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2022-04-28
Varsavia dà il via al conto alla rovescia che può lasciare l’Occidente al buio
Il premier polacco Mateusz Morawiecki (Ansa)
Più armi a Kiev, meno soldi a Mosca: la strategia dell’Occidente per mettere in ginocchio la Russia si snoda su due terreni. Al vertice straordinario per l’Ucraina nella base statunitense di Ramstein, in Germania, dove l’altro ieri su invito degli Stati Uniti si sono incontrati i ministri della Difesa di 40 Paesi che hanno deciso di intensificare le forniture di armi pesanti all’Ucraina, fa seguito la prima conseguenza, ampiamente prevista, della decisione dell’Europa di non pagare le forniture di gas in rubli. Ieri mattina, la Russia ha interrotto il flusso di gas verso Polonia e Bulgaria, che il 26 aprile non hanno pagato i rifornimenti in rubli.
«La necessità» di accettare solo rubli per il pagamento del gas, ha detto il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, «è stata causata da azioni ostili senza precedenti in campo economico e finanziario che sono state adottate da Paesi ostili contro di noi. La Russia resta un fornitore affidabile di energia e non scende a ricatti», ha aggiunto Peskov, che ha precisato che il rifornimento di gas a Polonia e Bulgaria riprenderà quando verrà rispettato il meccanismo di pagamento in rubli. Il colosso energetico Gazprom ha confermato ieri mattina il blocco delle forniture di gas verso Varsavia e Sofia, e di aver notificato alla società bulgara Bulgargaz e alla società polacca Pgnig la «sospensione delle consegne di gas dal 27 aprile e fino al pagamento in rubli». La Polonia dipende per il 50% dal gas russo, e ha i suoi impianti di stoccaggio pieni per circa l’80%; molto peggio sta messa la Bulgaria, che dipende dal gas russo per la quasi totalità degli approvvigionamenti e ha le riserve a un livello inferiore al 20%. «La Russia», ha affermato il presidente della Duma, Vyacheslav Volodin, «dovrebbe sospendere la fornitura di gas non solo a Bulgaria e Polonia, ma anche ad altri Paesi ostili».
Il presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, ha sottolineato ieri pomeriggio che «Polonia e Bulgaria ci hanno aggiornato sulla situazione, entrambi stanno ricevendo gas dai loro vicini europei». Questo tipo di soluzione ha degli effetti collaterali: o gli Stati che soccorrono Polonia e Bulgaria aumentano il flusso proveniente da Mosca, azzerando quindi il danno economico per la Russia, oppure ci si troverà di fronte a una riduzione degli approvvigionamenti per l’intera Europa. Nel medio e lungo periodo, Polonia e Bulgaria dovranno diversificare le fonti di approvvigionamento di gas: Varsavia si sta muovendo da tempo, con il completamento in collaborazione con la Danimarca della Baltic pipe, un gasdotto che dovrebbe entrare a regime in autunno e che dovrebbe sostituire il gas russo con quello norvegese. Sono pronte anche azioni legali contro Gazprom. Sofia dovrà invece rivolgersi a mercati alternativi.
Di «imperialismo del gas» della Russia e di «attacco diretto alla Polonia» ha parlato il premier polacco Mateusz Morawiecki, a quanto riporta Bloomberg. «Affronteremo questo ricatto con la pistola puntata alla testa senza che i polacchi se ne accorgano», ha aggiunto Morawiecki, che ha sottolineato che la Polonia ha 2,3 miliardi di metri cubi di riserve di gas, sufficienti per un mese e mezzo o anche più in caso di rialzo delle temperature. «La Russia», ha detto il presidente polacco, «ha lo scopo di far alzare ancora di più i costi del gas». Enorme e comprensibile la preoccupazione della Germania, che ha molti suoi colossi industriali delocalizzati in Polonia in virtù di un costo del lavoro inferiore: «I flussi di gas sono complessivamente a livelli stabili», ha affermato il ministro dell’Economia tedesco, Robert Habeck, «vediamo però con preoccupazione che in Paesi partner europei si sia arrivati allo stop del rifornimento del gas. Ci sono stati dei problemi di pagamento per una filiale di Gazprom Germania. Per me è importante che la Germania non paghi in rubli e che agisca in unità con l’Ue. Nel caso di un embargo energetico», ha aggiunto Habeck, «la Germania entrerebbe in recessione. Dobbiamo essere preparati a pagare questo prezzo. La dipendenza della Germania dal gas russo è calata a una quota del 35% dal 55% del periodo precedente la guerra in Ucraina. Siamo in una situazione in cui il governo tedesco deve adattarsi e prepararsi a tutti gli scenari», ha detto infine Habeck rispondendo a una domanda sull’ipotesi di espropriare la raffineria petrolifera Pck di Schwedt, gestita da Rosnef. Secondo indiscrezioni pubblicate da Bloomberg, Berlino sosterrebbe un addio graduale al petrolio russo, piuttosto che alcune delle altre opzioni sul tavolo, come un tetto massimo o meccanismi di pagamento per trattenere parte delle entrate di Mosca. E prima dell’embargo vorrebbe un periodo di transizione.
