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2022-07-20
I viaggi «on the road» in Europa per unire relax, cultura e natura
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«Cos’è quella sensazione che si prova quando ci si allontana in macchina dalle persone e le si vede recedere nella pianura fino a diventare macchioline e disperdersi? È il mondo troppo grande che ci sovrasta, è l’addio. Ma intanto, ci si proietta in avanti verso una nuova, folle avventura sotto il cielo».
Sono le parole di Jack Kerouak, il cui romanzo – Sulla strada – ha affascinato e continua ad affascinare i lettori di tutto il mondo. Libertà, rifiuto delle convenzioni e amore per la vita: sono i tre ingredienti di questo libro autobiografico, che descrive il viaggio come scelta esistenziale. Perché la strada è un modo di intendere la vita, il luogo in cui mettere in scena la libertà di essere chi si vuole.
Viaggiare su due o quattro ruote, infatti, è il modo migliore per molti: non affidarsi né ad un’agenzia di viaggio né ai mezzi pubblici regala un senso di indipendenza che raramente sperimentiamo durante la quotidianità, presi come siamo da giornate scandite da impegni e scadenze.
Dai viaggi on the road - e dai viaggi in generale - si torna spesso cambiati: qualcosa di noi si è rafforzato o incrinato, chiarito o arricchito di ulteriori sfaccettature. Certo, i viaggi on the road di cui ci apprestiamo a parlare non sono improvvisati né privi di una fine, tuttavia ci si può permettere di vagare anche all’interno di confini ben definiti.
La scorsa volta siamo partiti dall’Italia, perché l’Italia, in fin dei conti, è il nostro balcone sul mondo. Chi non è avvezzo ai lunghi viaggi può sperimentarsi con maggior tranquillità entro i confini nazionali, per capire – magari – che l’automobile (o qualsiasi altro mezzo scelto per un on the road) non fa al caso suo. Ad altri, invece, si può aprire un mondo: il piacere di guidare sotto le stelle, ascoltando una compilation che ci emozioni e guardando il mondo scorrere lentamente fuori dai finestrini ci dona una libertà senza eguali. Gli on the road, infatti, ci consentono di fermarci quando ne sentiamo il bisogno e di viaggiare con lentezza, assaporando il paesaggio che cambia progressivamente e scoprendo posti che, altrimenti, non avremmo avuto modo di conoscere.
L’on the road per eccellenza è sicuramente la Route 66, che va da Chicago a Santa Monica, attraversando 8 stati americani. Il Big Sur Road Trip è un altro itinerario mitico: la Highway 1 è infatti considerata la strada più bella d’America. Il Salar de Uyuni on the road, tra le Ande della Bolivia, è un altro must tra i viaggiatori più navigati: il “deserto del sale”, infatti, sembra un altro pianeta, lontano da tutto e da tutti, non solo da un punto di vista geografico, ma anche – e soprattutto – scenografico.
Il Cabot Train è invece un percorso di 300 chilometri che si snoda in Nuova Scozia – Canada -, tra boschi a strapiombo sul mare. Anche l’isola di Hawaii è molto amata dagli “ontheroaders” di tutto il mondo: la Road to Hana costeggia spiagge, cascate e foreste, e l’ideale, nonostante l’ottantina di chilometri, è percorrerla in una giornata intera.
Anche l’Europa si offre in tutta la sua vastità agli amanti degli on the road: si può optare per una regione, per un intero Paese o per più Paesi, a seconda del tempo a disposizione. Nulla è da disdegnare quando si cominciano ad apprezzare i viaggi su strada. L’unica regola è: seguire le regole delle diverse nazioni, sia stradali che di buona educazione. Ci sono posti, infatti, in cui suonare con il clacson – per esempio – è segno di maleducazione. Informarsi prima è sempre buona norma, soprattutto se siamo italiani: inutile dirlo, non siamo il popolo più pacato al volante e le nostre abitudini potrebbero compromettere, come minimo, la reputazione, se non la patente.
Altra fondamentale regola: abbandonare la fretta. I viaggi on the road sono altamente inadatti a chi è attaccato alle tabelle di marcia, alla puntualità e alla lista di cose da fare e da vedere. Il viaggio su strada è per tutti coloro che si abbandonano serenamente all’imprevisto o che, comunque, lo affrontano come facente parte del percorso.
I viaggi che seguono non sono dei classici, ma delle variazioni sul tema: ogni Paese e regione ha delle spiccate peculiarità, che durante un on the road emergono in tutta la loro potenza.
Cornovaglia

L'isola di St Michael's Mount in Cornovaglia (iStock)
Mai pensato all’Inghilterra on the road? Siamo soliti identificare questo affascinante Paese con Londra, quando le sue bellezze non si fermano certo alla capitale. I suoi paesaggi hanno ispirato romanzi, film e spettacoli teatrali: le scogliere, la brughiera e il tempo incerto sono l’ideale per gli amanti dei chiaroscuri e delle atmosfere remote.
Possiamo optare per tutta l’Inghilterra o – com’è più auspicabile – per una sua parte. La Cornovaglia, ad esempio, è puntellata da villaggi, romanzeschi castelli e grandi spiagge: impossibile non innamorarsene.
