2019 con la deposizione di Omar al-Bashir, al potere dal 1989. Due anni dopo, nel 2021, un altro rovesciamento ha destabilizzato ulteriormente il Paese, portando a una nuova transizione politica, ancora oggi incerta. Al Sudan fanno seguito Mali, Guinea, Tunisia e Burkina Faso, che tra il 2021 e il 2022 hanno visto i rispettivi governi sovvertiti.Analizzando il caso maliano si evince la complessità di quanto accennato sopra. Il Mali è stato teatro di diversi colpi di stato negli ultimi anni: un fatto che riflette una crisi politica e istituzionale profonda. Nell’agosto del 2020 un gruppo di ufficiali dell’esercito maliano ha destituito il presidente Ibrahim Boubacar Keïta. La crisi politica era già in corso da mesi, con proteste di massa, che denunciavano corruzione, cattiva gestione economica e insicurezza causata dalla presenza di gruppi jihadisti nel Paese. Il colpo di stato era stato orchestrato da militari di alto rango, tra cui il colonnello Assimi Goïta, che aveva poi assunto il ruolo di vicepresidente nel governo di transizione. La giunta giustificava l’azione con la necessità di «salvare il Paese dal caos», promettendo elezioni democratiche. Ma il periodo di transizione è stato tutt’altro che stabile. La promessa di una transizione pacifica è durata poco: nel maggio 2021, Assimi Goïta rimuoveva il presidente di transizione Bah Ndaw e il primo ministro Moctar Ouane, accusandoli di tentare di sabotare la giunta militare. Così facendo Goïta si era assicurato il potere, con conseguente nomina di presidente ad interim.Un anno dopo, il governo maliano annunciava di aver sventato un tentativo di colpo di stato da parte di un gruppo di ufficiali. Secondo le autorità, i cospiratori erano «sostenuti da uno stato occidentale», senza specificare quale, e volevano «destabilizzare il regime di transizione». Un pretesto per rafforzare la repressione? A partire da quel momento sono scattati arresti tra gli ufficiali sospettati e ulteriori restrizioni alla libertà di stampa e politica. Sul piano internazionale il Mali ha raffreddato i rapporti con la Francia, rafforzando invece la cooperazione con la Russia, anche attraverso il gruppo paramilitare Wagner.A chiudere la serie dei golpe africani c’è il Gabon, dove nel 2023, dopo le elezioni generali e la dichiarazione della vittoria del presidente Ali Bongo, con un colpo di mano i soldati della guardia presidenziale hanno annunciato l’annullamento delle elezioni e la «dissoluzione del regime».Particolare invece il caso della Tunisia, che si pone sul limite di quella zona grigia in cui non si sa se parlare di un vero e proprio golpe. Nel 2021, il presidente Kaïs Saïed si era attribuito unilateralmente pieni poteri costituzionali, revocando i membri del governo e congelando le attività del parlamento, sciogliendo quindi di fatto l’organo. Il destro per mettere in pratica il suo disegno di accentramento del potere glielo aveva fornito l’instabilità in cui in quel momento il Paese versava a causa della pandemia di Covid. Attraversando l’Atlantico meridionale ci spostiamo in Sudamerica, una terra che ha alle spalle una lunga storia di colpi di Stato, molti dei quali durante la guerra fredda, quando gli equilibri tra Stati Uniti e Unione Sovietica influenzavano pesantemente la politica locale. L’ultimo golpe significativo in America Latina è stato quello che in Bolivia ha portato alla caduta di Evo Morales nel 2019. Dopo una controversa elezione, il presidente era stato costretto a lasciare il Paese a seguito di pressioni militari e proteste di piazza, non senza agitazioni, tra chi vedeva la deposizione di Morales come un atto necessario per ristabilire la democrazia e chi, invece, lo considerava un attacco alla volontà popolare.Nel XX secolo, Paesi come il Cile, con il golpe di Augusto Pinochet nel 1973, l’Argentina, con la dittatura del 1976-1983 e il Brasile (1964) hanno vissuto drammatici rovesciamenti di governo che hanno lasciato cicatrici profonde nelle società.E se dalle Ande prendiamo un volo e ci spostiamo in quel del Mediterraneo, scopriamo che i colpi di Stato non sono soltanto episodi esotici che accadono nel Terzo e nel Quarto mondo. Il 15 luglio 2016 una fazione delle forze armate turche, in particolare ufficiali appartenenti all’esercito, all’aeronautica e alla gendarmeria, avevano tentato di sovvertire il governo di Recep Tayyip Erdoğan. I golpisti si erano identificati come il Consiglio per la pace nella Nazione (Yurtta Sulh Konseyi), dichiarando che il loro obiettivo era «ristabilire la democrazia e i diritti umani in Turchia». Avevano preso il controllo di alcune infrastrutture chiave, tra cui ponti a Istanbul e la sede della TV di Stato, e avevano dichiarato la legge marziale. Tuttavia, il tentativo fallì rapidamente grazie alla resistenza del governo, della polizia e di migliaia di cittadini che erano scesi in piazza su invito di Erdoğan.Il governo turco attribuì il golpe alla rete di Fethullah Gülen, un predicatore islamico in esilio negli Stati Uniti, accusandolo di aver infiltrato istituzioni statali, incluse le forze armate, attraverso la sua organizzazione. In reazione a questo tentativo di Putsch, Erdoğan aveva avviato una vasta repressione, arrestando migliaia di militari, funzionari pubblici e giornalisti accusati di complicità.Infine, non possiamo non concludere raccontando del golpe birmano del 2021, forse il più assurdo della storia recente. Khing Hnin Wai, insegnante di educazione fisica e di aerobica e content creator birmana, stava girando uno dei suoi video sul viale principale della capitale Naypyidaw, quando alle sue spalle erano spuntati i carri armati e i mezzi corazzati dell’esercito birmano che andavano a deporre l’ex leader Aung San Suu Kyi. La donna aveva affermato di non essersi accorta di nulla, impegnata com’era nei suoi balletti.