Anche l’Austria ha assicurato che continua a pagare in euro. La parola «ricatto» viene utilizzata sia dalla von der Leyen sia dal presidente del Parlamento europeo, Roberta Metsola, ma in realtà lo stop ai flussi di gas da Mosca era ampiamente previsto e addirittura caldeggiato come sanzione massima dai «falchi» occidentali. L’Europa deve prepararsi a un disastro economico e sociale senza precedenti.
Ma la von der Leyen tira dritto: «Ricatto inaccettabile»
Il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, si allaccia l’elmetto e auspica ulteriori sanzioni nei confronti della Russia: «L’Italia», ha detto ieri Mattarella, rispondendo a una domanda che gli è stata rivolta nel corso dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, a Strasburgo, «ha contribuito da protagonista alle sanzioni, le sta applicando con assoluto rigore ed è pronta ad altre sanzioni con assoluto rigore e senza esitazioni. L’impianto sanzionatorio deciso è pienamente operativo in Italia, con rigore e severità, una decisione politica del governo assolutamente chiara. Alle aziende che hanno base in Italia», ha aggiunto Mattarella, «nel rispetto dei principi dello Stato di diritto e della economia del libero mercato le imprese nella loro autonomia si regolano di conseguenza come avviene in altri Paesi». Le parole di Mattarella hanno immediatamente ringalluzzito i «falchi» italiani, a partire naturalmente dal Pd, con il senatore Andrea Marcucci che ha invitato «gli scettici ad ascoltare le parole del capo dello Stato».
Intanto, il presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, si è lanciata nei consueti proclami commentando lo stop delle forniture di gas russo a Polonia e Bulgaria, definito un ricatto «ingiustificato e inaccettabile», dicendo: «L’era dei combustibili fossili russi in Europa finirà», ha detto la von der Leyen, «l’Europa va avanti sulle questioni energetiche. Oggi (ieri, ndr) gli Stati membri si sono riuniti nel contesto del gruppo di coordinamento del gas. L’Europa si sta muovendo per ridurre la dipendenza dalle fonti energetiche russe, questo è l’obiettivo del piano RepowerEu, oltre che diversificare le fonti di approvvigionamento. Inoltre», ha aggiunto la von der Leyen, «è stato anche raggiunto un accordo con gli Stati Uniti per aumentare le importazioni di gas naturale in modo da garantire agli Stati membri che vi sia una fornitura anche da altri partner oltre alla Russia». A pensar male si fa peccato, ma il fatto che saranno gli Stati Uniti a compensare con il loro gas naturale liquido le mancate importazioni di metano russo non sembra esattamente una pura coincidenza rispetto all’atteggiamento ultramilitarista di Washington e ai continui inviti a inasprire le sanzioni contro Mosca da parte dell’amministrazione americana. Lo scorso 24 marzo, ricordiamolo, la von der Leyen e il presidente americano Joe Biden hanno annunciato un primo accordo in tal senso: «Lavoreremo», ha detto Biden in quell’occasione, «per garantire un ulteriori 15 miliardi di metri cubi di gas naturale liquefatto quest’anno e intanto lavoriamo per interrompere il gas russo ben prima del 2030 per garantire un’ulteriore domanda del mercato dell’Ue per 50 miliardi di metri cubi entro il 2030».
«Le nostre linee guida», ha aggiunto la von der Leyen, «sono molto chiare: pagare in rubli, se non è previsto nel contratto, è una violazione delle nostre sanzioni. Circa il 97% di tutti i contratti esplicitamente stipula pagamenti in euro o dollari. La richiesta da parte russa di pagare in rubli è una decisione unilaterale e non è in linea con i contratti. Le compagnie con questi contratti non devono accettare la richiesta russa».