Il consiglio è di arrivare a Londra in aereo e di prendere il pullman della National Express direttamente in aeroporto (Heatrow). Direzione: Exeter, capoluogo del Devon, dove fermarsi anche solo per una notte. Questa cittadina dall’aspetto tipicamente British ha una cattedrale da fare invidia a tutte le cattedrali del mondo, grazie alla storia che trasuda da ogni sua colonna e vetrata.
A Exeter si può noleggiare un’auto e dalla città dirigersi finalmente in Cornovaglia. Le scoperte si susseguono una dopo l’altra: isolotti – come Burgh Island – che sembrano usciti da un libro di fiabe, la brughiera che circonda paesi e frazioni come Bolventor, cittadine dalle reminiscenze letterarie come St. Ives… Nulla, in Cornovaglia, è lasciato al caso, né dalla natura né dall’uomo.
Quasi tutti i luoghi di mare (anzi, di oceano) sono soggetti alle maree: a St. Ives, per esempio, ci si ritrova prima con i piedi piantati sulla sabbia di un’immensa spiaggia – accanto a barche apparentemente arenate – e poi costretti ad allontanarsi man mano che l’acqua si avvicina.
Altri luoghi indimenticabili sono Boscastle – dove si può visitare il Museo della Stregoneria -, la baia di Porthcurno (da non perdere il Minack Theatre, teatro a picco sull’oceano), Newquay con i suoi splendidi tramonti e Port Isaac, paesino romantico dove fermarsi a sorseggiare un cream tea.
Dormire
- Jamaica Inn, Launceston PL15 7TS, Bolventor: qui la scrittrice Daphne du Murier ambientò l’omonimo romanzo e Hitchcock l’omonimo film. Al centro di entrambe le opere il tema del delitto, ma quest’albergo è tutto meno che tenebroso. Circondato dalla brughiera, è un’isola di pace, distante dal resto del mondo.
- White Hart Hotel, 66 South St, Exeter EX1 1EE: hotel delizioso e dalle ricche colazioni.
Mangiare
- The Fish House Fistral, International Surfing Center 5, Headland Road, Newquay: buon ristorante con panorama favoloso. Ideale al tramonto;
- The Loft Restaurant & Terrace, Norway Lane, Saint Ives: piatto tipico? Il granchio;
- Bill’s Exeter Restaurant, 32-33 Gandy St, Exeter: locale colorato, simpatico ed elegante, che propone ottimi piatti.
Balcani

Il ponte di Mostar (iStock)
Altro on the road originale è quello nei Balcani. Certo, si tratta di toccare con mano ex teatri di guerra, ma quando si parla di viaggio non è possibile evitare ciò che caratterizza la vita stessa: il bello e il brutto convivono e spesso il secondo non solo aiuta a comprendere, ma anche ad apprezzare il primo.
L’ideale è partire da Ancona con la propria auto e raggiungere la Croazia in traghetto. Il percorso scelto parte infatti da Spalato e arriva in Albania, attraversando Bosnia ed Erzegovina e Montenegro. Dieci giorni sono sufficienti a fare incetta di storia, bellezze naturali e cultura.
Si può scegliere di fermarsi anche una sola notte a Spalato, ma bisogna sapere in anticipo che è una città meravigliosa, sorta di Roma in miniatura, dominata com’è dal Palazzo di Diocleziano, uno dei monumenti romani meglio conservati al mondo.
A due ore e mezza di macchina sorge Mostar, in Bosnia ed Erzegovina. Bellissimo arrivarci imboccando la via che costeggia il mare, quella che passa da Almissa, in Dalmazia. Ché il mare, qui è spettacolare.
Prima di arrivare a Mostar è bene fermarsi a Medjugorje: lo spettacolo di devozione, dentro e fuori dalla parrocchia di San Giacomo, è toccante, che si sia credenti o meno.
Una volta a Mostar, sembra di essere entrati nel paese dei Playmobil, ma privato della sua spensieratezza: tutto – o quasi – è stato ricostruito in seguito ai bombardamenti degli anni ’90 e le costruzioni nuove di zecca stridono con la consapevolezza di un tragico passato.
Splendido lo Stari Most, ponte distrutto nel 1993 e poi ricostruito, simbolo di unione tra la parte cristiana della città e quella musulmana. Dalle moschee proviene a orari precisi quel canto magnifico che è il muezzin, che si leva come una preghiera piena di dolore e di speranza. E di dolore trabocca, a maggior ragione, il Museo delle vittime di guerra e genocidio, ineludibile tappa del viaggio. Nonostante questo, Mostar trasuda vita, anche grazie ai suoi tanti locali e ristoranti.
Lungo la strada per il Montenegro, sono da vedere anche Blagaj e Pocitelj, il primo villaggio dei dervisci e il secondo un piccolo paese di origine ottomana.
Poco più di 3 ore e si arriva a Cattaro, città fortificata del Montenegro. Qui si arriva spesso in crociera attraverso le Bocche di Cattaro, sorta di fiori del sud, imperdibili per la loro bellezza. Per ammirarle si può anche salire sulle mura medievali della città.
Pist stop a Sveti Stefan – località esclusiva del Montenegro – e si parte in direzione Albania. Qui ci si può fermare qualche notte nell’entroterra e il resto del tempo al mare: se Berat è un paese storico, testimone del passato rurale albanese e patrimonio UNESCO, Ksamil è la località in cui dedicarsi a qualche giornata di puro relax, grazie alla presenza di un bel mare e di tanti ottimi locali.
Nei dintorni, lo straordinario parco archeologico di Butrinto, fondato da una colonia di Greci e anch’esso patrimonio UNESCO.
