
L’ingiusta fama di burbero e altero lo precede. Invece Luigi Zanda, indimenticato capogruppo del Pd a Palazzo Madama, poi tesoriere del partito, oggi ossequiato senatore, è uomo dal cuore d’oro. Gagliardo settantanovenne, natali cagliaritani, memoria elefantiaca, non dimentica e si adopera. Ha appena firmato un emendamento che prevede un succoso finanziamento da 2,8 milioni di euro annui, tra il 2022 e il 2024, alla Fondazione per le scienze religiose Giovanni XXIII, di cui è stato riverito membro del cda. Nostalgia canaglia, direte. Non solo. Perché segretario dell’istituzione cattolica, fortissimamente pendente a sinistra, è Alberto Melloni, fraterno amico di Zanda, scelto dallo storico come testimone di nozze. L’astruso acronimo della fondazione è Fscire. «Pubblica, forma, serve, organizza, accoglie e comunica la ricerca nell’ambito delle scienze religiose». In particolare si dedica con impareggiabile passione al rapporto «con le altre comunità di fede», come l’Islam. E l’emendamento zandiano servirebbe a creare un «hub» a Palermo dalle maestose finalità: «Progettazione, acquisto, conservazione, restauro, messa in sicurezza, digitalizzazione di libri, immobili e beni». Spesa prevista, calcola il senatore, quasi tre milioncini.
Del resto, trattasi del rinomato centro bolognese fondato da Giuseppe Dossetti e poi presieduto da Beniamino Andreatta. Il collegio dei revisori dei conti è stato guidato nientemeno che da Romano Prodi. E oggi nel consiglio d’amministrazione siede un altro nume tutelare della sinistra quale Franco Bassanini, già al comando di Cassa depositi e prestiti. Ruolo che condivide, tra gli altri, anche con Enzo Bianchi, priore del monastero di Bose deposto dal Vaticano e Piero Giarda.
Insomma, una congrega accademica di inestimabile prestigio. Come poteva l’ex diccì e margheritino rimanere insensibile agli encomiabili intendimenti della fondazione? Così, il senatore ha deciso di gettare quel suo cuore d’oro oltre l’ostacolo. Ancora una volta. Perché, in effetti, s’era adoperato in passato per il nobile scopo. Già nel 2014 Dagospia pizzica il «tignoso» Zanda, allora nel cda della Giovanni XXIII e capogruppo del Pd al Senato. Proprio Palazzo Madama, scrive il sito, avrebbe elargito oltre 426.000 euro alla fondazione dell’amico Melloni, ordinario di storia del cristianesimo all’università di Modena-Reggio Emilia. Nessuno, tra gli illustri membri del governo Renzi, si scompone. La commissione Cultura, a cui spetta il parere decisivo, non fa un plissé. A partire dall’unica componente di Scelta Civica, la vice-presidente del Senato Linda Lanzillotta, moglie di Bassanini, già nell’istituzione dossettiana. Solo la senatrice leghista, Silvana Comaroli, denuncia l’«evidente conflitto dʼinteressi».
Che paroloni, suvvia. Disinteressata generosità, piuttosto. Eppure non è la prima volta che il coriaceo Zanda viene ingiustamente tacciato di gesti impuri. Succede anche a maggio del 2020. Lascia la carica di tesoriere del partito per presiedere il cda di Domani, quotidiano fondato da un altro amico storico: Carlo De Benedetti, già editore di Repubblica. Il senatore si dimette sei mesi dopo, quando il suo inarrivabile senso del dovere riprende il sopravvento: «Ho compreso di trovarmi in una posizione di conflitto di interessi politico-editoriale che, per mio costume e per mia profonda convinzione, non posso sottovalutare». E adesso? Perdiana, tutt’altra storia. Stavolta il fine è altissimo: 2,8 milioni per agevolare i pii scopi della fondazione Giovanni XXIII.