Altro che molto chiare: ieri fonti europee hanno riferito che molti Stati membri dell’Unione, nel corso dalla riunione degli ambasciatori permanenti degli Stati membri che si è svolta ieri, hanno espresso perplessità in merito al contenuto delle linee guida predisposte dalla Commissione europea sul pagamento di gas russo in rubli. Diverse aziende importatrici avrebbero sottolineato che le linee guida non chiariscono in maniera sufficientemente chiara cosa si può fare e cosa è vietato. La Commissione si è quindi impegnata a elaborare una nuova versione di queste linee guida, e la questione sarà oggetto del Consiglio straordinario sull’energia in agenda lunedì prossimo.
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Da ieri stop al gas russo per Polonia e Bulgaria. L’Austria nega i pagamenti in rubli. Berlino: «Prepariamoci a tutti gli scenari».Il presidente della Commissione Ue alza un muro. Sergio Mattarella rincara: «Italia pronta ad altre sanzioni senza esitazione».Lo speciale contiene due articoli.Più armi a Kiev, meno soldi a Mosca: la strategia dell’Occidente per mettere in ginocchio la Russia si snoda su due terreni. Al vertice straordinario per l’Ucraina nella base statunitense di Ramstein, in Germania, dove l’altro ieri su invito degli Stati Uniti si sono incontrati i ministri della Difesa di 40 Paesi che hanno deciso di intensificare le forniture di armi pesanti all’Ucraina, fa seguito la prima conseguenza, ampiamente prevista, della decisione dell’Europa di non pagare le forniture di gas in rubli. Ieri mattina, la Russia ha interrotto il flusso di gas verso Polonia e Bulgaria, che il 26 aprile non hanno pagato i rifornimenti in rubli. «La necessità» di accettare solo rubli per il pagamento del gas, ha detto il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, «è stata causata da azioni ostili senza precedenti in campo economico e finanziario che sono state adottate da Paesi ostili contro di noi. La Russia resta un fornitore affidabile di energia e non scende a ricatti», ha aggiunto Peskov, che ha precisato che il rifornimento di gas a Polonia e Bulgaria riprenderà quando verrà rispettato il meccanismo di pagamento in rubli. Il colosso energetico Gazprom ha confermato ieri mattina il blocco delle forniture di gas verso Varsavia e Sofia, e di aver notificato alla società bulgara Bulgargaz e alla società polacca Pgnig la «sospensione delle consegne di gas dal 27 aprile e fino al pagamento in rubli». La Polonia dipende per il 50% dal gas russo, e ha i suoi impianti di stoccaggio pieni per circa l’80%; molto peggio sta messa la Bulgaria, che dipende dal gas russo per la quasi totalità degli approvvigionamenti e ha le riserve a un livello inferiore al 20%. «La Russia», ha affermato il presidente della Duma, Vyacheslav Volodin, «dovrebbe sospendere la fornitura di gas non solo a Bulgaria e Polonia, ma anche ad altri Paesi ostili». Il presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, ha sottolineato ieri pomeriggio che «Polonia e Bulgaria ci hanno aggiornato sulla situazione, entrambi stanno ricevendo gas dai loro vicini europei». Questo tipo di soluzione ha degli effetti collaterali: o gli Stati che soccorrono Polonia e Bulgaria aumentano il flusso proveniente da Mosca, azzerando quindi il danno economico per la Russia, oppure ci si troverà di fronte a una riduzione degli approvvigionamenti per l’intera Europa. Nel medio e lungo periodo, Polonia e Bulgaria dovranno diversificare le fonti di approvvigionamento di gas: Varsavia si sta muovendo da tempo, con il completamento in collaborazione con la Danimarca della Baltic pipe, un gasdotto che dovrebbe entrare a regime in autunno e che dovrebbe sostituire il gas russo con quello norvegese. Sono pronte anche azioni legali contro Gazprom. Sofia dovrà invece rivolgersi a mercati alternativi. Di «imperialismo del gas» della Russia e di «attacco diretto alla Polonia» ha parlato il premier polacco Mateusz Morawiecki, a quanto riporta Bloomberg. «Affronteremo questo ricatto con la pistola puntata alla testa senza che i polacchi se ne accorgano», ha aggiunto Morawiecki, che ha sottolineato che la Polonia ha 2,3 miliardi di metri cubi di riserve di gas, sufficienti per un mese e mezzo o anche più in caso di rialzo delle temperature. «La Russia», ha detto il presidente polacco, «ha lo scopo di far alzare ancora di più i costi del gas». Enorme e comprensibile la preoccupazione della Germania, che ha molti suoi colossi industriali delocalizzati in Polonia in virtù di un costo del lavoro inferiore: «I flussi di gas sono complessivamente a livelli stabili», ha affermato il ministro dell’Economia tedesco, Robert Habeck, «vediamo però con preoccupazione che in Paesi partner europei si sia arrivati allo stop del rifornimento del gas. Ci