In meno di un’ora da Butrino si raggiunge Igoumenitsa, da dove è possibile riprendere il traghetto per l’Italia.
Dormire
- Appartamento Lipa, Morpurgova poljana 1, Spalato: in pieno centro storico e dotato di tutti i comfort;
- Villa Globus, Drage Palavestre 6, Mostar: posto semplice, con stanze arredate in stile ottomano. Prezzi giusti e centro città velocemente raggiungibile;
- Hotel Splendido, Glavati bb, Prcanj, Cattaro: piscina con vista fantastica;
- Amantia Home, Gjion pali 2, Ksamil: ottimo rapporto qualità-prezzo.
Mangiare
- Dujkin Dvor, Trumbićeva obala 6, Spalato: da provare il pesce San Pietro con bietole e patate;
- Restaurant Šadrvan, Jusovina 11, Mostar: cucina di ascendenza ottomana. Da assaggiare il ćevapčići, piatto tipico del luogo. A base di carne trita;
- Restaurant Galion, Šuranj bb, Cattaro: cucina a base di pesce e bella vista;
- Guvat Bar Restorant, Three islands Street Ksamil: posizione splendida, locale elegante e piatti strepitosi.
Creta

La spiaggia di Balos a Creta (iStock)
Un on the road a Creta è perfetto d’estate. L’isola greca è molto grande e un viaggio su strada è consigliato per goderne appieno la bellezza. Si atterra a Heraklion e da lì si può noleggiare un’auto.
Mitologica e selvaggia: ecco come definire quest’isola del Mediterraneo, dominata da paesaggi brulli e acque fluorescenti. Prima tappa a ovest, precisamente a Kissamos, base perfetta per le spiagge più famose della zona: Balos, Falassarna ed Elafonissi, quest’ultima resa celebre dalla sua sabbia rosata e da un mare accecante. Dopo una giornata in spiaggia, si può fare tappa a Polyrrhenia, borgo con in cima un’acropoli romana. Da vedere al tramonto, con le kri kri (le capre dell’isola) che scorrazzano libere.
In quasi 3 ore d’auto si raggiunge Matala, villaggio del sud affacciato sul Mar Libico. Qui si respira un’atmosfera quasi desertica, per via dell’arida roccia che domina il paesaggio. Una delle spiagge più belle è sicuramente Red Beach, chiamata così per via della sabbia rossa. Non è facilissimo raggiungerla, ma alla fine si viene premiati da un mare color smeraldo.
Anche il sud è storia e archeologia: da non perdere Festo (sito minoico) e Odigitria, affascinante monastero ortodosso.
Altre tre ore (rigorosamente da intervallare con pause rigeneranti) e si arriva a est, nella località di Sitia. Anche questa può essere semplicemente una base d’appoggio per visitare siti di ben altro interesse, come per esempio Kato Zakros, con le sue rovine minoiche, e Xerocambos, località che appare come fuori dal mondo, sorta di oasi puntellata da spiagge paradisiache.
Ancora 3 ore e ci si ritrova a Rethymno, bella e caratteristica città del nord. Il suo centro storico testimonia la presenza, dal XVI secolo, dei Veneziani: il mix di elementi orientali e occidentali, qui, è particolarmente tangibile.
Dormire
- Secreto Studios, Eth. Antistaseos, Kissamos: meraviglioso appartamento, sito in una stradina lontana dal mare. Perfetto se si usa Kissamos come base;
- Hotel Villa Sylvia, Matala: da alcune stanze è possibile vedere le rocce bucherellate dalle tante grotte abitate, un tempo, dagli hippy;
- Simon Studios and Apartments, Simon Apartments, Petras: moderni e ben attrezzati.
Mangiare
- Sirtaki, Matala: trattoria turistica, ma non troppo, dove assaggiare la cucina tipica greca;
- Kostas Taverna, Grammatikaki 1, Stalida: da provare le frittelle di verdure e il moussaka;
- Prima Plora Organic Restaurant & Wine Bar, Akrotiriou 8, Rethymno: elegante e romantico, da non perdere al tramonto.
