2022-09-04
Wartsila se ne va, Orlando polemizza con una procedura che ha il suo nome
Lavoratori in piazza a Trieste contro la società finlandese che rischia di lasciare a casa 450 operai. Per il ministro (e per i grillini) è colpa della Lega. Come se al governo ci fosse solo il Carroccio...Si è conclusa nel tardo pomeriggio di ieri in Piazza Unità d’Italia a Trieste una manifestazione di protesta contro la decisione annunciata nel luglio scorso dalla società finlandese Wartsila di sospendere l’attività produttiva nello stabilimento giuliano di Bagnoli della Rosandra. L’intenzione del gruppo (importante fornitore di Fincantieri, tra l’altro) è quella di risparmiare - secondo le sue valutazioni - circa 35 milioni di euro annui riportando in Finlandia la produzione di motori a quattro tempi. Il sito in provincia di Trieste non cesserà del tutto le attività (resteranno nuclei dedicati a ricerca, sviluppo, formazione, vendita, assistenza): ma rischiano di saltare 450 posti di lavoro su 970, oltre alle inevitabili conseguenze sull’indotto. Un mese e mezzo fa era stata dura la reazione del titolare del Mise, Giancarlo Giorgetti: «Siamo sorpresi e molto irritati per la decisione ingiustificata e scorretta di Wartsila che improvvisamente ha comunicato la chiusura della linea produttiva a Trieste. Ho già disposto l’immediata convocazione dei vertici della società». E già un paio di mesi prima, essendoci avvisaglie di un ridimensionamento o peggio, Giorgetti aveva convocato Wartsila insieme al presidente regionale Massimiliano Fedriga. Quanto alla manifestazione, Michele De Palma, segretario generale della Fiom-Cgil, ha parlato di «una scientifica ricollocazione della produzione», mentre il leader nazionale della Cisl Luigi Sbarra ha aggiunto: «L’azienda deve tornare sui propri passi e aprirsi al confronto con responsabilità». E fin qui siamo a reazioni tutto sommato prevedibili: ognuno fa la sua parte. Hanno invece destato un certo stupore i toni alti (come se non fosse tuttora membro del governo in carica) usati dal ministro grillino Stefano Patuanelli, che ha concentrato le sue critiche su Giorgetti e Mario Draghi (con alcune curiose omissioni e una ricostruzione pro domo sua, come vedremo): «Ricordiamo che contro le norme anti-delocalizzazione si sono schierati in questi mesi Giorgetti e la presidenza del Consiglio, bloccando la riforma portata avanti dal M5s». E ancora: «Alla riforma avevamo lavorato con il sottosegretario Alessandra Todde e il ministro Andrea Orlando». Questa la bizzarra versione di Patuanelli, che dunque distingue tra presunti buoni (M5s e Orlando) e cattivi (gli altri). A smontare questa ricostruzione ha provveduto il portavoce di Fedriga, Edoardo Petiziol: «La procedura che Wartsila sta utilizzando è denominata “Orlando”, dall’omonimo ministro. Patuanelli non lo cita ben sapendo che a breve potrebbe essere nuovamente suo alleato».E in effetti la stravaganza è doppia: da un lato, i grillini hanno governato per tutta la legislatura (con tre formule diverse) e ora cercano di additare colpe altrui; dall’altra, risparmiano il ministro Pd competente per materia, ma a loro politicamente vicino. Quanto alla Regione, il Friuli Venezia Giulia depositerà al tribunale di Trieste un ricorso d’urgenza per impugnare la comunicazione di Wartsila: in base alle ultime disposizioni vigenti, infatti, pure le Regioni hanno un ruolo in queste vicende, anche come destinatarie delle comunicazioni aziendali sull’avvio della cessazione delle attività. Su queste basi, Fedriga attiverà una contestazione legale: «È la prima volta», recita una nota regionale, «che una Regione interviene direttamente in sede giurisdizionale e ciò in virtù della posizione di “parte” che la procedura prevista dalla legge 234/2021 le assegna al fine di difendere la propria linea politica diretta a contrastare la delocalizzazione produttiva». E Orlando? L’esponente della sinistra Pd si è allineato a Patuanelli e ha alzato i toni a sua volta: «Dall’azienda una condotta inaccettabile. Non abbiamo intenzione di abbassare la guardia». E ancora, sempre incolpando altri: «Sulle delocalizzazioni ho lavorato per introdurre norme che evitino il fatto compiuto, ma le mie proposte sono state avversate dalla Lega e non solo: oggi abbiamo strumenti indeboliti. Per questo riproporremo l’impianto originario dei provvedimenti».Anche qui l’excusatio risulta due volte non convincente: una prima volta, perché Pd e M5s si sono imposti in questa legislatura su molti temi, disponendo di numeri importanti in Parlamento, e appare curioso, solo in questo caso, provare a scaricare tutto sugli altri; una seconda volta, perché - per quanto spiacevole e sgradevole sia la decisione di un gruppo industriale - non è immaginabile che le leggi di un altro Stato lo «inchiodino» a restare. In una economia di mercato, tocca allo Stato creare condizioni (tasse basse, regolazione accettabile, ecc) che incoraggino gli investitori a venire e a rimanere: i giallorossi prima fanno il contrario e poi si lagnano. Ma forse ciò che Patuanelli e Orlando non possono dire fino in fondo è stato esplicitato da qualcuno che è ancora più comunista di loro come Giorgio Cremaschi (Potere al popolo - Unione popolare): «La soluzione reale è la nazionalizzazione». Il sogno dei compagni è sempre quello: no alla proprietà privata dei mezzi di produzione.