sono stati dei problemi di pagamento per una filiale di Gazprom Germania. Per me è importante che la Germania non paghi in rubli e che agisca in unità con l’Ue. Nel caso di un embargo energetico», ha aggiunto Habeck, «la Germania entrerebbe in recessione. Dobbiamo essere preparati a pagare questo prezzo. La dipendenza della Germania dal gas russo è calata a una quota del 35% dal 55% del periodo precedente la guerra in Ucraina. Siamo in una situazione in cui il governo tedesco deve adattarsi e prepararsi a tutti gli scenari», ha detto infine Habeck rispondendo a una domanda sull’ipotesi di espropriare la raffineria petrolifera Pck di Schwedt, gestita da Rosnef. Secondo indiscrezioni pubblicate da Bloomberg, Berlino sosterrebbe un addio graduale al petrolio russo, piuttosto che alcune delle altre opzioni sul tavolo, come un tetto massimo o meccanismi di pagamento per trattenere parte delle entrate di Mosca. E prima dell’embargo vorrebbe un periodo di transizione. Anche l’Austria ha assicurato che continua a pagare in euro. La parola «ricatto» viene utilizzata sia dalla von der Leyen sia dal presidente del Parlamento europeo, Roberta Metsola, ma in realtà lo stop ai flussi di gas da Mosca era ampiamente previsto e addirittura caldeggiato come sanzione massima dai «falchi» occidentali. 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L’impianto sanzionatorio deciso è pienamente operativo in Italia, con rigore e severità, una decisione politica del governo assolutamente chiara. Alle aziende che hanno base in Italia», ha aggiunto Mattarella, «nel rispetto dei principi dello Stato di diritto e della economia del libero mercato le imprese nella loro autonomia si regolano di conseguenza come avviene in altri Paesi». Le parole di Mattarella hanno immediatamente ringalluzzito i «falchi» italiani, a partire naturalmente dal Pd, con il senatore Andrea Marcucci che ha invitato «gli scettici ad ascoltare le parole del capo dello Stato». Intanto, il presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, si è lanciata nei consueti proclami commentando lo stop delle forniture di gas russo a Polonia e Bulgaria, definito un ricatto «ingiustificato e inaccettabile», dicendo: «L’era dei combustibili fossili russi in Europa finirà», ha detto la von der Leyen, «l’Europa va avanti sulle questioni energetiche. Oggi (ieri, ndr) gli Stati membri si sono riuniti nel contesto del gruppo di coordinamento del gas. L’Europa si sta muovendo per ridurre la dipendenza dalle fonti energetiche russe, questo è l’obiettivo del piano RepowerEu, oltre che diversificare le fonti di approvvigionamento. Inoltre», ha aggiunto la von der Leyen, «è stato anche raggiunto un accordo con gli Stati Uniti per aumentare le importazioni di gas naturale in modo da garantire agli Stati membri che vi sia una fornitura anche da altri partner oltre alla Russia». A pensar male si fa peccato, ma il fatto che saranno gli Stati Uniti a compensare con il loro gas naturale liquido le mancate importazioni di metano russo non sembra esattamente una pura coincidenza rispetto all’atteggiamento ultramilitarista di Washington e ai continui inviti a inasprire le sanzioni contro Mosca da parte dell’amministrazione americana. Lo scorso 24 marzo, ricordiamolo, la von der Leyen e il presidente americano Joe Biden hanno annunciato un primo accordo in tal senso: «Lavoreremo», ha detto Biden in quell’occasione, «per garantire un ulteriori 15 miliardi di metri cubi di gas naturale liquefatto quest’anno e intanto lavoriamo per interrompere il gas russo ben prima del 2030 per garantire un’ulteriore domanda del mercato dell’Ue per 50 miliardi di metri cubi entro il 2030». «Le nostre linee guida», ha aggiunto la von der Leyen, «sono molto chiare: pagare in rubli, se non è previsto nel contratto, è una violazione delle nostre sanzioni. Circa il 97% di tutti i contratti esplicitamente stipula pagamenti in euro o dollari. La richiesta da parte russa di pagare in rubli è una decisione unilaterale e non è in linea con i contratti. Le compagnie con questi contratti non devono accettare la richiesta russa». Altro che molto chiare: ieri fonti europee hanno riferito che molti Stati membri dell’Unione, nel corso dalla riunione degli ambasciatori permanenti degli Stati membri che si è svolta ieri, hanno espresso perplessità in merito al contenuto delle linee guida predisposte dalla Commissione europea sul pagamento di gas russo in rubli. Diverse aziende importatrici avrebbero sottolineato che le linee guida non chiariscono in maniera sufficientemente chiara cosa si può fare e cosa è vietato. La Commissione si è quindi impegnata a elaborare una nuova versione di queste linee guida, e la questione sarà oggetto del Consiglio straordinario sull’energia in agenda lunedì prossimo.
