2018-10-08
«Vi spiego perché l’euro è una tragedia. Solo la Germania potrà farla finire»
L'economista di Princeton Ashoka Mody: «La moneta unica disgrega l'Unione Il Qe di Draghi è inutile, la Bce ha cantato vittoria troppo presto».Con le polemiche sul Def gialloblù è tornato attuale il dibattito sulla moneta unica. L'euro è stato un successo comprovato dall'esperienza della Grecia, come disse Mario Monti, o un progetto viziato dal principio? Il partito dei competenti lo difende a oltranza. Peccato che a sostenere che l'euro sia una «tragedia» ci sia un competentissimo economista di origini indiane, titolare di una cattedra a Princeton, ex pezzo grosso della Banca mondiale e del Fondo monetario internazionale, peraltro affiliato al think tank Bruegel, di cui fa parte proprio l'ex premier Monti. Ashoka Mody quest'anno ha messo nero su bianco le sue tesi con il saggio A Euro Tragedy: A drama in nine acts, pubblicato dalla Oxford University Press. Il che prova che, tra i «cervelloni», la sacralità della moneta unica è tutt'altro che un dato pacifico. La Verità ha avuto il piacere di intervistarlo.Professor Mody, una delle tesi del suo libro è che l'euro, anziché favorire l'integrazione europea, abbia aggravato gli squilibri tra gli Stati membri dell'Unione.«Non c'è mai stata una ragione valida per realizzare un'unica valuta europea; anzi, come tutti comprendevano, una moneta unica comporta enormi rischi. Un'unica politica monetaria non funziona per Paesi diversi che si muovono in direzioni diverse. Funziona solo se è inserita in un contratto politico in cui le regioni più ricche supportano quelle meno ricche».Una forma di redistribuzione interna?«Come negli Stati Uniti, dove tale sostegno è generoso e automatico: non ci sono riunioni del Consiglio europeo che pongono condizioni e centellinano gli aiuti».I leader europei sostengono che per un mercato unico serve una moneta unica.«Ovviamente questo non è vero. In Germania, le relazioni commerciali che crescono più rapidamente sono quelle con i Paesi dell'Est, al di fuori dell'eurozona».Quanto al sogno dell'unificazione europea? L'idea era che una singola politica monetaria l'avrebbe accelerata.«La tesi politica è persino più stravagante di quella economica».Stravagante? Perché?«Perché, come i critici della prima ora acutamente notarono, amplificando le divergenze economiche la moneta unica avrebbe reso più profonde anche le divisioni politiche».Dunque perché secondo lei l'euro è una «tragedia»?«Perché quegli avvertimenti si sono rivelati esatti al 100%. L'euro continuerà a dividere le nazioni europee».Scusi, ma i leader europei non si erano resi conto che l'euro sarebbe stato un fallimento?«Certamente. Ma pur consapevoli del rischio che i Paesi più deboli sarebbero stati seriamente svantaggiati, hanno deciso di andare avanti lo stesso. Il cancelliere tedesco Helmut Kohl, ad esempio, comprendeva chiaramente i pericoli della moneta unica. E si oppose al progetto per lungo tempo».Kohl si oppose all'euro?«Sì. Ma dopo l'unificazione tedesca, decise di promuoverlo in modo aggressivo. Durante gli anni Novanta, il progetto sarebbe potuto morire molte volte; fu Kohl a tenerlo in vita».Per quale ragione?«Considerato che agì prevalentemente da solo, con pochi consiglieri a lui molto vicini, non lo sapremo mai con certezza. La mia interpretazione è che lui credesse che alla fine sarebbe stato ricordato non soltanto come il cancelliere dell'unificazione tedesca, ma anche come il cancelliere dell'unificazione europea».I Paesi dell'Europa meridionale, però, potevano dire di no. Perché non l'hanno fatto?«I Paesi del Sud avrebbero dovuto sapere che sarebbero stati messi in una posizione svantaggiata, dal momento che la politica monetaria sarebbe stata influenzata dalle condizioni economiche della Germania. Ma i leader italiani credevano nel principio del vincolo esterno».Che speravano di ottenere?«Si convinsero che la disciplina imposta dalla moneta unica avrebbe costretto la classe dirigente a realizzare migliori politiche economiche. Non si sono mai fermati a riflettere su ciò che sarebbe successo se il vincolo esterno avesse fallito, come è successo in maniera eclatante».Lei trova che le regole di bilancio europee siano troppo restrittive?«Come si comprese bene quando vennero proposte per la prima volta, queste regole prevedono un'applicazione troppo rigida di misure di austerità quando le condizioni economiche sono già fragili».Se tutti lo avevano capito, perché poi le hanno sottoscritte?«Perché mentre le regole di bilancio erano e rimangono un requisito imposto dai tedeschi, con il tempo praticamente tutti i leader europei hanno iniziato a considerarle una necessità. Il fiscal compact ha rappresentato il culmine di quel processo».I vincoli di bilancio Ue sono mal congegnati?