2020-06-09
Zingaretti, ovvero il ruggito del coniglio
Nicola Zingaretti smentisce i contrasti con Giuseppe Conte e però alla direzione del Pd dice che ora serve una svolta. La frase mi ha ricordato quando, da segretario del partito, Matteo Renzi rassicurò Enrico Letta, garantendo che con il presidente del Consiglio non c'erano conflitti, ma allo stesso modo disse che era necessario cambiare passo. Come sia finita si sa: dopo aver lanciato nel salottino tv di Daria Bignardi l'hashtag #enricostaisereno, il Rottamatore rottamò Sottiletta, facendosi consegnare (...)(...) la campanella del potere: un'immagine che fece il giro del mondo, a testimonianza che dei politici non c'è da fidarsi. Con questo non vorrei però avervi dato l'impressione che Zingaretti si prepari a liquidare l'avvocato del popolo, dandogli il benservito come Renzi lo diede a Letta. No, impugnare il coltello nella mano sinistra mentre si saluta sorridendo l'interlocutore è roba che può fare uno che non si fa scrupoli di essere coerente con ciò che ha detto mezz'ora prima. Renzi, del resto, è colui che disse che non sarebbe mai diventato presidente del Consiglio senza passare dalle elezioni, che sarebbe rimasto a fare il sindaco fino alla scadenza del suo mandato, che sarebbe andato in pellegrinaggio a Monte Senario se non avesse pagato tutti i debiti della pubblica amministrazione e che si sarebbe ritirato dalla politica se avesse perso il referendum. Senza dire che giurò e spergiurò che mai avrebbe fatto un governo con i 5 stelle, né - più di recente - che avrebbe votato la fiducia ad Alfonso Bonafede. No, nell'arte di mentire il senatore semplice di Scandicci è insuperabile e non può certo essere accostato all'attuale segretario del Pd. Nicola Zingaretti non ha il coraggio di liquidare Conte, così come non ebbe il coraggio di tener duro ad agosto, quando Matteo Salvini aprì la crisi di governo. Avesse voluto, avrebbe potuto liberarsi in un lampo del ricatto dei renziani e del potere dei grillini: due piccioni con una fava. Ma dopo aver detto che la discontinuità era indispensabile per evitare di dover bere l'amara cicuta di un Conte bis, il fratello del commissario Montalbano fu costretto a ingurgitare tutto, perfino Giggino Di Maio ministro degli Esteri.Dunque, nonostante gli annunci di una svolta e sebbene l'avvocato del popolo e soprattutto di sé stesso faccia il presidente del Consiglio comportandosi come se fosse il padrone d'Italia, con un Pd nelle mani del governatore del Lazio, una caduta di Conte non è da immaginare in tempi brevi. Per lo meno non per effetto di un ritiro della fiducia da parte del principale alleato dei grillini. No, il premier può organizzare tutti gli Stati generali che desidera ed esibirsi in qualsiasi passerella senza informare i partner e neppure i ministri, ma Zingaretti non avrà mai il coraggio di staccare la spina, né lo avranno personaggi come Roberto Gualtieri o Dario Franceschini. I quali mugugnano e si sentono ridotti a comparse, ma oltre a ciò non sanno che cosa fare.Perciò mettete da parte le speranze. Nonostante l'esecutivo proceda talmente lento da sembrare immobile, sebbene i dossier irrisolti si accumulino sul tavolo di Palazzo Chigi (Autostrade, Ilva, Alitalia, Air Italy, riapertura delle scuole, Mes e altro), la svolta auspicata da Zingaretti non ci sarà e non ci sarà neppure una staffetta con un uomo del Partito democratico al posto di Conte. Il «bisogna cambiare passo» pronunciato ieri dal segretario del Pd non significa che il presidente del Consiglio deve fare un passo indietro. È una semplice ammissione del disagio vissuto a Largo del Nazareno, tutto qui.Zingaretti vorrebbe che Conte non facesse tutto di testa sua, ma concordasse con il Pd le misure, sia quelle economiche che quelle politiche. Il segretario, in pratica, desidererebbe non apprendere da una conferenza stampa che Palazzo Chigi vuole fare gli Stati generali, leggendo magari sui giornali in che cosa consiste il piano messo a punto da Vittorio Colao. Ma il premier non ha nessuna intenzione di farsi imbrigliare e dunque continuerà a ballare da solo, perché, più che per salvare l'Italia, profonde tutti i suoi sforzi per salvare sé stesso. Sa bene che, se potessero, sia i grillini che i piddini (per non dire dei renziani) lo spedirebbero dove è venuto e proprio per questo non vuole dipendere da loro. Risultato, non ci sarà nessuna svolta, non per lo meno quella auspicata da Zingaretti. Il capo del governo continuerà a giocare con il Mes e il Recovery plan, facendo apparire e sparire centinaia di miliardi che esistono solo sulla carta e continuerà a usare task force, Stati generali e commissioni varie pur di sottrarsi a un controllo del Parlamento. Detto in poche parole, per mettere con le spalle al muro Conte ci vorrebbero due attributi che fanno la differenza e distinguono i deboli dai forti. Non è il caso di Zingaretti.