Quella al ladro, invece, è finita «grazie» all’intervento di quanti hanno braccato un albanese di 40 anni finito poi in ospedale con 30 giorni di prognosi. Il messaggio della questura è chiaro, «nessuna giustizia fai da te». Ma la corsa a identificare i residenti che hanno inseguito il ladro, alcuni forse armati di piccone tanto da provocargli una frattura al bacino, per la comunità è difficile da digerire. «In casa con me vivono mia moglie e i miei due bambini piccoli. Per fortuna, in quel momento non eravamo presenti. L’allarme è scattato ma le forze dell’ordine sono arrivate una decina di minuti dopo: il tempo sufficiente perché i ladri scappassero», scrive in una lettera al sito Aostasera.it un cittadino che vive in una delle case finite nel mirino dei ladri. «Non vuole essere un rimprovero ai carabinieri che sono intervenuti, ma il dato di fatto di un territorio in cui i tempi di reazione non sono adeguati alla pressione dei furti che subiamo da mesi». Addirittura cinque o sei i raid di furti verificatisi a partire dall’estate. Troppi per il paesino che ormai vive nell’angoscia.
Lo scorso venerdì erano passate da poco le 19 quando un massaggio da parte di un cittadino ha fatto scattare l’allarme: «Sono tornati i ladri». E di lì il tam tam da un telefonino all’altro: «Fate attenzione, chiudete le porte». Il rumore provocato dai ladri nel tentativo di aprire una cassaforte richiama l’attenzione dei cittadini che chiamano i carabinieri. In poco tempo, però, scatta il caos perché in molti si riversano in strada. Partono le urla, le segnalazioni, alcuni residenti sono armati di bastoni. Qualcuno parla di picconi ma i cittadini, oggi, negano. Uno dei malviventi scappa verso il bosco mentre l’altro viene individuato grazie all’utilizzo di una termocamera e fermato. Ha con sé la refurtiva, 5.000 euro, gli abitanti gli si scagliano contro e solo l’intervento dei carabinieri mette fine al linciaggio oggi duramente stigmatizzato dal questore Gian Maria Sertorio: «La deriva giustizialista è pericolosissima, le ronde non devono essere fatte in alcun modo, bisogna chiamare il 112 e aspettare le forze dell’ordine». Dello stesso avviso il comandante dei carabinieri della Valle d’Aosta, Livio Propato, che ribadisce un secco «no alle ronde e alla giustizia fai da te. Non bisogna lasciarsi prendere dalla violenza gratuita perché è un reato. E si passa dalla parte del torto. I controlli ci sono, i furti ci sono, ma noi tutti stiamo facendo ogni sforzo per uscire tutte le sere con più pattuglie e quella sera siamo subito intervenuti».
Già, peccato che, a quanto pare, tutto questo non basti. Negli ultimi mesi il Comune si era attrezzato di una cinquantina di telecamere per contrastare le incursioni dei ladri ma senza successo. «A livello psicologico è un periodo complicato», stempera il sindaco Alexandre Bertolin, «le forze dell’ordine fanno del loro meglio ma non si riesce a monitorare tutto. Abbiamo le telecamere ma al massimo riusciamo a vedere dopo il fatto come si sono mossi i ladri». E anche qualora si dovesse arrivare prima e si riuscisse a fermare il ladro, commentano i cittadini, tutto poi finisce in un nulla di fatto.
