
Mentre i liberali attaccano i super-poteri di Fitto, la danese (che fa parte del gruppo di Renew) prima di lasciare la concorrenza prova a nominare il capo economista.Facile fare la liberale con la poltrona degli altri. Perché a reclamare ricambio, merito, ricorso a esami e graduatorie quando si tratta di un posto che non ti riguarda sono buoni tutti. Diversa è la questione se dopo anni e anni di regno incontrastato ci si vede sfilare lo scettro dalle mani. Allora si fa di tutto per restare aggrappati al potere. Si prova anche ad usare l’ultimo minuto utile per mettere un proprio uomo nei gangli vitali di quella che ormai si considera la propria istituzione. E poco importa se gli altri politici, anche quelli che sulla carta non dovrebbero guardarti in cagnesco, ti fanno notare che «così proprio non si fa», che non è un comportamento da vera liberale. Parliamo di Margrethe Vestager. La politica danese che da circa un decennio (dal 2014) spadroneggia sull’Antitrust europeo. Una delle posizioni più ambite a Bruxelles. È al passaggio all’Antitrust continentale, giusto per fare l’esempio più eclatante, che deve la sua fama, poi smarrita a Palazzo Chigi, Mario Monti. Ed è sulla possibilità di «liberare» o «bloccare», per una questione di regole e concorrenza, le operazioni economiche più importanti che la Vestager ha costruito la sua forza. La politica danese ha messo nel mirino Apple, poi Google, quindi la fusione tra Alstom (francese) e Siemens (tedesco) e le acquisizioni delle Bayer. Dossier che le hanno regalato grande visibilità, ma anche cocenti sconfitte con il tribunale Ue che in molte occasioni ha bocciato le sue decisioni. Due lustri di aspre battaglie a senso unico soprattutto con l’Italia. La vicenda più nota e recente riguarda Ita. Con l’acquisizione di Lufthansa (unica possibilità di salvataggio per il nostro vettore) rimasta bloccata per circa un anno. Ma non è la sola. Anzi non è la più rilevante. Perché la madre di tutte le ingiustizie riguarda il credito del Belpaese. Il Tribunale dell’Unione ha, infatti, bocciato la decisione della Vestager e dell’Antitrust Ue di considerare aiuto di Stato l’eventuale intervento del Fondo interbancario per il salvataggio di Tercas e di altri istituti italiani. Quel mancato intervento ha provocato danni incalcolabili ai nostri risparmiatori ed ha mostrato un’inaccettabile doppia misura rispetto alla decisione di dare il via libera gli aiuti alle banche tedesche. Comunque. Di acqua sotto i ponti ne è passata. Parliamo di vicende che risalgono al 2014. Che però fanno capire come, lato italiano, nessuno si sia stracciato le vesti per l’addio della Vestager. Anzi. Ma non è ancora arrivato il momento di brindare, perché lei non molla. Da tempo sta preparando il terreno di uscita. E dopo aver fallito clamorosamente il blitz alla guida della Bei, dove le è stato preferito il ministro dell’Economia spagnolo Nadia Calvino sta provando in tutti i modi a lasciare la sua impronta anche sulla prossima Commissione. In che modo? Piazzando uno dei suoi uomini come capo economista dell’Antitrust. Ruolo fondamentale per le decisioni sui vari dossier e rispetto al quale la Vestager ha già incassato un memorabile due di picche con la proposta incomprensibile di nominare l’ex funzionaria del governo Usa, sotto l’amministrazione di Barack Obama, Fiona Scott Morton. Poco importa. Perché l’acerrima nemica di aiuti di Stato e fusioni internazionali è tornata all’attacco e secondo quanto riportato da Politico sta vagliando diversi profili. Ma più che i curriculum qui contano il metodo e le tempistiche. È ammissibile che un commissario uscente, per giunta storico e assai influente, al punto di essere considerato più potente della stessa Von der Leyen, decida una nomina così importante a pochi giorni dall’addio al suo incarico? La ragionevolezza porterebbe a propendere per il no. Così come per il no propendono diversi politici non lontani dalla Vestager. «Il capo economista», evidenzia a Politico la verde Alexandra Geese, «è una posizione cruciale e la Vestager dovrebbe astenersi dall’influenzare il lavoro della prossima Commissione». Ma il giudizio tranchant arriva da Stéphanie Yon-Courtin, collega di partito (Renew) della danese: «È un anno che che non abbiamo un capo economista alla concorrenza che fretta c’è di nominarne uno adesso?». Nessuna meraviglia. I liberali sono sempre pronti a richiamare il ricorso al merito e alle corrette procedure purché non si tratta della poltrona sulla quale sono seduti. Non a caso sono stati i primi a scagliarsi contro i probabili super-poteri che la Von der Leyen è pronta a concedere all’italiano Raffaele Fitto. Oltre alle deleghe al Pnrr e all’Economia, il ministro dovrebbe avere anche una delle vicepresidenze esecutive della Commissione. Un successo inaudito, secondo Renew e il partito dei macroniani. Da veri liberali trovano inaccettabile concedere così tanto a chi ha la colpa di non aver votato esplicitamente a favore di Ursula.
Roberto Burioni (Ansa)
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