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Anche l’Europa si offre in tutta la sua vastità agli amanti degli «on the road»: si può optare per una regione, per uno o più Paesi, a seconda del tempo a disposizione. Ecco tre proposte di itinerari nel Vecchio Continente: Cornovaglia, Balcani e l'isola di Creta.Lo speciale contiene un articolo e tre approfondimenti.«Cos’è quella sensazione che si prova quando ci si allontana in macchina dalle persone e le si vede recedere nella pianura fino a diventare macchioline e disperdersi? È il mondo troppo grande che ci sovrasta, è l’addio. Ma intanto, ci si proietta in avanti verso una nuova, folle avventura sotto il cielo».Sono le parole di Jack Kerouak, il cui romanzo – Sulla strada – ha affascinato e continua ad affascinare i lettori di tutto il mondo. Libertà, rifiuto delle convenzioni e amore per la vita: sono i tre ingredienti di questo libro autobiografico, che descrive il viaggio come scelta esistenziale. Perché la strada è un modo di intendere la vita, il luogo in cui mettere in scena la libertà di essere chi si vuole.Viaggiare su due o quattro ruote, infatti, è il modo migliore per molti: non affidarsi né ad un’agenzia di viaggio né ai mezzi pubblici regala un senso di indipendenza che raramente sperimentiamo durante la quotidianità, presi come siamo da giornate scandite da impegni e scadenze.Dai viaggi on the road - e dai viaggi in generale - si torna spesso cambiati: qualcosa di noi si è rafforzato o incrinato, chiarito o arricchito di ulteriori sfaccettature. Certo, i viaggi on the road di cui ci apprestiamo a parlare non sono improvvisati né privi di una fine, tuttavia ci si può permettere di vagare anche all’interno di confini ben definiti.La scorsa volta siamo partiti dall’Italia, perché l’Italia, in fin dei conti, è il nostro balcone sul mondo. Chi non è avvezzo ai lunghi viaggi può sperimentarsi con maggior tranquillità entro i confini nazionali, per capire – magari – che l’automobile (o qualsiasi altro mezzo scelto per un on the road) non fa al caso suo. Ad altri, invece, si può aprire un mondo: il piacere di guidare sotto le stelle, ascoltando una compilation che ci emozioni e guardando il mondo scorrere lentamente fuori dai finestrini ci dona una libertà senza eguali. Gli on the road, infatti, ci consentono di fermarci quando ne sentiamo il bisogno e di viaggiare con lentezza, assaporando il paesaggio che cambia progressivamente e scoprendo posti che, altrimenti, non avremmo avuto modo di conoscere.L’on the road per eccellenza è sicuramente la Route 66, che va da Chicago a Santa Monica, attraversando 8 stati americani. Il Big Sur Road Trip è un altro itinerario mitico: la Highway 1 è infatti considerata la strada più bella d’America. Il Salar de Uyuni on the road, tra le Ande della Bolivia, è un altro must tra i viaggiatori più navigati: il “deserto del sale”, infatti, sembra un altro pianeta, lontano da tutto e da tutti, non solo da un punto di vista geografico, ma anche – e soprattutto – scenografico.Il Cabot Train è invece un percorso di 300 chilometri che si snoda in Nuova Scozia – Canada -, tra boschi a strapiombo sul mare. Anche l’isola di Hawaii è molto amata dagli “ontheroaders” di tutto il mondo: la Road to Hana costeggia spiagge, cascate e foreste, e l’ideale, nonostante l’ottantina di chilometri, è percorrerla in una giornata intera.Anche l’Europa si offre in tutta la sua vastità agli amanti degli on the road: si può optare per una regione, per un intero Paese o per più Paesi, a seconda del tempo a disposizione. Nulla è da disdegnare quando si cominciano ad apprezzare i viaggi su strada. L’unica regola è: seguire le regole delle diverse nazioni, sia stradali che di buona educazione. Ci sono posti, infatti, in cui suonare con il clacson – per esempio – è segno di maleducazione. Informarsi prima è sempre buona norma, soprattutto se siamo italiani: inutile dirlo, non siamo il popolo più pacato al volante e le nostre abitudini potrebbero compromettere, come minimo, la reputazione, se non la patente.Altra fondamentale regola: abbandonare la fretta. I viaggi on the road sono altamente inadatti a chi è attaccato alle tabelle di marcia, alla puntualità e alla lista di cose da fare e da vedere. Il viaggio su strada è per tutti coloro che si abbandonano serenamente all’imprevisto o che, comunque, lo affrontano come facente parte del percorso.I viaggi che seguono non sono dei classici, ma delle variazioni sul tema: ogni Paese e regione ha delle spiccate peculiarità, che durante un on the road emergono in tutta la loro potenza.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="True" data-href="https://www.laverita.info/viaggi-on-the-road-in-europa-2657701843.