- Il nodo pensioni è il più complicato della manovra. Il governo sarebbe orientato a rinnovare le soglie già in vigore e a potenziare gli strumenti per le uscite agevolate. Sindacati in rivolta: «Se verranno bloccate le rivalutazioni scenderemo in piazza».
- Fra le ipotesi anche il «reddito di infanzia». Allarme di Attilio Fontana sul Patto di stabilità.
Il nodo pensioni è il più complicato della manovra. Il governo sarebbe orientato a rinnovare le soglie già in vigore e a potenziare gli strumenti per le uscite agevolate. Sindacati in rivolta: «Se verranno bloccate le rivalutazioni scenderemo in piazza».Fra le ipotesi anche il «reddito di infanzia». Allarme di Attilio Fontana sul Patto di stabilità.Lo speciale contiene due articoliÈ sicuramente quello delle pensioni il tema che sta diventando più caldo, rispetto ai numeri e alle coperture della legge di bilancio. Da una parte, infatti, si moltiplicano le voci secondo le quali il governo procederà a una limatura delle indicizzazioni degli assegni più alti, mentre dall’altra giungono rassicurazioni su un aumento delle minime. Ciò non sta evitando una levata di scudi da parte dei sindacati di categoria, che minacciano già da qualche giorno manifestazioni di protesta nel caso venissero confermate le indiscrezioni sui tagli a quelle più cospicue. D’altra parte, le parole pronunciate su queste colonne dal sottosegretario al Lavoro Claudio Durigon lasciano prefigurare entrambi gli interventi sulle pensioni da parte dell’esecutivo, e parimenti la conferma di Quota 103, con il rinvio di quota 41 (fortemente desiderata dalla Lega) a una delle prossime manovre. Il presidente del Consiglio Giorgia Meloni, infatti, ha più volte sottolineato che gli obiettivi del governo in tema di pensioni e di sostegno a famiglie e alle classi più disagiate vanno visti in un’ottica di legislatura, piuttosto che nel lasso di una o due leggi di bilancio.In ogni caso, se tutto dovesse andare come nelle premesse, anche nel 2024 ci si potrà avvalere di Quota 103, ovvero accedere alla pensione avendo almeno 62 anni di età e 41 anni di contributi. Il governo sta concentrando le risorse, come detto, anche sul fronte dell’aumento delle minime, facendole scavalcare almeno la soglia dei 600 euro. Si pensa poi che con la rivalutazione all’inflazione si possa arrivare almeno a 615 euro. Se i soldi non dovessero bastare per tutti, l’aumento potrebbe riguardare solo gli over 75 ma su questo fronte Forza Italia (che ha ben presente l’impegno preso nella sua ultima campagna elettorale da Silvio Berlusconi) sta spingendo sull’incremento erga omnes. Tra l’altro, l’obiettivo dichiarato degli esponenti azzurri è di portare le minime a 1.000 euro entro la fine della legislatura. Capitolo Opzione donna: qui a spingere per l’allargamento della platea delle beneficiarie è il ministro del Lavoro Marina Elvira Calderone, dopo le polemiche dell’anno scorso per la stretta sull’accesso. Il desiderio sarebbe quello di dare la possibilità di andare in pensione a 10.000 donne in più rispetto all’anno scorso. Lavoratrici che hanno 35 anni di contributi lavorativi ma o non hanno compiuto il sessantesimo anno d’età (paletto messo l’anno scorso) o non hanno i requisiti prescritti quanto, ad esempio, al numero di figli o alla mansione ricoperta. Questo intervento, però, si scontra con le risorse a disposizione, ed è per questo che potrebbe fondersi con l’Ape sociale, in cui andrebbero a confluire nuove tutele. Tra queste, più flessibilità per caregiver e lavoratrici in particolari condizioni. Quest’anno per accedere all’Ape sociale è stato necessario aver compiuto 63 anni di età, aver interrotto l’attività lavorativa e non essere titolari di un trattamento pensionistico diretto. Se la misura dovesse essere potenziata, nel 2024 entrerebbero i professionisti impegnati in attività usuranti.Alla Verità, Durigon ha detto a chiare lettere che «l’Ape sociale può essere lo strumento attraverso il quale garantire maggiore flessibilità in uscita alle donne che per i motivi che tutti conosciamo iniziano a lavorare più tardi e spesso hanno una vita contributiva meno continua rispetto a quella degli uomini». In ogni caso, la polemica politica non attende certo che si dipanino le incognite relative alle coperture o alla dinamica del deficit e pertanto