
Dopo anni di tentativi, l’exclave italiana in Ticino riesce a «piazzare» il palazzo ideato dall’architetto Mario Botta. Giallo sugli acquirenti: sono riconducibili a una società con sede in Delaware. L’amministratore spiega: «Non siamo tenuti a rivelare nulla».Per mettere a posto i propri conti il Comune di Campione d’Italia è riuscito a vendere la storica Villa Mimosa, a due passi dal casinò. Un progetto firmato dall’archistar svizzera Mario Botta. L’exclave italiana dal 2018 è sotto tutela, dopo che è stato nominato dal ministero dell’Interno l’Organo straordinario della liquidazione, ente temporaneo chiamato a gestire il dissesto finanziario dei Comuni. Proprio l’Osl, rappresentato da Luca Corvi, ha venduto, con trattativa privata, il prezioso cespite.Nei mesi scorsi il sindaco Roberto Canesi, commercialista settantaseienne, aveva annunciato: «Per legge noi dobbiamo trovare 3 milioni e 162.000 euro. Una cifra a cui possiamo arrivare vendendo alcuni appartamenti pubblici e Villa Mimosa».Ma la cessione dell’elegante dimora sta creando molte polemiche per la cortina fumogena che si è alzata intorno all’identità del compratore, il quale ha acquistato l’immobile al prezzo di 2 milioni e 5 mila franchi svizzeri (circa 2 milioni e 120.000 euro). Una mancanza di trasparenza che ha portato l’opposizione nuovamente sul piede di guerra. L’unica informazione certa è che la società acquirente, la Euro tecnica sviluppo srl di Campione, è controllata da una ditta del Delaware, Stato americano considerato un piccolo paradiso fiscale. A tutela dell’interesse pubblico, l’alienazione dei beni immobili è vietata a società la cui struttura non consente l’identificazione delle persone fisiche o della società che ne detengono la proprietà o il controllo.I consiglieri dell’opposizione, Simone Verda e Gianluca Marchesini, hanno presentato due interrogazioni urgenti a Canesi e all’Organo straordinario della liquidazione, lo stesso che lo scorso 3 febbraio ha ufficializzato l’aggiudicazione dell’immobile a trattativa privata. I due consiglieri hanno ricordato che «la società aggiudicataria è interamente detenuta dalla Forren Bioliquids Llcc con sede in Wilmington nello Stato del Delaware» e che «a sua volta, la Forren ha come registered agent la Turner little con sede sempre nel Delaware, della quale non sono reperibili ulteriori notizie, né sulla proprietà azionaria né sugli amministratori». I due hanno anche puntualizzato che «Carlo Valeriano Pasquinetti è l’amministratore unico della Euro tecnica sviluppo srl, ma non è proprietario neppure in parte della società ed è residente in Svizzera».Per i due consiglieri queste circostanze costituiscono «un preciso indicatore di anomalia codificato dalla Banca d’Italia, la cui presenza obbliga l’amministrazione comunale a dettagliati adempimenti […] con finalità antiriciclaggio e antiterrorismo, che servono ad accertare l’identità delle persone fisiche beneficiarie in ultima istanza degli affari e la reale provenienza dei fondi di denaro da esse utilizzate per gli affari stessi».Pasquinetti ha replicato che accusare la Euro tecnica sviluppo di «essere una società “opaca” e che “svolge attività per caratteristiche e importi inusuali, illogici e incoerenti” è totalmente falso e fuorviante: al contrario la società e il beneficiario economico sono ben conosciuti dal sindaco e dallo staff dell’ufficio tecnico comunale. Inoltre la ditta, con sede a Campione, utilizzerebbe banche italiane e pagherebbe le tasse nel nostro Paese. E anche il bonifico per acquistare Villa Mimosa sarebbe partito da un istituto di credito tricolore.Nella loro controreplica i consiglieri comunali chiedono di conoscere l’identità del misterioso acquirente, che sarebbe stata condivisa pure con il sindaco.Ieri abbiamo scritto al primo cittadino per chiedergli di rendere pubblico il nome dell’acquirente, ma non