
Ormai le Corti (che si pronuncino sui vaccini o sulle lamentele delle nonne ecologiste) servono ad aggirare le resistenze all’agenda progressista. Basta appoggiarsi a postulati extragiuridici (la scienza, i diritti) per correggere la volontà popolare a colpi di sentenze.Drizzate le antenne. Questi fanno sul serio: hanno trovato il modo per neutralizzare la democrazia. È il metodo che hanno adottato con il Covid ed è l’arma che stanno affilando in vista della rivoluzione verde. Una magia in tre passaggi: primo, postulare una verità scientifica autoevidente e indiscutibile; secondo, fissare, su quella base, un fondamento extragiuridico della Costituzione o delle Carte internazionali, grazie al quale stiracchiarne i contenuti e interpretarne all’uopo lo spirito; terzo, sfornare sentenze che dirigano, vincolino o correggano gli indirizzi politici emersi dalle elezioni e dai parlamenti.Un tempo, Bertolt Brecht ironizzava, attribuendo ai filosovietici tedeschi l’intento di «nominare un nuovo popolo», visto che quello della Ddr s’era messo a protestare contro il regime. Con la nuova tattica, il popolo basta ignorarlo. Un fulgido esempio di questa strategia lo offre il decreto con cui il Tribunale dei ministri di Roma ha archiviato Roberto Speranza. L’ex ministro, sostengono i magistrati, non ha colpe, poiché ha seguito i dati scientifici comunicati dalle autorità. Poco importa se le indicazioni di tali organi siano state incomplete, contraddittorie, talora infondate: quelle fonti sono insostituibili. Sono i moderni oracoli delfici, l’attendibilità dei cui responsi non è la conseguenza della loro capacità di descrivere correttamente la realtà e fornire le giuste chiavi per governarla. No: quei pareri sono veri a prescindere. Li hanno pronunciati le vestali. Ipse dixit. E se i fatti non si accordano alla teoria, tanto peggio per i fatti. Come ci si poteva allarmare per le miocarditi nei vaccinati con i farmaci a mRna, se l’Ema e l’Aifa garantivano che non c’era niente da temere? Come non ripetere che il preparato di Astrazeneca fosse «sicuro» pure per i giovani, se il Cts aveva autorizzato gli Open day? E come negare che uno staterello alpino possa influire sul clima, in presenza di «dati scientifici incontrovertibili»?Così li ha definiti ieri, sulla Stampa, il giurista Vladimiro Zagrebelsky, commentando la sentenza della Corte Edu che ha dato ragione alle nonnine elvetiche in causa contro la Svizzera, rea di continuare a inquinare, contribuire all’innalzamento delle temperature e, quindi, ai loro patimenti durante le canicole estive.Ovviamente, sia nel caso dei vaccini sia in quello dell’ambiente, i guardiani di leggi e convenzioni si disinteressano del dibattito che esiste tra gli esperti. Cosa importa, se uno studio pubblicato su una rivista internazionale prestigiosa mette in dubbio che il rapporto rischi/benefici delle iniezioni anti Covid fosse vantaggioso per tutti? Quanto alla saga della CO2 antropica, il paravento lo offre il famigerato «consenso» dell’altrettanto famigerato «97% degli scienziati». I dati - selezionati a bella posta e cristallizzati dai mantra delle agenzie governative, dall’Iss all’Ipcc - sono «incontrovertibili» a priori. Con questo criterio, nella querelle sul geocentrismo agli albori della scienza moderna, avrebbe avuto torto Galileo Galilei, anziché i frati domenicani.Con premesse «acchittate», le conclusioni saranno per forza a senso unico. Speranza non si tocca; i Paesi distratti in materia di ecologia danneggiano la qualità della vita delle sciure; gli ordinamenti che vietano di registrare i figli delle coppie gay perpetrano ingiustificabili discriminazioni. Già: il giochino vale tanto se ci si aggrappa alla scienza, quanto se ci si appella ai «diritti». Non sempre, infatti, gli organismi elettivi fanno i compiti a casa come l’Eurocamera, che ieri ha stabilito che l’aborto vada incluso tra i diritti fondamentali dell’Ue. Si tratta di trovare quel fondamento extragiuridico - incriticabile, inconfutabile, ancorché arbitrario - dei principi costituzionali, in nome del quale si può far dire alla Costituzione non ciò che essa davvero dice, bensì ciò che qualcuno vorrebbe dicesse. Nell’ultima relazione annuale della Consulta, il presidente Augusto Barbera è stato esplicito: la Corte non deve costruire «una fragile “Costituzione dei custodi”»; semmai, ha il compito di «cogliere le pulsioni evolutive della società pluralista». Il suo predecessore, Giuliano Amato, era stato ancora più netto: la Consulta è «il contraltare della maggioranza». Missione scaltramente calibrata su un equivoco: la Corte costituzionale deve evitare la tirannia dei molti dissennati, mica imporre quella dei pochi «illuminati».E quando la posta si alza? Be’, subentrano gli organismi giuridici di livello superiore. È accaduto nella vicenda delle anziane in lotta con la Svizzera. In ballo, ha osservato appunto Zagrebelsky, c’è «il ruolo giudiziario rispetto a quello proprio del livello politico, governativo e parlamentare». Per capirci: il popolo sbaglia? Vota male? Chiede che si diano risposte ai danneggiati dai vaccini? Manifesta insofferenza per obblighi e divieti? Non si rassegna a sborsare 60.000 euro ad appartamento per la ristrutturazione green e poi 30.000 per l’auto elettrica? L’agricoltore infila i trattori tra le ruote della transizione ecologica? Pazienza. Ci pensano le toghe a rendere innocue certe intemperanze.È l’ultima giravolta del progressismo, pur reduce da decenni di menate sulla democrazia diretta e deliberativa. Non si vince nelle urne? Ci si sposta nei tribunali. Perché il popolo non va cambiato. Va solo disinnescato.
Mattia Furlani (Ansa)
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