2025-01-02
«La vita cristiana è una gara che costa fatica»
Nel riquadro Antonio Gentili (iStock)
Il religioso barnabita Antonio Gentili: «La società di oggi ci vuole divertiti e soddisfatti, ripiegati sulle nostre esistenze. Bisogna prendere esempio dai santi: si facevano violenza, cioè superavano i propri limiti. Ricordiamoci sempre che siamo debitori per il nostro essere al mondo».Antonio Gentili, religioso barnabita, è laureato in filosofia e da anni studia le grandi tradizioni meditative orientali e occidentali. Ha scritto libri tradotti in tutto il mondo, l’ultimo dei quali è Se non diventerete come donne. Simboli religiosi del femminile, appena ripubblicato da Ancora in nuova edizione. Con lui abbiamo cercato di proseguire e approfondire il tema della fatica di cui si è occupato nei giorni scorsi sulla Verità Claudio Risè. Padre Gentili, lei ha scritto tempo fa un libro intitolato Vengo a portare la spada, nel quale presenta la fede cristiana come una sorta di combattimento. Un punto di vista in totale controtendenza con ciò che viene proposto oggi. «Ma certamente, perché avere fede significa accogliere un punto di vista che ci trascende e di conseguenza spesso si trova in conflitto con il pensare abituale della gente, e con il suo modo di comportarsi. L’aspetto della lotta è fondamentale per chi vuole vivere in un’ottica di fede, tant'è vero che nelle scritture si legge che saranno i violenti, lo dice Gesù stesso, a impadronirsi del Regno». I violenti?«Sì. Ma la violenza non è di tipo materiale, cioè una violenza che implichi uccisioni o stragi. È quel farsi violenza interiore, quel far emergere il meglio di sé senza adagiarsi nel trantran quotidiano e nelle comodità e nello scontato... Questo è il senso del combattimento spirituale, tant'è vero che anche San Francesco ha in qualche modo sposato questa visione».La battaglia di cui lei parla contro chi si combatte?«Gli avversari classici erano, secondo la visione degli antichi, il mondo, il demonio e la carne. La carne è l’umanità nelle sue espressioni più egoiche, più ripiegate su di sé. La creatura umana, ancora prima che il credente, deve combattere la sua battaglia e deve risultare vittoriosa. Questo fa capire che è vero quello che si legge nelle scritture e che dicevo prima: saranno soltanto i violenti, dice Gesù, a conquistare il Regno. Cioè coloro che si fanno violenza. I santi usavano questa massima: farsi violenza in tutto, farsi violenza cioè uscire dallo standard, dalla pigrizia, dal ripiegamento su di sé. È bello pensare alla vita cristiana come a qualcosa di agonico, una gara che comporta lo sforzo, l’impegno, il desiderio di riuscire sempre vittoriosi». Noi invece, come ha scritto in questi giorni anche Claudio Risè viviamo in un mondo che rifiuta la fatica, fa di tutto per combatterla. Siamo nel bel mezzo di una rivoluzione tecnologica che ci fornisce mille comodità... Secondo lei invece la fatica, anche fisica, è importante?«Nei secoli passati, ma a che nei decenni passati, la vita risultava molto molto più faticosa, avevamo meno possibilità di evitare il disagio, il sacrificio, il peso... oggi le abbiamo, questo però ci ha infrolliti, pensiamo tutto debba essere scontato, a portata di mano. Pensiamo a quanto era faticosa la vita dei nostri antenati, dei nostri nonni, probabilmente anche dei nostri stessi genitori... Dobbiamo capire che l’esistenza umana è come la partecipazione a una gara. Gli sportivi sanno benissimo che possono garantirsi la vittoria soltanto a prezzo di fatiche. E lo stesso è per l’ascesi: la violenza che dicevamo prima. Oggi le comodità sono tante e la nostra vita ne resta notevolmente condizionata, ma in ogni caso un minimo di violenza ci vuole. È indispensabile per una vita corretta».Che cosa intende quando parla di ascesi? «Ascesi è un termine che indica l’impegno, lo sforzo... Come dicevo, gli sportivi sanno benissimo che le loro vittorie possono essere conseguite soltanto a prezzo di lunghi allenamenti, di grandi sforzi, di disciplina alimentare, di disciplina nel sonno: è ineliminabile nella vita umana la dimensione dello sforzo, dell’impegno». Lei parla di ripiegamento interiore. Si tratta semplicemente di pigrizia o anche una forma di depressione?