2024-07-13
Le città a 30 all’ora sono un’arma in più per pianificare il controllo sociale
Il guinzaglio ecologico previsto dalle nuove regole non solo imporrà di cambiare auto ma anche di rivelare lo stile di vita.Non c’è modo di mettersi al riparo. Di fronte alla pervasività dell’ideologia green, non c’è difesa che tenga. Se pensavate di cavarvela semplicemente cambiando autovettura, investendo una bella fetta di risparmi in un nuovo bolide ecosostenibile, beh, vi siete sbagliati. E di grosso. Perché è già bell’e pronto il modo per rimettervi il guinzaglio ecologico a cui credevate di esservi sottratti. A chiarire di che si tratti, al Corriere della Sera, è Sergio Savaresi, professore di automazione nei veicoli al Politecnico di Milano. Assieme ad alcuni autorevoli colleghi lo studioso ha partecipato a «The Urban Mobility Council», think thank promosso da Unipol, e ha avanzato un’idea niente male: introdurre, al posto di restrizioni alla circolazione basate sulla classe della macchina, un limite legato alle emissioni annuali. Come ben spiega il Corriere, «dando un budget annuo di emissioni si è stimato, in base al tipo di auto e al comportamento di chi è al volante, dopo quanti chilometri si raggiunge il tetto. […] Dai calcoli si è dimostrato come esistano vetture Euro 4 diesel che raggiungono il limite dopo 1.300 km percorsi, mentre altre — della stessa classe — ci arrivano dopo 2.300 km». La questione è sottile, ma proviamo a sintetizzare: non conta soltanto che auto possedete, ma anche come la utilizzate. A parità di auto, dunque, qualcuno produce meno emissioni, altri ne producono di più. Chiarisce infatti il Corriere: «Lo stile di guida conta: i ricercatori hanno dimostrato che prendendo due auto identiche, con lo stesso budget di emissioni annue di 2700 kg di CO2, una vettura lo consuma percorrendo 15.900 km e l’altra 18.300 km. La differenza risiede solo nel diverso comportamento di chi guida». Ecco allora la trovata geniale: invece di impedire alle auto di circolare, fissiamo un «budget» di emissioni. Se non guidi come dovresti, anche se hai una macchina di classe elevatissima, a un certo punto sarai costretto a tenerla ferma, perché hai esaurito il tuo bonus di circolazione. Fantastico, vero? Il professor Savaresi la spiega così: «Ora stiamo limitando la tecnologia dell’auto ma non l’emissione, si potrebbero invece dare vincoli effettivi, allocando un budget di emissione per ogni veicolo. Non obbligando al cambio auto, inoltre, si è anche più inclusivi, visto che non tutti i cittadini possono permettersi l’acquisto di una nuova macchina». Certo: «Ovviamente, se si acquista un veicolo più nuovo si è facilitati nel poter percorrere più chilometri perché mediamente emetti di meno ma in realtà potresti avere un comportamento meno virtuoso». Semplicemente meraviglioso. Non soltanto hanno inventato un nuovo modo di vessare i cittadini: hanno pure escogitato una definizione strabiliante: il divieto «inclusivo e democratico». Invece di accanirsi soltanto sul povero cristo che può permettersi soltanto la Golf ereditata dalla zia, si va a infierire anche sul riccastro della Ztl che si è comprato l’ultimo modello di berlina. Chiaro: quest’ultimo sarà comunque avvantaggiato, ma se non guida come si deve potrebbe piovere anche su di lui la scure ecologica. E’ un po’ come ai bei tempi del socialismo reale: poiché non si riesce a creare il paradiso in Terra, allora creiamo l’inferno per tutti, così l’eguaglianza diverrà angelica realtà. Il dramma vero è che né i ricercatori né i cronisti si rendono conto di che diamine di meccanismo oppressivo stanno contribuendo a creare. Ormai l’obiettivo non è nemmeno più quello di «salvare il pianeta»: si punta direttamente ed esplicitamente al cambiamento coatto dei comportamenti delle persone. Il dogma verde va imposto, in ogni modo. Non per nulla gli scienziati sono i primi a prostrarsi, e quando sorge il sospetto che abbiano violato i dettami della religione green appaiono terrorizzati e corrono immediatamente ai ripari. Sempre nell’ambito di «The Urban Mobility Council», qualche giorno fa, è stata presentato uno studio del Mit senseable city lab focalizzato su Milano, da cui emergeva un dato sorprendente: i progetti di città a 30 km/h (tipo quello applicato a Bologna) possono far aumentare le emissioni. Come abbiamo scritto, a riduzione del limite di velocità a 30 chilometri orari provoca un aumento delle emissioni di monossido di carbonio (CO), anidride carbonica (CO2), ossidi di azoto (NOx) e particolato (PM), soprattutto nelle ore più trafficate del giorno. Se Milano diventasse una «città 30», le emissioni di CO2 aumenterebbero dell’1,5%, mentre quelle di PM, particolarmente nocive per la salute umana, del 2,7%. Questi dati si evincevano da una slide contenuta nello studio, ma appena sono stati ripresi dai giornali, in particolare dal nostro, è successo il finimondo. Tanto che ieri Carlo Ratti, professore del Mit e autore della ricerca, ha dovuto prodursi in una surreale piroetta retorica. Intervistato da Repubblica ha dichiarato: «I dati che ho presentato all’Urban Mobility Council qualche giorno fa non sono stati interpretati correttamente dalla stampa». A dirla tutta, i giornali si sono limitati a leggere quel che era riportato nei grafici della ricerca, e infatti la difesa di Ratti è quantomeno debole: «Non lo so, forse potevamo stare più attenti anche noi. In realtà, la slide sulle emissioni avevamo deciso di levarla dalla presentazione perché lo scostamento era irrisorio e non teneva conto degli effetti nel medio periodo», dice imbarazzato. «Ma quella slide per qualche ragione è finita nella cartellina stampa e i giornalisti hanno fatto il resto…». A ben vedere, il professore non smentisce granché. Cerca di sminuire un dato da lui stesso pubblicato, e con tutta evidenza lo fa per un motivo preciso: non vuole passare per un eretico. Non vuole far la figura di quello che si oppone alla narrazione green o che contesta il cambiamento forzato delle abitudini degli italiani. Ragion per cui corre a dare interviste per raddrizzare quel che gli è uscito storto. Non stupisce. Come dicevamo, opporsi non si può: dovete cambiare auto e pure stile di guida. Così è stato deciso, e così sarà. Almeno fino a quando qualcuno non si deciderà a fissare un limite alle emissioni di stupidaggini.
Il primo ministro del Pakistan Shehbaz Sharif e il principe ereditario saudita Mohammed bin Salman (Getty Images)
Riyadh e Islamabad hanno firmato un patto di difesa reciproca, che include anche la deterrenza nucleare pakistana. L’intesa rafforza la cooperazione militare e ridefinisce gli equilibri regionali dopo l’attacco israeliano a Doha.
Emanuele Orsini e Dario Scannapieco