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="cornovaglia" data-post-id="2657701843" data-published-at="1658334665" data-use-pagination="False"> Cornovaglia L'isola di St Michael's Mount in Cornovaglia (iStock) Mai pensato all’Inghilterra on the road? Siamo soliti identificare questo affascinante Paese con Londra, quando le sue bellezze non si fermano certo alla capitale. I suoi paesaggi hanno ispirato romanzi, film e spettacoli teatrali: le scogliere, la brughiera e il tempo incerto sono l’ideale per gli amanti dei chiaroscuri e delle atmosfere remote.Possiamo optare per tutta l’Inghilterra o – com’è più auspicabile – per una sua parte. La Cornovaglia, ad esempio, è puntellata da villaggi, romanzeschi castelli e grandi spiagge: impossibile non innamorarsene.Il consiglio è di arrivare a Londra in aereo e di prendere il pullman della National Express direttamente in aeroporto (Heatrow). Direzione: Exeter, capoluogo del Devon, dove fermarsi anche solo per una notte. Questa cittadina dall’aspetto tipicamente British ha una cattedrale da fare invidia a tutte le cattedrali del mondo, grazie alla storia che trasuda da ogni sua colonna e vetrata.A Exeter si può noleggiare un’auto e dalla città dirigersi finalmente in Cornovaglia. Le scoperte si susseguono una dopo l’altra: isolotti – come Burgh Island – che sembrano usciti da un libro di fiabe, la brughiera che circonda paesi e frazioni come Bolventor, cittadine dalle reminiscenze letterarie come St. Ives… Nulla, in Cornovaglia, è lasciato al caso, né dalla natura né dall’uomo.Quasi tutti i luoghi di mare (anzi, di oceano) sono soggetti alle maree: a St. Ives, per esempio, ci si ritrova prima con i piedi piantati sulla sabbia di un’immensa spiaggia – accanto a barche apparentemente arenate – e poi costretti ad allontanarsi man mano che l’acqua si avvicina.Altri luoghi indimenticabili sono Boscastle – dove si può visitare il Museo della Stregoneria -, la baia di Porthcurno (da non perdere il Minack Theatre, teatro a picco sull’oceano), Newquay con i suoi splendidi tramonti e Port Isaac, paesino romantico dove fermarsi a sorseggiare un cream tea.Dormire Jamaica Inn, Launceston PL15 7TS, Bolventor: qui la scrittrice Daphne du Murier ambientò l’omonimo romanzo e Hitchcock l’omonimo film. Al centro di entrambe le opere il tema del delitto, ma quest’albergo è tutto meno che tenebroso. Circondato dalla brughiera, è un’isola di pace, distante dal resto del mondo.White Hart Hotel, 66 South St, Exeter EX1 1EE: hotel delizioso e dalle ricche colazioni.MangiareThe Fish House Fistral, International Surfing Center 5, Headland Road, Newquay: buon ristorante con panorama favoloso. Ideale al tramonto;The Loft Restaurant & Terrace, Norway Lane, Saint Ives: piatto tipico? Il granchio;Bill’s Exeter Restaurant, 32-33 Gandy St, Exeter: locale colorato, simpatico ed elegante, che propone ottimi piatti. <div class="rebellt-item col2" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="True" data-href="https://www.laverita.info/viaggi-on-the-road-in-europa-2657701843.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="balcani" data-post-id="2657701843" data-published-at="1658334665" data-use-pagination="False"> Balcani Il ponte di Mostar (iStock) Altro on the road originale è quello nei Balcani. Certo, si tratta di toccare con mano ex teatri di guerra, ma quando si parla di viaggio non è possibile evitare ciò che caratterizza la vita stessa: il bello e il brutto convivono e spesso il secondo non solo aiuta a comprendere, ma anche ad apprezzare il primo.L’ideale è partire da Ancona con la propria auto e raggiungere la Croazia in traghetto. Il percorso scelto parte infatti da Spalato e arriva in Albania, attraversando Bosnia ed Erzegovina e Montenegro. Dieci giorni sono sufficienti a fare incetta di storia, bellezze naturali e cultura.Si può scegliere di fermarsi anche una sola notte a Spalato, ma bisogna sapere in anticipo che è una città meravigliosa, sorta di Roma in miniatura, dominata com’è dal Palazzo di Diocleziano, uno dei monumenti romani meglio conservati al mondo.A due ore e mezza di macchina sorge Mostar, in Bosnia ed Erzegovina. Bellissimo arrivarci imboccando la via che costeggia il mare, quella che passa da Almissa, in Dalmazia. Ché il mare, qui è spettacolare.Prima di arrivare a Mostar è bene fermarsi a Medjugorje: lo spettacolo di devozione, dentro e fuori dalla parrocchia di San Giacomo, è toccante, che si sia credenti o meno.Una volta a Mostar, sembra di essere entrati nel paese dei Playmobil, ma privato della sua spensieratezza: tutto – o quasi – è stato ricostruito in seguito ai bombardamenti degli anni ’90 e le costruzioni nuove di zecca stridono con la consapevolezza di un tragico passato.Splendido lo Stari Most, ponte distrutto nel 1993 e poi ricostruito, simbolo di unione tra la parte cristiana della città e quella musulmana. Dalle moschee proviene a orari precisi quel canto magnifico che è il muezzin, che si leva come una preghiera piena di dolore e di speranza. E di dolore trabocca, a maggior ragione, il Museo delle vittime di guerra e genocidio, ineludibile tappa del viaggio. Nonostante questo, Mostar trasuda vita, anche grazie ai suoi tanti locali e ristoranti.Lungo la strada per il Montenegro, sono da vedere anche Blagaj e Pocitelj, il primo villaggio dei dervisci e il secondo un piccolo paese di origine ottomana.Poco più di 3 ore e si arriva a Cattaro, città fortificata del Montenegro. Qui si arriva spesso in crociera attraverso le Bocche di Cattaro, sorta di fiori del sud, imperdibili per la loro bellezza. Per ammirarle si può anche salire sulle mura medievali della città.Pist stop a Sveti Stefan – località esclusiva del Montenegro – e si parte in direzione Albania. Qui ci si può fermare qualche notte nell’entroterra e il resto del tempo al mare: se Berat è un paese storico, testimone del passato rurale albanese e patrimonio UNESCO, Ksamil è la località in cui dedicarsi a qualche giornata di puro relax, grazie alla presenza di un bel mare e di tanti ottimi locali.Nei dintorni, lo straordinario parco archeologico di Butrinto, fondato da una colonia di Greci e anch’esso patrimonio UNESCO. In meno di un’ora da Butrino si raggiunge Igoumenitsa, da dove