anche la giornata di ieri ha visto più di un botta e risposta tra esponenti di maggioranza e minoranza. Sul piede di guerra, in particolare, i sindacati dei pensionati, che hanno minacciato più volte di scendere in piazza qualora l’esecutivo confermasse l’intenzione di limare gli assegni più alti. Per la Spi-Cgil «se questo governo pensa di tagliare ancora l’indicizzazione degli assegni, stavolta faremo fatica a stare fermi. Scenderemo in piazza, come in Francia. E faremo ricorso alla Corte costituzionale». Parole simili dalla Uil pensionati: «L’ipotesi di un ulteriore taglio per noi non è nemmeno da considerare e, in caso si realizzasse, di certo non staremmo fermi. Allo stesso modo», aggiunge, «non rimarremmo con le mani in mano se nella legge di bilancio non ci fossero finanziamenti adeguati per la non autosufficienza e per potenziare la sanità pubblica».Dalla maggioranza, come detto, si moltiplicano le voci rassicuranti, mentre i partiti di opposizione accusano il premier e il centrodestra in generale di voler procedere a tagli draconiani. «Per Forza Italia», ha dichiarato Maurizio Gasparri, «la misura più urgente è l’aumento delle pensioni minime per aiutare la fascia più fragile della popolazione, e la conferma del taglio del cuneo fiscale per migliorare il potere di acquisto delle famiglie e dei lavoratori». Per Angelo Bonelli, dell’Alleanza Verdi-Sinistra, la Meloni «taglia le pensioni, taglia la salute, taglia la cultura e le risorse per i giovani». <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/verso-il-bis-di-quota-103-e-piu-ape-sociale-2664718556.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="per-sostenere-la-natalita-allo-studio-un-bonus-per-chi-fa-il-secondo-figlio" data-post-id="2664718556" data-published-at="1693518595" data-use-pagination="False"> Per sostenere la natalità, allo studio un bonus per chi fa il secondo figlio Il governo è al lavoro per risolvere il nodo della natalità in caduta libera e per questo all’interno della manovra 2024 potrebbero arrivare un bonus per chi fa un secondo figlio e persino un «reddito di infanzia» per chi ha almeno tre pargoli. La prossima manovra di bilancio sarà dunque l’occasione per sperare di far ripartire le nascite nel nostro Paese. Sono diverse le ipotesi allo studio in merito, ma quelle più concrete riguardano tutti aiuti alle famiglie numerose. L’idea del bonus secondo figlio arriva dal ministro della Famiglia, Eugenia Roccella, che spera di destinare i fondi dell’assegno unico alle coppie che decideranno di andare oltre il figlio unico. I dettagli della norma non sono ancora definiti, ma allo studio ci sarebbero sia uno sgravio fiscale sia l’azzeramento della retta dell’asilo, da sempre un fardello per le tasche dei giovani genitori. Ma all’interno della maggioranza c’è già chi vorrebbe andare oltre un aiuto per chi fa due figli. Tra le ipotesi al vaglio si pensa anche a un reddito di infanzia, che potrebbe persino diventare successivamente un assegno di gioventù. In questo caso, l’idea sarebbe quella di offrire 400 euro al mese per ogni figlio fino all’età di sei anni. Calcoli alla mano si tratterebbe di 28.800 euro spalmati su 72 mesi. Successivamente il contributo scenderebbe a 250 euro al mese dai 7 ai 25 anni di età. Pallottoliere alla mano, sarebbero altri 54.000 euro divisi sui successivi 18 anni di età. In totale, insomma, il governo starebbe valutando di elargire 82.800 euro per ogni figlio nato in Italia dopo il primogenito. Se così fosse si tratterebbe di un vero e proprio tesoretto in arrivo attraverso una riforma particolarmente costosa e caldeggiata da Fratelli d’Italia, il partito del premier Giorgia Meloni, che spinge per averlo nella prossima manovra. Il problema è che questa manovra si preannuncia dai margini davvero stretti, anche perché, oltre al tema della denatalità, c’è anche quello della riforma del cuneo fiscale, altra misura salatissima per le tasche dello Stato. Anche per questo l’esecutivo punta a reperire nuovi fondi attraverso la lotta all’evasione, che dovrebbe passare anche da una facilitazione del concordato preventivo e dell’adempimento collaborativo tra le parti. Proprio su questo tema ieri è intervenuto il segretario della Cgil, Maurizio Landini, ospite su La7: «Bisogna fare delle scelte, una delle questioni di