«Pigrizia e depressione si intrecciano. Oggi abbiamo molti motivi per sentirci depressi, però li nascondiamo ai nostri stessi occhi. Siamo al divertissement di Pascal...».Scriveva Blaise Pascal: «Gli uomini, non avendo potuto guarire la morte, la miseria, l’ignoranza, hanno creduto meglio, per essere felici, di non pensarci». Il divertissement è distrazione e fuga dai problemi esistenziali? «L’uomo conduce una vita divertita, una vita che lo distragga, che gli impedisca di dare serietà a tutte le sue espressioni. Però questo è un giochino che dura poco: di fatto la vita è un impegno, è uno sforzo, è un dovere... La stessa parola del dovere, a mio modo di pensare, è decisiva nella cultura moderna. Dovere significa che noi siamo dei debitori: anche nel Padre nostro si ricorda. Siamo dei debitori: la vita è un impegno, ci viene donata e noi dobbiamo metterla a frutto, dobbiamo dimostrare che questo dono è stato accolto ed è stato reso fecondo».Ora si parla molto di diritti e pochissimo di doveri. «La battaglia di cui ho parlato prima, in definitiva, non è altro che il saperci debitori. Sapere che la vita implica dei doveri, il senso del dovere... Mi chiedo in che misura le nuove generazioni vengano educate al senso del dovere, quanto sappiano che non ti è tutto dovuto, che tu devi compiere la tua parte... Viviamo in un contesto che vorrebbe essere a tutti i costi gratificante, appagante, però in realtà la vita umana è scandita da dei doveri. I genitori è bene che educhino i propri figli al senso del dovere».Non so quanti sarebbero d’accordo con lei. «Ma altrimenti educhiamo alla irresponsabilità, al tutto è dovuto, al tutto è gratuito... Il che snerva la personalità, in definitiva, non fa maturare i giovani». Quindi che effetto ha il rifiuto della fatica?«L’essere accondiscendenti in tutto, ci infrollisce. L’uomo oltretutto gode se può impegnarsi a offrire delle prestazioni, pensiamo agli sportivi, ma anche ai paraplegici, persone che potrebbero starsene vincolate nei loro limiti, invece li vincono, sono degli esempi straordinari... L’uomo ha una spinta costante al superamento di sé, questa dinamica caratterizza la vita umana. Non ci sarebbero state tutte le evoluzioni che noi conosciamo, altrimenti. Quindi dovremmo contrastare questa mentalità che da tutto per scontato, tutto per gratuito e ci priva dello slancio, non ci permette di mettere a frutto le nostre potenzialità». È vero però che se da un lato la nostra società rifiuta la fatica, dall’altro ci chiede di essere sempre invece performanti, anche se in un senso diverso da quello che lei ha descritto finora. «Si, ma cosa sta sotto a questo impegno per la performance? È semplicemente un fornire delle prestazioni fini a sé stesse. Il lavoro che l’uomo compie su sé stesso dovrebbe essere proiettato verso l’oltre, l’oltre divino. L’uomo che supera infinitamente l’uomo, come ci ricorda Pascal: gli orizzonti entro cui si proietta la vita umana vanno ben oltre i limiti della vita terrena. C’è un oltre immediato, un oltre umano, quello per esempio di chi vuole fare carriera. E c’è un oltre trascendente, che dà significato ai nostri oltre umani. Se non c’è questo oltre, chi me la fa fare? Chi me lo fa fare essere bravo, di assumere una disposizione d’animo di redenzione, di servizio? L’uomo è fatto per socializzare, per sposare le cause della miseria e dell’emarginazione: nel cuore dell’uomo c’è questa proiezione che lo spinge oltre sé stesso, e verso gli altri». Il grande tema, forse, è quello del confronto con la nostra mortalità. «Certo. Più rimuoviamo la morte, e più incombe. La saggezza implica che si facciano i conti con la morte, tanto è vero che Platone assegna al pensiero della morte il compito sommo del saggio: il saggio pensa alla morte, non perché vanti tendenze necrofile, ma semplicemente perché è la morte che dà significato alla vita. La morte mi dice: guarda che la vita ha un limite, sappi però che c’è qualcosa oltre questo limite. Devi familiarizzare con questo oltre, per prepararti fin d’ora ad affrontarlo. Questo oltre dobbiamo guardarlo con estrema fiducia pensando che, in definitiva, ciò che veramente saremo non è quaggiù: è lassù».
«Haunted Hotel» (Netflix)
Dal creatore di Rick & Morty arriva su Netflix Haunted Hotel, disponibile dal 19 settembre. La serie racconta le vicende della famiglia Freeling tra legami familiari, fantasmi e mostri, unendo commedia e horror in un’animazione pensata per adulti.