è possibile riprendere il traghetto per l’Italia.DormireAppartamento Lipa, Morpurgova poljana 1, Spalato: in pieno centro storico e dotato di tutti i comfort;Villa Globus, Drage Palavestre 6, Mostar: posto semplice, con stanze arredate in stile ottomano. Prezzi giusti e centro città velocemente raggiungibile;Hotel Splendido, Glavati bb, Prcanj, Cattaro: piscina con vista fantastica;Amantia Home, Gjion pali 2, Ksamil: ottimo rapporto qualità-prezzo.MangiareDujkin Dvor, Trumbićeva obala 6, Spalato: da provare il pesce San Pietro con bietole e patate;Restaurant Šadrvan, Jusovina 11, Mostar: cucina di ascendenza ottomana. Da assaggiare il ćevapčići, piatto tipico del luogo. A base di carne trita;Restaurant Galion, Šuranj bb, Cattaro: cucina a base di pesce e bella vista;Guvat Bar Restorant, Three islands Street Ksamil: posizione splendida, locale elegante e piatti strepitosi. <div class="rebellt-item col2" id="rebelltitem3" data-id="3" data-reload-ads="false" data-is-image="True" data-href="https://www.laverita.info/viaggi-on-the-road-in-europa-2657701843.html?rebelltitem=3#rebelltitem3" data-basename="creta" data-post-id="2657701843" data-published-at="1658334665" data-use-pagination="False"> Creta La spiaggia di Balos a Creta (iStock) Un on the road a Creta è perfetto d’estate. L’isola greca è molto grande e un viaggio su strada è consigliato per goderne appieno la bellezza. Si atterra a Heraklion e da lì si può noleggiare un’auto.Mitologica e selvaggia: ecco come definire quest’isola del Mediterraneo, dominata da paesaggi brulli e acque fluorescenti. Prima tappa a ovest, precisamente a Kissamos, base perfetta per le spiagge più famose della zona: Balos, Falassarna ed Elafonissi, quest’ultima resa celebre dalla sua sabbia rosata e da un mare accecante. Dopo una giornata in spiaggia, si può fare tappa a Polyrrhenia, borgo con in cima un’acropoli romana. Da vedere al tramonto, con le kri kri (le capre dell’isola) che scorrazzano libere.In quasi 3 ore d’auto si raggiunge Matala, villaggio del sud affacciato sul Mar Libico. Qui si respira un’atmosfera quasi desertica, per via dell’arida roccia che domina il paesaggio. Una delle spiagge più belle è sicuramente Red Beach, chiamata così per via della sabbia rossa. Non è facilissimo raggiungerla, ma alla fine si viene premiati da un mare color smeraldo.Anche il sud è storia e archeologia: da non perdere Festo (sito minoico) e Odigitria, affascinante monastero ortodosso.Altre tre ore (rigorosamente da intervallare con pause rigeneranti) e si arriva a est, nella località di Sitia. Anche questa può essere semplicemente una base d’appoggio per visitare siti di ben altro interesse, come per esempio Kato Zakros, con le sue rovine minoiche, e Xerocambos, località che appare come fuori dal mondo, sorta di oasi puntellata da spiagge paradisiache.Ancora 3 ore e ci si ritrova a Rethymno, bella e caratteristica città del nord. Il suo centro storico testimonia la presenza, dal XVI secolo, dei Veneziani: il mix di elementi orientali e occidentali, qui, è particolarmente tangibile.DormireSecreto Studios, Eth. Antistaseos, Kissamos: meraviglioso appartamento, sito in una stradina lontana dal mare. Perfetto se si usa Kissamos come base;Hotel Villa Sylvia, Matala: da alcune stanze è possibile vedere le rocce bucherellate dalle tante grotte abitate, un tempo, dagli hippy;Simon Studios and Apartments, Simon Apartments, Petras: moderni e ben attrezzati.MangiareSirtaki, Matala: trattoria turistica, ma non troppo, dove assaggiare la cucina tipica greca;Kostas Taverna, Grammatikaki 1, Stalida: da provare le frittelle di verdure e il moussaka;Prima Plora Organic Restaurant & Wine Bar, Akrotiriou 8, Rethymno: elegante e romantico, da non perdere al tramonto.
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Veniamo al profeta, Pellegrino Artusi, il Garibaldi della cucina tricolore. Scrivendo il libro La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene (1891), l’uomo di Forlimpopoli trapiantato a Firenze creò un’identità gastronomica comune nel Paese da poco unificato, raccogliendo le ricette tradizionali delle varie Regioni - e subregioni - italiane valorizzando le tipicità e diffondendone la conoscenza. È così che suscitò uno slancio di orgoglio nazionale per le diverse cucine italiane che, nei secoli, si sono caratterizzate ognuna in maniera diversa, attraverso i vari coinvolgimenti storici, la civiltà contadina, la cucina di corte (anche papale), quella borghese, le benefiche infiltrazioni e contaminazioni di popoli e cucine d’oltralpe e d’oltremare, e, perché no, anche attraverso la fame e la povertà.
Orio Vergani, il custode, giornalista e scrittore milanese (1898-1960), è una figura di grande rilievo nella storia della cucina patria. Fu lui insieme ad altri innamorati a intuire negli anni Cinquanta del secolo scorso il rischio che correvano le buone tavole del Bel Paese minacciate dalla omologazione e dall’appiattimento dei gusti, insidiate da una cucina industriale e standardizzata. Fu lui a distinguere i pericoli nel turismo di massa e nell’alta marea della modernizzazione. Il timore e l’allarme sacrosanto di Vergani erano dettati dalla paura di perdere a tavola l’autenticità, la qualità e il legame col territorio della nostra tradizione gastronomica. Per combattere la minaccia, l’invitato speciale fondò nel 1953 l’Accademia italiana della cucina sottolineando già nel nome la diversità dell’arte culinaria nelle varie parti d’Italia.