«Ho sempre sposato la tesi per cui le regole di bilancio sono frutto di analfabetismo economico e sono politicamente divisive. Com'è noto, Romano Prodi le definì “stupide". Ma nulla è cambiato perché fossero rese meno stupide. L'eurozona dovrebbe attuare una lenta e prudentemente calibrata transizione verso una maggiore disciplina di mercato, in cui i creditori comprendano che stanno prestando denaro a nazioni sovrane a loro rischio e pericolo».Nei mesi scorsi, in Italia, si è polemizzato a lungo sul cosiddetto «piano B» del ministro Paolo Savona per uscire dall'euro. Lei che ne pensa?«Un “piano B" o un qualsiasi altro piano per uscire dall'eurozona significa giocare con il fuoco».Perché? «Il “piano B" e le sue varianti implicano sostanzialmente la creazione di valute parallele. E una valuta parallela crea terreno fertile per corruzione e crimine organizzato. Significherebbe peggiorare una situazione economica e politica già problematica».Il governo italiano fa bene a mostrare insofferenza verso il vincolo del 3%, o con il suo comportamento mette a rischio la stabilità dell'eurozona, come affermano i critici?«Ci sono due questioni da affrontare separatamente. Anche se le regole sono frutto di analfabetismo economico, alla fine i mercati seguono le reazioni delle autorità europee, che di solito insistono sull'adesione a quelle regole. Perciò le risposte dei mercati possono risultare molto dolorose». E l'altra questione?«Al di là delle regole, resta una vera incognita: il debito pubblico dell'Italia è così alto che un qualsiasi tentativo di realizzare un consistente stimolo fiscale è pericoloso».L'Italia potrebbe sopportare il costo di un'uscita dall'euro?«Uscire dall'euro potrebbe avere costi straordinariamente alti. Una nuova lira varrebbe molto meno dell'euro. La gente guadagnerebbe in lire, ma dovrebbe ripagare debiti in euro. Perciò in molti sarebbero costretti al default, essendo impossibilitati a ripagare quei debiti. I creditori, a loro volta, non essendo stati rimborsati, non potrebbero rimborsare i loro creditori. Di qui, un effetto di default a cascata innescherebbe una debilitante crisi finanziaria. La crisi si diffonderebbe dall'Italia al resto dell'Europa e poi sui mercati finanziari mondiali, probabilmente con un'intensità simile a quella del periodo seguito al crack di Lehman Brothers».E se i Paesi Ue lavorassero a una procedura ordinata di uscita dall'euro?«In realtà, la maniera meno dolorosa per recedere dall'euro sarebbe far uscire la Germania dall'eurozona».Sta dicendo che è la Germania, la prima della classe, che dovrebbe uscire dall'euro?«Sì. Berlino soffrirebbe delle perdite perché il nuovo marco tedesco si apprezzerebbe e i debiti contratti con la Germania in altre valute perderebbero di valore. Ma la Germania è il solo Paese che può sopportare quei costi senza innescare una reazione a catena sui mercati finanziari europei e mondiali».Ma il Quantitative easing di Mario Draghi non basta a salvare l'euro?«Il Qe è arrivato tardi e la Bce si è affrettata a cantare vittoria troppo presto. La crescita economica dell'eurozona sta rallentando, anche più in fretta di quanto previsto. Il tasso d'inflazione di lungo termine è fermo all'1%. In Italia è persino più basso». Il Qe non è servito a nulla?«Non ha avuto effetti significativi nel deprezzare l'euro per favorire l'export e aumentare il tasso d'inflazione. A mio avviso, il Qe ha avuto ben pochi benefici misurabili».E se dopo Draghi arrivasse un «rigorista» come Jens Weidmann?«Non credo che i singoli individui siano importanti come i media e gli opinionisti li ritraggono. L'influenza dominante è quella della struttura delle preferenze nazionali e degli obiettivi ideologici. E questi creano una propensione per la stabilità, ovvero per una politica deflazionistica, che rimarrà in ogni caso».C'è una qualche soluzione per salvare l'euro?«Ci sono dei palliativi. Ad esempio, liberarsi dalle regole di bilancio, affidarsi di più alla disciplina di mercato, creare un doppio mandato per la Bce, in modo tale che si dia peso non solo alla stabilità dei prezzi, ma anche al problema della disoccupazione. Ma non ci sono soluzioni definitive».Non ci sono? Possibile?«Una soluzione definitiva richiederebbe l'istituzione degli Stati Uniti d'Europa, in cui il Parlamento Ue diventerebbe l'autorità ultima e i parlamenti nazionali gli sarebbero subordinati, alla maniera dei parlamenti dei singoli Stati negli Usa. Solo un simile contratto creerebbe la legittimità democratica per condurre una politica monetaria unica». Aspetta e spera...«La mia interpretazione della storia, infatti, mi porta a credere che gli europei non siano pronti per un simile cambiamento. E probabilmente non lo saranno mai».Eppure, nonostante la «tragedia» dell'euro sia tanto evidente, chi critica la moneta unica viene trattato da eretico nel dibattito pubblico.«Il dibattito pubblico sull'euro è intrappolato in una ristretta gamma di opzioni, che ritornano a cadenza regolare. Si discute continuamente di riforma delle regole di bilancio, di creazione di un bilancio Ue e di un meccanismo di assicurazione, di un'Europa a più velocità (o a geometria variabile). Ogni volta che la discussione ricomincia, è come se il ricordo dei fallimenti pregressi sparisse. Il dibattito trasmette la sensazione inquietante di un ciclo che si ripete».