abbiamo ottenuto soddisfazione.Ci ha risposto, invece, Pasquinetti, che ha difeso con vigore la decisione di mantenere riservata l’identità di chi ha acquistato la villa: «I beneficiari economici delle società non sono da spiattellare ai quattro venti attraverso i giornali. Vivo in Svizzera da vent’anni e qui c’è un approccio diverso rispetto alla proprietà privata. Dal punto di vista legale le banche con cui lavora la Euro tecnica sono banche italiane che sanno perfettamente chi siano i beneficiari economici, ma questo non significa che gli stessi siano tenuti a informare l’opinione pubblica. Anche il sindaco sa chi sia la persona fisica che ha effettuato l’acquisito, ma nessuno, per motivi di privacy, ci costringe a mettere sui giornali il nome del nuovo proprietario». Ma è un cittadino italiano? «Non le rispondo. La legge, lo ripeto, non obbliga a divulgare questo dato». Obiettiamo spiegando che si sta parlando della vendita di un bene pubblico… Pasquinetti non cede: «E infatti il signor sindaco sa esattamente chi sia l’acquirente e quindi è tutto fatto in trasparenza. Chi deve conoscere quel nome lo sa… ma da lì a renderlo pubblico sui giornali ce ne passa. Se le autorità vogliono indagare lo possono fare, ma non i giornali». Secondo l’amministratore l’opposizione starebbe diffondendo illazioni prive di fondamento. Replichiamo che il miglior antidoto contro le congetture è la trasparenza. Pasquinetti rivendica il diritto alla privacy e aggiunge: «Se poi qualcuno pensa che dietro a Euro tecnica sviluppo o alla società americana ci sia qualche cosa di strano, può rivolgersi alle autorità. Sicuramente posso dirle che dietro non c’è un politico o qualcuno che ha interessi dentro al Comune. Stiamo parlando di una persona che ha fatto un investimento perché c’era un’occasione e perché crede in Campione d’Italia». Ma, per ora, questo investitore resta ben celato dietro all’anonimato, anche se ha acquistato un bene pubblico. Chissà se al ministero dell’Interno saranno stati informati di questa vendita a una società del Delaware.
Daniela Palazzoli, ritratto di Alberto Burri
Scomparsa il 12 ottobre scorso, allieva di Anna Maria Brizio e direttrice di Brera negli anni Ottanta, fu tra le prime a riconoscere nella fotografia un linguaggio artistico maturo. Tra mostre, riviste e didattica, costruì un pensiero critico fondato sul dialogo e sull’intelligenza delle immagini. L’eredità oggi vive anche nel lavoro del figlio Andrea Sirio Ortolani, gallerista e presidente Angamc.
C’è una frase che Daniela Palazzoli amava ripetere: «Una mostra ha un senso che dura nel tempo, che crea adepti, un interesse, un pubblico. Alla base c’è una stima reciproca. Senza quella non esiste una mostra.» È una dichiarazione semplice, ma racchiude l’essenza di un pensiero critico e curatoriale che, dagli anni Sessanta fino ai primi Duemila, ha inciso profondamente nel modo italiano di intendere l’arte.
Scomparsa il 12 ottobre del 2025, storica dell’arte, curatrice, teorica, docente e direttrice dell’Accademia di Brera, Palazzoli è stata una figura-chiave dell’avanguardia critica italiana, capace di dare alla fotografia la dignità di linguaggio artistico autonomo quando ancora era relegata al margine dei musei e delle accademie. Una donna che ha attraversato cinquant’anni di arte contemporanea costruendo ponti tra discipline, artisti, generazioni, in un continuo esercizio di intelligenza e di visione.
Le origini: l’arte come destino di famiglia
Nata a Milano nel 1940, Daniela Palazzoli cresce in un ambiente dove l’arte non è un accidente, ma un linguaggio quotidiano. Suo padre, Peppino Palazzoli, fondatore nel 1957 della Galleria Blu, è uno dei galleristi che più precocemente hanno colto la portata delle avanguardie storiche e del nuovo informale. Da lui eredita la convinzione che l’arte debba essere una forma di pensiero, non di consumo.