Il presidente della Regione Toscana, Eugenio Giani, risponde al Maestro Riccardo Muti e si impegna a lavorare con il ministero degli Esteri per avviare contatti ai più alti livelli con la Francia per riportare a Firenze le spoglie del grande compositore Cherubini.
Michele Emiliano (Ansa)
Fino ad oggi, però, nessun risultato. Forse la comunicazione non è stata così «forte» come fu la lettera che proprio l’allora governatore dem inviò a tutti i dirigenti e dipendenti della Regione, delle sue agenzie e società partecipate, invitandoli a interrompere i rapporti con il governo di Netanyahu «a causa del genocidio di inermi palestinesi e con tutti quei soggetti ad esso riconducibili che non siano apertamente e dichiaratamente motivati dalla volontà di organizzare iniziative per far cessare il massacro nella Striscia di Gaza».
Ora, dopo l’addio di Emiliano e l’arrivo del neo governatore Antonio Decaro, gli sprechi non sarebbero stati eliminati dalle sette società nel mirino, parzialmente o interamente controllate dalla Regione Puglia: Acquedotto spa, InnovaPuglia, Aeroporti di Puglia, Puglia valore immobiliare, Terme di Santa Cesarea, Puglia sviluppo e Aseco. Infatti, secondo il report approdato in giunta regionale nel corso dell’ultima seduta, è stato evidenziato che non c’è stata riduzione di spesa di funzionamento in nessuna di queste, anzi in tre hanno addirittura superato i limiti per consulenze (Puglia sviluppo, Acquedotto e Terme di Santa Cesarea), mentre il dato peggiore è sulle spese di acquisto, manutenzione, noleggio delle auto o di acquisto di buoni taxi. Quattro società non hanno comunicato alcun dato, mentre Aeroporti ha certificato lo sforamento. Nel dettaglio, Acquedotto pugliese, anziché contenere le spese di funzionamento, le ha incrementate di 17 milioni di euro rispetto al 2024. La giustificazione? Il maggior costo del personale «riconducibile al rinnovo del contratto collettivo nazionale», ma pure «l’incremento delle risorse in forza alla società, spese legali, assicurazioni, convegni, pubblicità e marketing, buoni pasto, costi postali non ribaltabili all’utenza nell’ambito della tariffa del Servizio idrico integrato».
Per quanto riguarda le consulenze, invece, Aqp sostiene che, essendo entrati i Comuni nell’assetto societario, nella fase di trasformazione sono stati necessari 639.000 euro per le consulenze.
Aeroporti di Puglia attribuisce l’aumento di spese all’organizzazione del G7, anche se l’incremento dell’8,44%, secondo la società, «è comunque inferiore all’aumento del traffico registrato nel 2024 rispetto al 2023 (+10,51%) e quindi dei ricavi. Spese superate, alla faccia del risparmio, anche per auto e taxi: 120.000 euro in più. Costi lievitati anche per InnovaPuglia, la controllata che si occupa di programmazione strategica a sostegno dell’innovazione: 12 milioni di euro nel 2024 a fronte dei 7 milioni del 2023, passando, in termini percentuali sul valore della produzione, dal 18,21% al 43,68%. Di Aseco, la società in house controllata da Aqp e Ager che si occupa di smaltimento di fanghi e frazione organica dei rifiuti urbani, non si hanno dati aggiornati al punto che è stata sollecitata dalla stessa Regione a comunicarli.
Insomma, secondo la Regione, se aumentano i costi vanno ridotti i servizi poiché il Testo unico in materia di società a partecipazione pubblica prevede quella di contenere le spese di funzionamento individuando specifici obiettivi di spesa come quelli per il personale e quelli per consulenze, studi e ricerche. E la stessa Regione, che ha potere di vigilanza e di controllo, dove accerta «il mancato e ingiustificato raggiungimento degli obiettivi di contenimento della spesa» può «revocare gli incarichi degli organi di direzione, amministrazione e controllo nominati nelle società». La palla passa a Decaro.
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