
Il governatore di Bankitalia stronca l'ottimismo del Mef: «Crisi gravissima, perderemo quasi il 10%». Bocciato il piano grillino per tenere Mps nelle mani dello Stato: «Esperienza caratterizzata da inefficienze».Il lungo intervento davanti al comitato esecutivo dell'Abi ieri è servito al presidente di Bankitalia, Ignazio Visco, per seppellire l'ottimismo del Mef sul rimbalzo del Pil nel terzo trimestre e per sbarrare la strada all'ipotesi di una banca pubblica invocata dai 5 stelle. Una stoccata forte alla politica e una serie di avvisi a quei naviganti che non sono certo passati inosservati. «Nel complesso, anche grazie alle misure di stimolo della domanda, monetarie e di bilancio, il rafforzamento della congiuntura nel trimestre in corso potrebbe essere lievemente migliore di quanto delineato in luglio nello scenario di base delle nostre previsioni. Al momento, gli andamenti che stiamo osservando restano a grandi linee coerenti con il risultato per l'anno prefigurato in quello scenario: una caduta del Pil di poco inferiore al 10%, con una successiva, molto graduale, ripresa», ha detto Visco. produzione industrialeAnche perché, ha sottolineato il governatore all'inizio del suo discorso, «le conseguenze della gravissima crisi globale causata dalla diffusione del nuovo coronavirus sono ancora molto difficili da valutare» e «la fiducia» di imprese e famiglie «rimane, non solo in Italia, su valori molto bassi». Ciò sottintende che il grande ottimismo del ministro dell'Economia, Roberto Gualtieri, è esagerato. Secondo Gualtieri, infatti, i numeri sulla produzione industriale di luglio «confermano che la ripresa dell'attività produttiva dopo le chiusure di marzo e aprile «è significativa». Poco importa se con un incremento mensile del 7,4% siamo ancora al di sotto, di 8 punti percentuali, rispetto al luglio del 2019, per il ministro «si avvalora la tesi di un forte rimbalzo». Un calcolo già facile da smontare considerando che la produzione industriale interna non basta comunque a colmare le perdite precedenti (ad agosto dovremmo fare un improbabile +5,6% per pareggiare). E che nei primi due trimestri la forte caduta dei consumi, degli investimenti e della domanda estera ha determinato una diminuzione cumulata del prodotto di oltre il 17%, facendolo arretrare sui livelli dei primi anni Novanta. Il rimbalzone ostentato da Gualtieri ieri si è dunque schiantato anche contro l'avviso ai naviganti di Visco. Il presidente dei Bankitalia ha inoltre abbandonato i soliti toni felpati dei suoi interventi pubblici e forse per la prima volta è entrato a gamba tesa nel dibattito sulla banca pubblica invocata dai grillini. Senza fare nomi e cognomi, sia chiaro. Ma alzando evidenti barricate dopo che nelle ultime settimane alcuni esponenti dei 5 stelle hanno auspicato l'intervento della bad bank controllata dal Tesoro per lasciare Mps nelle mani dello Stato e farla diventare il polo aggregato di crediti deteriorati. La presidente della Commissione Banche, Carla Ruocco, vorrebbe infatti cedere le filiali e gli sportelli del Monte a uno o più soggetti nazionali, ad esempio alla Popolare di Bari per creare la banca del Sud oppure ad altri istituti, per creare un terzo o quarto player nazionale e trasformare la restante parte del gruppo senese in una bad bank nazionale fondendola anche con Amco. Tesi rilanciata ieri sulle pagine di MF dal collega Alessio Villarosa, sottosegretario all'Economia, per il quale uno slittamento dell'avvio della privatizzazione sarebbe opportuno. Ieri, però, Visco ha appoggiato un bel lastrone di marmo sulla creazione di un polo bancario pubblico ricordando che «l'esperienza delle gestioni bancarie pubbliche si è non di rado caratterizzata per gravi inefficienze nei processi di allocazione delle risorse». In realtà, per il governatore, l'economia italiana «più che del supporto di una grande banca pubblica» beneficerebbe «innanzitutto di una pubblica amministrazione efficiente, di infrastrutture adeguate, di investimenti in innovazione e conoscenza». Davanti ai vertici dell'Abi, il governatore ha però lanciato anche un appello ai banchieri. Data la struttura dell'economia italiana, composta prevalentemente da piccole e medie aziende, con il consolidarsi della crescita gli istituti si troveranno, infatti, a dover fronteggiare nuove domande di finanziamenti non più assistite da tali garanzie. Per assorbire le perdite sui prestiti, «sarà probabilmente necessario utilizzare almeno parte del capitale in eccesso rispetto ai requisiti minimi», ha aggiunto il capo della Vigilanza di via Nazionale.aggregazioniSottolineando che «le aggregazioni non sono un obiettivo in sé, ma se attuate in presenza di un solido piano industriale sono uno dei pochi strumenti a disposizione delle banche, insieme con la creazione di consorzi e accordi tra intermediari, per aumentare l'efficienza e la possibilità di operare con successo sul mercato». Ai banchieri che chiedono un cambio delle norme Ue e della Bce sulla trattazione dei crediti deteriorati vista la crisi Covid, Visco ha infine risposto: «Non riduciamo la guardia e laddove è possibile ristrutturare i crediti utilizziamo anche questa via».