«Leggendo le cronache», si legge sempre nella lettera a Aostasera.it, «si apprende che il ladro fermato sarebbe incensurato. Temo che questo significhi pochi giorni di detenzione e una rapida scarcerazione. Tradotto: io resto l’unica vittima, con la casa a soqquadro, i ricordi rubati e la paura addosso; lui invece rischia di cavarsela con poco senza dover dire chi lo aiutava e dove sono finiti i nostri beni».
Un clima di esasperazione destinato ad aumentare ora che si scopre che nemmeno difendersi sarebbe legittimo. Intanto, per il ladro, accusato di furto e in carcere fino al processo che si terrà il 19 dicembre, la linea difensiva è già pronta . Quella di un cuoco con figli piccoli da mantenere e tanto bisogno di soldi. «Mi hanno mandato altri albanesi», dice. In attesa di vedere quale corso farà la giustizia, i cittadini ribadiscono che l’attesa inerme non funziona. «Quando la legge non riesce a proteggere chi subisce i reati, le persone, piaccia o no si organizzano da sole. Se vogliamo evitare che episodi come questo si ripetano non dovremmo essere stigmatizzati. Occorre dare alla comunità strumenti per sentirsi protette. Prima che la rabbia prenda il sopravvento». Non proprio la direzione in cui sembra andare ora l’Arma.
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«Little Disasters: L'errore di una madre» (Paramount+)
Sarah Vaughan è quella di Anatomia di uno scandalo, diventato poi miniserie Netflix. Ed è la stessa che pare averci preso gusto, con la narrazione televisiva. Giovedì 11 dicembre, tocca ad un altro romanzo della scrittrice debuttare come serie tv, non su Netflix, ma su Paramount+.
Little Disasters: L'errore di una madre non è un thriller e non ha granché delle vicissitudini, amorose e politiche, che hanno decretato il successo di Anatomia di uno scandalo. Il romanzo è riflessivo. Non pretende di spiegare, di inventare una storia che possa tenere chi legga con il fiato sospeso o indurlo a parteggiare per questa o quella parte, a indignarsi e commuoversi insieme ai suoi protagonisti. Little Disasters è la storia di un mestiere mai riconosciuto come tale, quello di madre. Non c'è retorica, però. Sarah Vaughan non sembra ambire a veder riconosciuto uno dei tanti sondaggi che alle madri del mondo assegnano uno stipendio, quantificando le ore spese nell'accudimento dei figli e della casa. Pare, piuttosto, intenzionata a sondare le profondità di un abisso che, spesso, rimane nascosto dietro sorrisi di facciata, dietro un contegno autoimposto, dietro una perfezione solo apparente.
Little Disastersè, dunque, la storia di Liz e di Jess, due amiche che sulla propria e personale concezione di maternità imbastiscono - loro malgrado - un conflitto insanabile. Jess, pediatra all'interno di un ospedale, è di turno al pronto soccorso, quando Liz si presenta con la sua bambina fra le braccia. Sembra non stare bene, per ragioni imperscrutabili ad occhio profano. Ma i primi esami rivelano altro: un'altra verità. La piccola ha una ferita alla testa, qualcosa che una madre non può non aver visto. Qualcosa che, forse, una madre può addirittura aver provocato. Così, sui referti di quella piccinina si apre la guerra, fatta di domande silenziose, di diffidenza, di dubbi. Jess comincia a pensare che, all'interno della famiglia di Liz, così bella a guardarla da fuori, possa nascondersi un mostro. Ipotizza che l'amica possa soffrire di depressione post partum, che la relazione tra lei e il marito possa essere violenta. Liz, da parte sua, non parla. Non dice. Non spiega come sia possibile non abbia visto quel bozzo sul crapino della bambina. E Little Disasters va avanti, con un finale piuttosto prevedibile, ma con la capacità altresì di raccontare la complessità della maternità, le difficoltà, i giudizi, la deprivazione del sonno, il peso di una solitudine che, a tratti, si rivela essere assordante.
