2022-03-12
Varsavia difende la sua Costituzione mentre noi la sottomettiamo all’Ue
Giuliano Amato, presidente della Consulta (Ansa)
La Consulta estende gli assegni familiari agli extracomunitari: «Lo impone il primato del diritto dell’Unione». Così ci consegniamo a Bruxelles. Al contrario, i giudici polacchi ribadiscono la supremazia della loro Carta.Viene prima l’Europa o la Costituzione? A questo dilemma giuridico, gli Stati danno risposte diverse. Come al solito, c’è chi si piega a Bruxelles e chi, invece, fa le spalle larghe. Come al solito, tra quelli che chinano il capo ci siamo noi.Ieri è stata depositata la sentenza del giudice Silvana Sciarra, con cui la Consulta, presieduta da Giuliano Amato, stabilisce che «il primato del diritto Ue impone di riconoscere l’assegno per il nucleo familiare ai cittadini extracomunitari». A costoro va garantito il bonus «anche se alcuni componenti della famiglia risiedono temporaneamente nel Paese di origine». La Corte di giustizia europea aveva già bocciato la disciplina italiana sul benefit, poiché introduceva una «disparità di trattamento» tra cittadini ed extracomunitari, risultando incompatibile con due direttive riguardanti i soggiornanti di lungo periodo e il rilascio del permesso unico di lavoro. La Corte - è un punto cruciale, anche perché la pronuncia riguarda l’utilizzo dei soldi dei contribuenti a beneficio degli immigrati - sostiene di non scorgere contrasti tra l’asserito primato del diritto dell’Unione e il compito di esercitare il «sindacato accentrato di costituzionalità». In parole semplici: i giudici ritengono che la prerogativa assegnata alla Consulta, cioè quella di giudicare «sulle controversie relative alla legittimità costituzionale» delle leggi, non sia scalfita dal riconoscimento della preminenza dell’impalcatura giuridica dell’Ue. Anzi, la Consulta ha già ammesso che spetta alla Corte di giustizia interpretare e applicare i trattati sottoscritti dal nostro Paese. Semmai, dovrà essere l’Italia a «disapplicare all’occorrenza» qualsiasi disposizione del diritto nazionale contrastante con il diritto dell’Unione. Non la pensano così a Varsavia. Il Tribunale costituzionale polacco, per lo più di nomina governativa, giovedì ha stabilito che la Convenzione europea sui diritti dell’uomo è in parte inconciliabile con la Costituzione nazionale. La contestazione riguarda l’articolo 6 del documento, che decreta il diritto a un equo processo, dinanzi a una corte indipendente e imparziale. È l’ennesimo capitolo della disputa con Bruxelles sulla riforma della giustizia: secondo l’esecutivo, essa è necessaria per combattere la corruzione nella magistratura; per Bruxelles, essa danneggia l’autonomia delle toghe. A ottobre, la Consulta polacca aveva deciso che gli articoli 1 e 19 del Trattato sull’Unione europea, sul primato del diritto comunitario, sono incompatibili con la legge nazionale. Tre settimane fa, la Corte di Lussemburgo ha infine autorizzato l’Unione a bloccare i fondi destinati ai Paesi, tipo la stessa Polonia e l’Ungheria, che a suo parere non rispettano i cardini dello Stato di diritto. Trascorsa la parentesi idilliaca dell’apertura dei confini agli ucraini e incassata dal premier, Mateusz Morawiecki, la promessa di ricevere 500 milioni per far fronte all’accoglienza dei profughi, Varsavia ora ridiventa la «canaglia» del continente. Benché il Tribunale costituzionale abbia soltanto cristallizzato, su una materia certo sensibile, un orientamento che era stato adottato anzitutto dalla Germania. Ricordate la sentenza di Karlsruhe, del maggio 2020? Le toghe lanciarono alla Bce un ultimatum di tre mesi: o l’istituto dimostra che il quantitative easing non è sproporzionato «rispetto agli effetti economici e fiscali», o la Bundesbank non parteciperà al programma di acquisto dei titoli di Stato. La Corte tedesca, in questo modo, impediva a Bce e Corte di giustizia di agire ultra vires, oltrepassando quelli che riteneva essere i poteri loro attribuiti. Una mossa che, lo scorso giugno, ha spinto la Commissione a preparare una procedura d’infrazione contro Berlino, per aver misconosciuto il via libera dato dalla Corte Ue al piano della Bce. Secondo Karlsruhe, al contrario, i giudici di ultima istanza dovevano essere quelli tedeschi.Il quadro è questo qua: c’è chi si consegna armi e bagagli a Bruxelles e chi sceglie di conservare uno spazio di indipendenza e salva la priorità della Costituzione, anziché stracciarla nel nome di un trattato, o dell’adesione a un sodalizio politico. Ciò spiega pure in che senso si debbano iniziare a nutrire dubbi sulla natura della nostra Consulta: se vale il principio per cui una legge si disapplica non perché, in linea teorica, è incompatibile con la Costituzione, bensì perché cozza con il diritto europeo, più che una Corte costituzionale, ci ritroviamo una specie di filiale nazionale della Corte Ue. Con una complicazione in più: che l’Unione non possiede una vera e propria Costituzione. E allora, cosa dovrebbe succedere se, domani, l’Europa emanasse una direttiva in contrasto con uno degli articoli della Carta italiana? Dovremmo adottare quella norma e misconoscere la nostra, in virtù del sacro primato del diritto Ue? È questione di logica: di primato può essercene uno solo. E la Costituzione, per essere tale, deve incarnare la legge fondamentale; se la legge fondamentale viene scalzata da un principio di rango superiore, semplicemente, essa smette di essere la legge fondamentale. Smette di essere la Costituzione. A Varsavia e Berlino l’hanno intuito. A Roma lo sanno, o fingono di non averlo capito?
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)