fondo si chiama riforma fiscale», ha detto. «Non si possono continuare a fare condoni di fronte a questi livelli di evasione». Fra le possibilità, anche quella di sfruttare i maggiori incassi delle accise sulla benzina. Il tema di un giro di vite sull’evasione è inoltre legato a doppio filo con il Patto di stabilità europeo, elemento che preoccupa non poco il numero uno della Regione Lombardia Attilio Fontana: «Non possiamo essere tranquilli finché non vediamo l’esito di quelli che saranno gli elementi previsti dalla finanziaria», ha detto ieri il governatore a margine di un evento sulla disabilità e la lotta al cancro, «Si tratta di un periodo molto difficile e non dimentichiamo che la vera spada di Damocle è quella del nuovo Patto di stabilità. Se dovesse passare a livello europeo questa richiesta, sarebbe veramente devastante per tutti gli enti pubblici, nessuno escluso». Sul tema è intervenuto anche l’omologo di Fontana in Calabria, Roberto Occhiuto. «Spero che l’Europa continui a fare l’Europa che è stata negli ultimi due-tre anni, dopo l’emergenza Covid. Sarebbe illogico che abbia deciso di investire tante risorse per uscire dalla pandemia e per fronteggiare la crisi derivante dal conflitto in Ucraina, per poi azzerare questi interventi con un ritorno repentino al vecchio Patto di stabilità», ha ricordato ieri su Rai3. «Un’evenienza di questo tipo sarebbe difficile da gestire in Paesi come il nostro che hanno un debito pubblico così elevato».
Da sinistra: Piero De Luca, segretario regionale pd della Campania, il leader del M5s Giuseppe Conte e l’economista Carlo Cottarelli (Ansa)
La gabella ideata da Schlein e Landini fa venire l’orticaria persino a compagni di partito e possibili alleati. Dopo la presa di distanza di Conte, il dem De Luca jr. smentisce che l’idea sia condivisa. Scettici anche Ruffini (ex capo dell’Agenzia delle entrate) e Cottarelli.
«Continuiamo così: facciamoci del male», diceva Nanni Moretti, e non è un caso che male fa rima con patrimoniale. L’incredibile ennesimo autogol politico e comunicativo della sinistra ormai targata Maurizio Landini è infatti il rilancio dell’idea di una tassa sui patrimoni degli italiani. I più ricchi, certo, ma anche quelli che hanno già pagato le tasse e le hanno pagate più degli altri.
Jannik Sinner (Ansa)
All’Inalpi Arena di Torino esordio positivo per l’altoatesino, che supera in due set Felix Auger-Aliassime confermando la sua solidità. Giornata amara invece per Lorenzo Musetti che paga le fatiche di Atene e l’emozione per l’esordio nel torneo. Il carrarino è stato battuto da un Taylor Fritz più incisivo nei momenti chiave.
Agostino Ghiglia e Sigfrido Ranucci (Imagoeconomica)
Il premier risponde a Schlein e Conte che chiedono l’azzeramento dell’Autorità per la privacy dopo le ingerenze in un servizio di «Report»: «Membri eletti durante il governo giallorosso». Donzelli: «Favorevoli a sciogliere i collegi nominati dalla sinistra».
Il no della Rai alla richiesta del Garante della privacy di fermare il servizio di Report sull’istruttoria portata avanti dall’Autorità nei confronti di Meta, relativa agli smart glass, nel quale la trasmissione condotta da Sigfrido Ranucci punta il dito su un incontro, risalente a ottobre 2024, tra il componente del collegio del Garante Agostino Ghiglia e il responsabile istituzionale di Meta in Italia prima della decisione del Garante su una multa da 44 milioni di euro, ha scatenato una tempesta politica con le opposizioni che chiedono l’azzeramento dell’intero collegio.
Il sindaco di Milano Giuseppe Sala (Imagoeconomica)
La direttiva Ue consente di sforare 18 volte i limiti: le misure di Sala non servono.
Quarantaquattro giorni di aria tossica dall’inizio dell’anno. È il nuovo bilancio dell’emergenza smog nel capoluogo lombardo: un numero che mostra come la città sia quasi arrivata, già a novembre, ai livelli di tutto il 2024, quando i giorni di superamento del limite di legge per le polveri sottili erano stati 68 in totale. Se il trend dovesse proseguire, Milano chiuderebbe l’anno con un bilancio peggiore rispetto al precedente. La media delle concentrazioni di Pm10 - le particelle più pericolose per la salute - è passata da 29 a 30 microgrammi per metro cubo d’aria, confermando un’inversione di tendenza dopo anni di lento calo.