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La centrale idroelettrica “Domenico Cimarosa” di Presenzano, in provincia di Caserta
Enel, leader nella produzione di energia pulita, considera l’idroelettrico una delle colonne portanti della transizione energetica, grazie alla sua affidabilità, flessibilità e capacità di integrarsi con altre fonti rinnovabili. Tra le tecnologie che guideranno la decarbonizzazione nei prossimi decenni, l’idroelettrico rimane una delle più solide, mature e strategiche. È una fonte rinnovabile antica, già utilizzata nei secoli per azionare mulini e macchinari, ma oggi completamente trasformata dall’innovazione industriale.
Per Enel, che ha anticipato al 2040 il traguardo del Net Zero, questa tecnologia rappresenta una risorsa strategica: combina innovazione, sostenibilità e benefici concreti per i territori. Il principio è semplice ma potentissimo: sfruttare la forza dell’acqua per mettere in rotazione turbine idrauliche collegate ad alternatori che producono elettricità. Dietro questo meccanismo lineare c’è però un lavoro ingegneristico complesso, fatto di dighe, gallerie, condotte forzate, sistemi di monitoraggio, regolazione dei flussi e integrazione con lo storage la rete elettrica.
Gli impianti idroelettrici gestiti da Enel non solo generano energia, ma svolgono una funzione preziosa nel controllo delle risorse idriche: aiutano a gestire periodi di siccità, a contenere gli effetti di precipitazioni eccezionali e a mantenere stabile il sistema elettrico nei picchi di domanda. Esistono tre principali tipologie di impianto: fluenti, che sfruttano la portata naturale dei corsi d’acqua; a bacino, dove le dighe trattengono l’acqua e permettono di modulare la produzione; e con pompaggio, un vero gioiello tecnologico. Qui i bacini sono due, uno a monte e uno a valle: l’acqua può essere riportata verso l’alto tramite le stesse turbine, trasformando il sistema in un grande “accumulatore naturale” di energia. Una riserva preziosa, che consente di compensare l’intermittenza delle altre fonti rinnovabili e di stabilizzare la rete elettrica quando il fabbisogno cresce improvvisamente.
Questo ruolo di bilanciamento è una delle ragioni per cui l’idroelettrico è considerato una tecnologia decisiva nella nuova architettura energetica. Nell’impianto di Dossi a Valbondione in provincia di Bergamo, , un sistema BESS (Battery Energy Storage System), Enel ha avviato il progetto di innovazione “BESS4HYDRO”, che entrerà in pieno esercizio nella primavera del 2026 e che prevede, per la prima volta in Europa, l’esercizio integrato di una batteria a litio in un impianto idroelettrico. Grazie alla maggiore flessibilità, l’impianto potrà svolgere anche servizi di rete che di norma vengono forniti da impianti a gas: diminuirà così il ricorso alle fonti fossili e aumenterà quindi la sostenibilità ambientale dell’intera operazione.
Accanto all’aspetto tecnico, c’è un altro valore: l’impatto positivo sui territori. Le grandi opere idroelettriche gestite da Enel hanno creato bacini artificiali che, oltre alla funzione energetica, hanno generato nuove opportunità per molte comunità. Turismo naturalistico, attività escursionistiche, pesca sportiva: gli invasi costruiti per la produzione elettrica si sono trasformati nel tempo in luoghi di valorizzazione paesaggistica ed economica, integrando il binomio energia-ambiente.
L’innovazione gioca un ruolo sempre più centrale. L’esperienza dell’impianto di Venaus, dove Enel ha integrato sulla vasca di scarico della centrale idroelettrica un sistema fotovoltaico galleggiante, dimostra come la combinazione tra diverse tecnologie possa aumentare la produzione rinnovabile senza consumare nuovo suolo. Allo stesso tempo, Enel investe in soluzioni che rendano gli impianti più sostenibili, efficienti e resilienti, puntando su manutenzione avanzata e modernizzazione delle strutture.
In un’epoca in cui la sicurezza energetica, la resilienza delle infrastrutture e la decarbonizzazione sono priorità globali, l’idroelettrico gestito da Enel dimostra di essere una tecnologia solida che guarda al futuro. Grazie alla sua capacità di produrre energia pulita, regolare i flussi idrici e stabilizzare la rete, continuerà ad accompagnare il percorso di transizione energetica, contribuendo in modo concreto agli obiettivi climatici dell’Italia e dell’Europa.
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