
Nel 2012 l'Università Euromediterranea mi chiese di rimediare ai danni della figura chiave del Russiagate, allora presidente. Si era costruito la famosa agenda di contatti «mondiali» con viaggi e spese a carico dell'ateneo. E fregò pure il governo di Malta.Il mio primo di una lunga serie di incontri con Joseph Mifsud è datato febbraio 2012 ed ebbe luogo a Barcellona. Quel giorno un governo europeo mi nominò quale membro del consiglio d'amministrazione dell'Università Euromerditerranea - Emuni, un progetto accademico internazionale sostenuto finanziariamente dall'Ue. La mia nomina era legata direttamente al fatto che Joseph Mifsud, allora presidente dell'ateneo, pareva non essere all'altezza del ruolo e la situazione economica risultava ai membri fondatori poco chiara. La prima impressione che ebbi del personaggio doveva essere confermata nei mesi a venire: un affabulatore, scaltro, ingegnoso ma poco avveduto. Collaborando con i membri del cda dovevo scoprire che fine avessero fatto alcuni milioni di euro di denaro pubblico, ma soprattutto risanare e rilanciare l'istituto che sotto la gestione di Mifsud, tranne sperperare soldi, non aveva ottenuto risultati degni di nota. In quattro anni non era stato iscritto nemmeno uno studente, non vi era nemmeno un corso accreditato ma nonostante ciò il presidente era riuscito ad omaggiare l'allora membro del Parlamento europeo Rodi Kratsa con un dottorato honoris causa per aver aiutato l'Emuni a muovere i primi passi. Nell'emiciclo di Bruxelles venne infatti istituito un gruppo di lavoro specifico successivamente presieduto dal dem Gianni Pittella. Fu a quest'ultimo che mi rivolsi nella primavera del 2012 per informarlo ufficialmente delle difficoltà esistenti sotto la guida di Mifsud ed ottenere successivamente l'appoggio del Parlamento e della Commissione nella fase di ristrutturazione che portai avanti fino alla fine del 2013. Sulla base delle prove di mala gestione da me accumulate nei primi mesi di mandato, ebbi modo di accordarmi con Mifsud sulle sue dimissioni durante una cena a base di pesce sul lungomare di una pittoresca cittadina marinara istriana. Avendo compreso la ragione dell'incontro reagì nella maniera ad egli più consona ovvero quella che, avrei scoperto pochi mesi più tardi, faceva parte del suo personaggio orientato alla sopravvivenza e al riciclaggio della propria persona per il potente di turno. Mifsud disse che da tempo sentiva compiuta la sua missione e di essere pronto ad aiutarmi in tutti i modi a prendere la guida dell'università. Da galantuomini ci accordammo sulla sua permanenza per altri tre mesi. Io avrei assunto inizialmente il ruolo di vice presidente in modo da poter contare sulla sua conoscenza unica degli eventi passati, nonché poter chiedere lumi quando necessario. Mifsud però non rispettò gli accordi. Sparì immediatamente dalla scena appropriandosi indebitamente anche di alcuni mesi di stipendio. Si riciclò grazie ad un suo collega presso un istituto di diplomazia poco credibile in Inghilterra e continuò a vantarsi d'avere magnifici contatti con le più alte sfere politiche della terra. In verità tutti i suoi contatti derivavano dal fatto che come dirigente dell'Emuni aveva sperperato ingenti somme di denaro solamente per viaggiare e sottoscrivere centinaia di accordi di collaborazioni con le università europee, mediorientali, africane e russe. Il suo unico scopo era quello d'avere un buon stipendio e viaggiare in modo da autoconvincersi d'essere importante. Questa fu la mia impressione di Mifsud. Essa però viene oggi indirettamente confermata nel momento in cui egli si trova invischiato in una spy story assolutamente più grande di lui. Quando lo scorso anno, subito dopo la pubblicazione delle accuse del procuratore Robert Mueller, mi chiamarono numerose emittenti americane alla ricerca dello scoop che incriminasse Donald Trump risposi a tutti che se Mifsud era il massimo che gli accusatori di Trump avevano in mano, allora non avevano assolutamente nulla. Nessun'emittente Usa si fece più sentire. Non era la risposta che cercavano. Ma oggi i fatti mi danno ragione. Mifsud era un pessimo amministratore, era una persona smaliziata alla ricerca di sempre nuove opportunità per sopravvivere ma certamente non aveva alcun contatto con Vladimir Putin. I suoi contatti con le autorità russe erano uguali ai miei, dato che me li aveva passati insieme agli archivi dell'università e nel mondo della diplomazia il suo nome era bruciato dopo che aveva provato illegalmente ad avviare un corso di dottorato con un'accademia diplomatica albanese risultata alla fine essere una società privata a scopo di lucro. Tuttavia, fu un agente maltese, che mi affiancò mentre passeggiavo alla sera per una strada secondaria di Barcellona nella primavera del 2013, a chiarirmi la chiave del perverso successo di Mifsud. Vistosamente imbarazzato, volendosi scusare ufficiosamente a nome del governo maltese, mi disse che Mifsud aveva in passato gestito in maniera finanziariamente disastrosa dei progetti all'Università di Malta. Essendo denaro pubblico il rettore per evitare scandali preferì allontanarlo senza drammi giudiziari suggerendolo per un posto di lavoro al governo. Nella nuova funzione convinse il ministro degli Esteri, senza la minima possibilità reale, che poteva farlo divenire segretario generale del Commonwealth. Viaggi esotici ed incontri internazionali fruttarono solo un'umiliante sconfitta. Il ministro, per non scatenare l'ira dei cittadini per aver sperperato inutilmente milioni di euro, insabbiò il tutto e allontanò Mifsud sostenendolo nella candidatura a presidente dell'allora neonata Emuni. L'Emuni decise, contrariamente al mio consiglio, di fare la stessa cosa. È il destino di Joseph Mifsud quello di provocare guai troppo seri per essere resi pubblici.