Negli anni Cinquanta e Sessanta Milano è un laboratorio di idee. Palazzoli studia Storia dell’arte all’Università degli Studi di Milano con Anna Maria Brizio, allieva di Lionello Venturi, e si laurea su un tema che già rivela la direzione del suo sguardo: il Bauhaus, e il modo in cui la scuola tedesca ha unito arte, design e vita quotidiana. «Mi sembrava un’idea meravigliosa senza rinunciare all’arte», ricordava in un’intervista a Giorgina Bertolino per gli Amici Torinesi dell’Arte Contemporanea.
A ventun anni parte per la Germania per completare le ricerche, si confronta con Walter Gropius (che le scrive cinque lettere personali) e, tornata in Italia, viene notata da Vittorio Gregotti ed Ernesto Rogers, che la invitano a insegnare alla Facoltà di Architettura. A ventitré anni è già docente di Storia dell’Arte, prima donna in un ambiente dominato dagli uomini.
Gli anni torinesi e l’invenzione della mostra come linguaggio
Torino è il primo teatro della sua azione. Nel 1967 cura “Con temp l’azione”, una mostra che coinvolge tre gallerie — Il Punto, Christian Stein, Sperone — e che riunisce artisti come Giovanni Anselmo, Alighiero Boetti, Luciano Fabro, Mario Merz, Michelangelo Pistoletto, Gilberto Zorio. Una generazione che di lì a poco sarebbe stata definita “Arte Povera”.
Quella mostra è una dichiarazione di metodo: Palazzoli non si limita a selezionare opere, ma costruisce relazioni. «Si tratta di individuare gli interlocutori migliori, di convincerli a condividere la tua idea, di renderli complici», dirà più tardi. Con temp l’azione è l’inizio di un modo nuovo di intendere la curatela: non come organizzazione, ma come scrittura di un pensiero condiviso.
Nel 1973 realizza “Combattimento per un’immagine” al Palazzo Reale di Torino, un progetto che segna una svolta nel dibattito sulla fotografia. Accanto a Luigi Carluccio, Palazzoli costruisce un percorso che intreccia Man Ray, Duchamp e la fotografia d’autore, rivendicando per il medium una pari dignità artistica. È in quell’occasione che scrive: «La fotografia è nata adulta», una definizione destinata a diventare emblematica.
L’intelligenza delle immagini
Negli anni Settanta, Palazzoli si muove tra Milano e Torino, tra la curatela e la teoria. Fonda la rivista “BIT” (1967-68), che nel giro di pochi numeri raccoglie attorno a sé voci decisive — tra cui Germano Celant, Tommaso Trini, Gianni Diacono — diventando un laboratorio critico dell’Italia post-1968.
Nel 1972 cura la mostra “I denti del drago” e partecipa alla 36ª Biennale di Venezia, nella sezione Il libro come luogo di ricerca, accanto a Renato Barilli. È una stagione in cui il concetto di opera si allarga al libro, alla rivista, al linguaggio. «Ho sempre pensato che la mostra dovesse essere una forma di comunicazione autonoma», spiegava nel 2007 in Arte e Critica.
La sua riflessione sull’immagine — sviluppata nei volumi Fotografia, cinema, videotape (1976) e Il corpo scoperto. Il nudo in fotografia (1988) — è uno dei primi tentativi italiani di analizzare la fotografia come linguaggio del contemporaneo, non come disciplina ancillare.
Brera e l’impegno pedagogico
Negli anni Ottanta Palazzoli approda all’Accademia di Belle Arti di Brera, dove sarà direttrice dal 1987 al 1992. Introduce un approccio didattico aperto, interdisciplinare, convinta che il compito dell’Accademia non sia formare artisti, ma cittadini consapevoli della funzione dell’immagine nel mondo. In quegli anni l’arte italiana vive la transizione verso la postmodernità: lei ne accompagna i mutamenti con una lucidità mai dogmatica.
Brera, per Palazzoli, è una palestra civile. Nelle sue aule si discute di semiotica, fotografia, comunicazione visiva. È in questo contesto che molti futuri curatori e critici — oggi figure di rilievo nelle istituzioni italiane — trovano nella sua lezione un modello di rigore e libertà.