L’Accademia, istituzione culturale della Repubblica italiana, continua al giorno d’oggi, con le sue delegazioni in sessanta Paesi del mondo e gli 8.000 soci, a portare avanti il buon nome della cucina italiana. Non è un caso se a sostenere il progetto all’Unesco siano stati tre attori, due dei quali legati al «profeta» romagnolo e al «custode» milanese: la Fondazione Casa Artusi di Forlimpopoli e l’Accademia italiana della cucina nata, appunto, dall’intuizione di Orio Vergani. Terzo attore è la rivista La cucina Italiana, fondata nel 1929. Paolo Petroni, presidente dell’Accademia, commenta: «Il riconoscimento dell’Unesco rappresenta una grandissima medaglia al valore, per noi. La festeggeremo il terzo giovedì di marzo in tutte le delegazioni del mondo e nelle sedi diplomatiche con una cena basata sulla convivialità e sulla socialità. Il menu? Libero. Ogni delegazione lo rapporterà al territorio e alla tradizione.
L’Unesco ha riconosciuto la cucina italiana patrimonio immateriale andando oltre alle ricette e al semplice nutrimento, considerandola un sistema culturale, rafforzando il ruolo dell’Italia come ambasciatrice di un modello culturale nel mondo in quanto la nostra cucina è una pratica sociale viva, che trasmette memoria, identità e legame con il territorio, valorizzando la convivialità, i rituali, la condivisione famigliare, come il pranzo della domenica, la stagionalità e i gesti quotidiani, oltre a promuovere inclusione e sostenibilità attraverso ricette antispreco tramandate da generazione in generazione. Il riconoscimento non celebra piatti specifici come è stato fatto con altri Paesi, ma l’intera arte culinaria e culturale che lega comunità, famiglie e territori attraverso il cibo. Riconosce l’intelligenza delle ricette tradizionali nate dalla povertà contadina, che insegnano a non sprecare nulla, un concetto di sostenibilità ancestrale. Incarna il legame tra la natura, le risorse locali e le tradizioni culturali, riflettendo la diversità dei paesaggi italiani».
Peccato che non tutti la pensino così, vedi l’attacco del critico e scrittore britannico di gastronomia Giles Coren sul Times. Dopo aver bene intinto la penna nell’iperbole, nella satira e nell’insulto, Coren è partito all’attacco alla baionetta contro, parole sue, il riconoscimento assegnato dall’Unesco, riconoscimento prevedibile, servile, ottuso e irritante. Dice l’opinionista prendendosela anche con i suoi connazionali snob: «Da quando scrivo di ristoranti, combatto contro la presunta supremazia del cibo italiano. Perché è un mito, un miraggio, una bugia alimentata da inglesi dell’alta borghesia che, all’inizio degli anni Novanta, trasferirono le loro residenze estive in Toscana».
Risponde Petroni: «Credo che l’articolo di Coren sia una burla, lo scherzo di uno che in fondo, e lo ha dimostrato in altri articoli, apprezza la cucina italiana. Per etichettare il tutto come burla, basta leggere la parte in cui elogia la cucina inglese candidandola al riconoscimento Unesco per il valore culturale del “toast bruciato appena prima che scatti l’allarme antincendio”, gli “spaghetti con il ketchup”, il “Barolo britannico”, i “noodles cinesi incollati alla tovaglia” e altre perle di questo genere. C’è da sottolineare, invece, che la risposta dell’Unesco è stata unanime: i 24 membri del comitato intergovernativo per la salvaguardia del Patrimonio culturale immateriale hanno votato all’unanimità in favore della cucina italiana. Non c’è stato nemmeno un astenuto. La prima richiesta fu bocciata. Nel 2023 l’abbiamo ripresentata. È la parola “immateriale” che ci bloccò. È difficile definire una cucina immateriale senza cadere nel materiale. Per esempio l’Unesco non ha dato il riconoscimento alla pizza in quanto pizza, ma all’arte napoletana della pizza. Il cammino è stato molto difficile ma, alla fine, siamo riusciti a unificare la pratica quotidiana, i gesti, le parole, i rituali di una cucina variegata e il risultato c’è stato. La cucina italiana è la prima premiata dall’Unesco in tutta la sua interezza».
Se Coren ha scherzato, Alberto Grandi, docente all’Università di Parma, autore del libro La cucina italiana non esiste, è andato giù pesante nell’articolo su The Guardian. Basta il titolo per capire quanto: «Il mito della cucina tradizionale italiana ha sedotto il mondo. La verità è ben diversa». «Grandi è arrivato a dire che la pizza l’hanno inventata gli americani e che il vero grana si trova nel Wisconsin. Che la cucina italiana non risalga al tempo dei Romani lo sanno tutti. Prima della scoperta dell’America, la cucina era un’altra cosa. Quella odierna nasce nell’Ottocento da forni e fornelli borghesi. Se si rimane alla civiltà contadina, si rimane alle zuppe o poco più. Le classi povere non avevano carne da mangiare». Petroni conclude levandosi un sassolino dalla scarpa: l’esultanza dei cuochi stellati, i «cappelloni», come li chiama, è comprensibile ma loro non c’entrano: «Sono contento che approvino il riconoscimento, ma sia chiaro che questo va alla cucina italiana famigliare, domestica».