Scontri fra pro-Pal e Polizia a Torino. Nel riquadro, Walter Mazzetti (Ansa)
La tenuità del reato vale anche se la vittima è un uomo in divisa. La Corte sconfessa il principio della sua ex presidente Cartabia.
Ennesima umiliazione per le forze dell’ordine. Sarà contenta l’eurodeputata Ilaria Salis, la quale non perde mai occasione per difendere i violenti e condannare gli agenti. La mano dello Stato contro chi aggredisce poliziotti o carabinieri non è mai stata pesante, ma da oggi potrebbe diventare una piuma. A dare il colpo di grazia ai servitori dello Stato che ogni giorno vengono aggrediti da delinquenti o facinorosi è una sentenza fresca di stampa, destinata a far discutere.
Mohamed Shahin (Ansa). Nel riquadro, il vescovo di Pinerolo Derio Olivero (Imagoeconomica)
Per il Viminale, Mohamed Shahin è una persona radicalizzata che rappresenta una minaccia per lo Stato. Sulle stragi di Hamas disse: «Non è violenza». Monsignor Olivero lo difende: «Ha solo espresso un’opinione».
Per il Viminale è un pericoloso estremista. Per la sinistra e la Chiesa un simbolo da difendere. Dalla Cgil al Pd, da Avs al Movimento 5 stelle, dal vescovo di Pinerolo ai rappresentanti della Chiesa valdese, un’alleanza trasversale e influente è scesa in campo a sostegno di un imam che è in attesa di essere espulso per «ragioni di sicurezza dello Stato e prevenzione del terrorismo». Un personaggio a cui, già l’8 novembre 2023, le autorità negarono la cittadinanza italiana per «ragioni di sicurezza dello Stato». Addirittura un nutrito gruppo di antagonisti, anche in suo nome, ha dato l’assalto alla redazione della Stampa. Una saldatura tra mondi diversi che non promette niente di buono.
Nei riquadri, Letizia Martina prima e dopo il vaccino (IStock)
Letizia Martini, oggi ventiduenne, ha già sintomi in seguito alla prima dose, ma per fiducia nel sistema li sottovaluta. Con la seconda, la situazione precipita: a causa di una malattia neurologica certificata ora non cammina più.
«Io avevo 18 anni e stavo bene. Vivevo una vita normale. Mi allenavo. Ero in forma. Mi sono vaccinata ad agosto del 2021 e dieci giorni dopo la seconda dose ho iniziato a stare malissimo e da quel momento in poi sono peggiorata sempre di più. Adesso praticamente non riesco a fare più niente, riesco a stare in piedi a malapena qualche minuto e a fare qualche passo in casa, ma poi ho bisogno della sedia a rotelle, perché se mi sforzo mi vengono dolori lancinanti. Non riesco neppure ad asciugarmi i capelli perché le braccia non mi reggono…». Letizia Martini, di Rimini, oggi ha 22 anni e la vita rovinata a causa degli effetti collaterali neurologici del vaccino Pfizer. Già subito dopo la prima dose aveva avvertito i primi sintomi della malattia, che poi si è manifestata con violenza dopo la seconda puntura, tant’è che adesso Letizia è stata riconosciuta invalida all’80%.
Maria Rita Parsi critica la gestione del caso “famiglia nel bosco”: nessun pericolo reale per i bambini, scelta brusca e dannosa, sistema dei minori da ripensare profondamente.