Teresa Ribera (Ansa)
Il capo del Mef: «All’Ecofin faremo la guerra sulla tassazione del gas naturale». Appello congiunto di Confindustria con le omologhe di Francia e Germania.
Chiusa l’intesa al Consiglio europeo dell’Ambiente, resta il tempo per i bilanci. Il dato oggettivo è che la lentezza della macchina burocratica europea non riesce in alcun modo a stare al passo con i competitor mondiali.
Chiarissimo il concetto espresso dal ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti: «Vorrei chiarire il criterio ispiratore di questo tipo di politica, partendo dal presupposto che noi non siamo una grande potenza, e non abbiamo nemmeno la bacchetta magica per dire alla Ue cosa fare in termini di politica industriale. Ritengo, ad esempio, che sulla politica commerciale, se stiamo ad aspettare cosa accade nel globo, l’industria in Europa nel giro di cinque anni rischia di scomparire». L’intervento avviene in Aula, il contesto è la manovra di bilancio, ma il senso è chiaro. Le piccole conquiste ottenute nell’accordo sul clima non sono sufficienti e nei due anni che bisogna aspettare per la nuova revisione può succedere di tutto.
Maurizio Landini
Dopo i rinnovi da 140 euro lordi in media per 3,5 milioni di lavoratori della Pa, sono in partenza le trattative per il triennio 2025-27. Stanziate già le risorse: a inizio 2026 si può chiudere. Maurizio Landini è rimasto solo ad opporsi.
Sta per finire quella che tra il serio e il faceto nelle stanze di Palazzo Vidoni, ministero della Pa, è stata definita come la settimana delle firme. Lunedì è toccato ai 430.000 dipendenti di Comuni, Regioni e Province che grazie al rinnovo del contratto di categoria vedranno le buste paga gonfiarsi con più di 150 euro lordi al mese. Mercoledì è stata la volta dei lavoratori della scuola, 1 milione e 260.000 lavoratori (850.000 sono docenti) che oltre agli aumenti di cui sopra porteranno a casa arretrati da 1.640 euro per gli insegnanti e 1.400 euro per il personale Ata (amministrativi tecnici e ausiliari). E il giorno prima, in questo caso l’accordo era stato già siglato qualche mese fa, la Uil aveva deciso di sottoscrivere un altro contratto, quello delle funzioni centrali (chi presta opera nei ministeri o nell’Agenzia delle Entrate), circa 180.000 persone, per avere poi la possibilità di sedersi al tavolo dell’integrativo.
Giancarlo Giorgetti (Ansa)
Dopo aver predicato il rigore assoluto sulla spesa, ora l’opposizione attacca Giancarlo Giorgetti per una manovra «poco ambiziosa». Ma il ministro la riporta sulla terra: «Quadro internazionale incerto, abbiamo tutelato i redditi medi tenendo i conti in ordine».
Improvvisamente, dopo anni di governi dell’austerity, in cui stringere la cinghia era considerato buono e giusto, la sinistra scopre che il controllo del deficit, il calo dello spread e il minor costo del debito non sono un valore. Così la legge di Bilancio, orientata a un difficile equilibrio tra il superamento della procedura d’infrazione e la distribuzione delle scarse risorse disponibili nei punti nevralgici dell’economia puntando a far scendere il deficit sotto il 3% del Pil, è per l’opposizione una manovra «senza ambizioni». O una strategia per creare un tesoretto da spendere in armi o per la prossima manovra del 2027 quando in ballo ci saranno le elezioni, come rimarcato da Tino Magni di Avs.