Il sentimento del Duemila
Dalla fine degli anni Novanta al nuovo secolo, Palazzoli continua a curare mostre di grande respiro: “Il sentimento del 2000. Arte e foto 1960-2000” (Triennale di Milano, 1999), “La Cina. Prospettive d’arte contemporanea” (2005), “India. Arte oggi” (2007). Il suo sguardo si sposta verso Oriente, cogliendo i segni di un mondo globalizzato dove la fotografia diventa linguaggio planetario.
«Mi sono spostata, ho viaggiato e non solo dal punto di vista fisico», diceva. «Sono un viaggiatore e non un turista.» Una definizione che è quasi un manifesto: l’idea del curatore come esploratore di linguaggi e di culture, più che come amministratore dell’esistente.
Il suo ultimo progetto, “Photosequences” (2018), è un omaggio all’immagine in movimento, al rapporto tra sequenza, memoria e percezione.
Pensiero e eredità
Daniela Palazzoli ha lasciato un segno profondo non solo come curatrice, ma come pensatrice dell’arte. Nei suoi scritti e nelle interviste torna spesso il tema della mostra come forma autonoma di comunicazione: non semplice contenitore, ma linguaggio.
«La comprensione dell’arte», scriveva nel 1973 su Data, «nasce solo dalla partecipazione ai suoi problemi e dalla critica ai suoi linguaggi. Essa si fonda su un dialogo personale e sociale che per esistere ha bisogno di strutture che funzionino nella quotidianità e incidano nella vita dei cittadini.»
Era questa la sua idea di critica: un’arte civile, capace di rendere l’arte parte della vita.
L’eredità di una visione
Oggi il suo nome è legato non solo alle mostre e ai saggi, ma anche al Fondo Daniela Palazzoli, custodito allo IUAV di Venezia, che raccoglie oltre 1.500 volumi e documenti di lavoro. Un archivio che restituisce mezzo secolo di riflessione sulla fotografia, sul ruolo dell’immagine nella società, sul legame tra arte e comunicazione.
Ma la sua eredità più viva è forse quella raccolta dal figlio Andrea Sirio Ortolani, gallerista e fondatore di Osart Gallery, che dal 2008 rappresenta uno dei punti di riferimento per la ricerca artistica contemporanea in Italia. Presidente dell’ANGAMC (Associazione Nazionale Gallerie d’Arte Moderna e Contemporanea) dal 2022 , Ortolani prosegue, con spirito diverso ma affine, quella tensione tra sperimentazione e responsabilità che ha animato il percorso della madre.
Conclusione: l’intelligenza come pratica
Nel ricordarla, colpisce la coerenza discreta della sua traiettoria. Palazzoli ha attraversato decenni di trasformazioni mantenendo una postura rara: quella di chi sa pensare senza gridare, di chi considera l’arte un luogo di ricerca e non di potere.
Ha dato spazio a linguaggi considerati “minori”, ha anticipato riflessioni oggi centrali sulla fotografia, sul digitale, sull’immagine come costruzione di senso collettivo. In un paese spesso restio a riconoscere le sue pioniere, Daniela Palazzoli ha aperto strade, lasciando dietro di sé una lezione di metodo e di libertà.
La sua figura rimane come una bussola silenziosa: nel tempo delle immagini totali, lei ci ha insegnato che guardare non basta — bisogna vedere, e vedere è sempre un atto di pensiero.
Continua a leggereRiduci
Fabio Giulianelli (Getty Images)
L’ad del gruppo Lube Fabio Giulianelli: «Se si riaprisse il mercato russo saremmo felici. Abbiamo puntato sulla pallavolo 35 anni fa: nonostante i successi della Nazionale, nel Paese mancano gli impianti. Eppure il pubblico c’è».
2025-10-13
Dimmi La Verità | gen. Giuseppe Santomartino: «La pace di Gaza è ancora piena di incognite»
Ecco #DimmiLaVerità del 13 ottobre 2025. Ospite il generale Santomartino. L'argomento del giorno è: "La pace di Gaza e le sue innumerevoli incognite".
A Dimmi La Verità il generale Giuseppe Santomartino commenta la pace di Gaza e tutte le incognite che ancora nessuno ha sciolto.