A chi si deve il maggior merito del riconoscimento Unesco? «A Maddalena Fossati, la direttrice de La cucina italiana. È stata lei a rivolgersi all’Accademia e alla Fondazione Casa Artusi. Il documento l’abbiamo preparato con il prezioso aiuto di Massimo Montanari, accademico onorario, docente all’Università di Bologna, e presentato con il sostegno del sottosegretario alla Cultura, Gianmarco Mazzi».
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Gianluigi Cimmino (Imagoeconomica)
Yamamay ha sempre scelto testimonial molto riconoscibili. Oggi il volto del brand è Rose Villain. Perché questa scelta?
«Negli ultimi tre anni ci siamo avvicinati a due canali di comunicazione molto forti e credibili per i giovani: la musica e lo sport. Oggi, dopo il crollo del mondo degli influencer tradizionali, è fondamentale scegliere un volto autentico, coerente e riconoscibile. Gran parte dei nostri investimenti recenti è andata proprio in questa direzione. Rose Villain rappresenta la musica, ma anche una bellezza femminile non scontata: ha un sorriso meraviglioso, un fisico prorompente che rispecchia le nostre consumatrici, donne che si riconoscono nel brand anche per la vestibilità, che riteniamo tra le migliori sul mercato. È una voce importante, un personaggio completo. Inoltre, il mondo musicale oggi vive molto di collaborazioni: lo stesso concetto che abbiamo voluto trasmettere nella campagna, usando il termine «featuring», tipico delle collaborazioni tra artisti. Non a caso, Rose Villain aveva già collaborato con artisti come Geolier, che è stato nostro testimonial l’anno scorso».
I volti famosi fanno vendere di più o il loro valore è soprattutto simbolico e di posizionamento del brand?
«Oggi direi soprattutto posizionamento e coerenza del messaggio. La vendita non dipende più solo dalla pubblicità: per vendere bisogna essere impeccabili sul prodotto, sul prezzo, sull’assortimento. Viviamo un momento di consumi non esaltanti, quindi è necessario lavorare su tutte le leve. Non è che una persona vede lo spot e corre subito in negozio. È un periodo “da elmetto” per il settore retail».
È una situazione comune a molti brand, in questo momento.
«Assolutamente sì. Noi non possiamo lamentarci: anche questo Natale è stato positivo. Però per portare le persone in negozio bisogna investire sempre di più. Il traffico non è più una costante: meno persone nei centri commerciali, meno in strada, meno negli outlet. Per intercettare quel traffico serve investire in offerte, comunicazione, social, utilizzando tutti gli strumenti che permettono soprattutto ai giovani di arrivare in negozio, magari grazie a una promozione mirata».
Guardando al passato, c’è stato un testimonial che ha segnato una svolta per Yamamay?
«Sicuramente Jennifer Lopez: è stato uno dei primi casi in cui una celebrità ha firmato una capsule collection. All’epoca era qualcosa di totalmente nuovo e ci ha dato una visibilità internazionale enorme. Per il mondo maschile, Cristiano Ronaldo ha rappresentato un altro grande salto di qualità. Detto questo, Yamamay è nata fin dall’inizio con una visione molto chiara».
Come è iniziata questa avventura imprenditoriale?
«Con l’incoscienza di un ragazzo di 28 anni che rescinde un importante contratto da manager perché vuole fare l’imprenditore. Ho coinvolto tutta la famiglia in questo sogno: creare un’azienda di intimo, un settore che ho sempre amato. Dico spesso che ero già un grande consumatore, soprattutto perché l’intimo è uno dei regali più fatti. Oggi posso dire di aver realizzato un sogno».
Oggi Yamamay è un marchio internazionale. Quanti negozi avete nel mondo?
«Circa 600 negozi in totale. Di questi, 430 sono in Italia e circa 170 all’estero».
Il vostro è un settore molto competitivo. Qual è oggi il vostro principale elemento di differenziazione?
«Il rapporto qualità-prezzo. Abbiamo scelto di non seguire la strada degli aumenti facili nel post Covid, quando il mercato lo permetteva. Abbiamo continuato invece a investire su prodotto, innovazione, collaborazioni e sostenibilità. Posso dire con orgoglio che Yamamay è uno dei marchi di intimo più sostenibili sul mercato. La sostenibilità per noi non è una moda né uno strumento di marketing: è un valore intrinseco. Anche perché abbiamo in casa una delle massime esperte del settore, mia sorella Barbara, e siamo molto attenti a non fare greenwashing».
Quali sono le direttrici di crescita future?
«Sicuramente l’internazionale, più come presenza reale che come notorietà, e il digitale: l’e-commerce è un canale dove possiamo crescere ancora molto. Inoltre stiamo investendo tantissimo nel menswear. È un mercato in forte evoluzione: l’uomo oggi compra da solo, non delega più alla compagna o alla mamma. È un cambiamento culturale profondo e la crescita sarà a doppia cifra nei prossimi anni. La società è cambiata, è più eterogenea, e noi dobbiamo seguirne le evoluzioni. Penso anche al mondo Lgbtq+, che è storicamente un grande consumatore di intimo e a cui guardiamo con grande attenzione».
Capodanno è un momento simbolico anche per l’intimo. Che consiglio d’acquisto dai ai vostri clienti per iniziare bene l’anno?
«Un consiglio semplicissimo: indossate intimo rosso a Capodanno. Mutande, boxer, slip… non importa. È una tradizione che non va persa, anzi va rafforzata. Il rosso porta amore, ricchezza e salute. E le tradizioni belle vanno rispettate».
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