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2025-05-04
Vance: «La Germania torna al Muro». La replica: «Tuteliamo la democrazia»
JD Vance (Ansa)
È salita la tensione tra Washington e Berlino, dopo che, venerdì, l’Ufficio per la protezione della Costituzione (vale a dire il servizio d’intelligence interno tedesco) ha designato l’Afd come una organizzazione di estrema destra, oltreché in grado di rappresentare una minaccia per la democrazia: parliamo di una mossa che conferisce adesso alle autorità maggiori poteri di sorveglianza sul partito in questione. A criticare questa decisione è stato innanzitutto il segretario di Stato americano, Marco Rubio. «La Germania ha appena conferito alla sua agenzia di spionaggio nuovi poteri per mettere sotto controllo l’opposizione. Questa non è democrazia, è tirannia mascherata», ha dichiarato su X, per poi proseguire: «Ciò che è veramente estremista non è il popolare Afd, arrivato secondo alle recenti elezioni, bensì le letali politiche migratorie dell’establishment a favore delle frontiere aperte, a cui l’Afd si oppone. La Germania dovrebbe invertire la rotta».
Un post, quello di Rubio, che è stato rilanciato dal vicepresidente americano, JD Vance, il quale ha anche aggiunto: «L’Afd è il partito più popolare in Germania e di gran lunga il più rappresentativo della Germania orientale. Ora i burocrati cercano di distruggerlo». «L’Occidente ha abbattuto il Muro di Berlino insieme. E questo è stato ricostruito non dai sovietici o dai russi, ma dall’establishment tedesco», ha concluso il numero due della Casa Bianca. Le critiche statunitensi non sono state ben accolte da Berlino. Replicando al tweet di Rubio, il ministero degli Esteri tedesco ha difeso la stretta contro l’Afd, affermando: «Questa è democrazia. Questa decisione è il risultato di un’indagine approfondita e indipendente a tutela della nostra Costituzione e dello Stato di diritto. Saranno i tribunali indipendenti ad avere l’ultima parola. Abbiamo imparato dalla nostra storia che l’estremismo di destra deve essere fermato».
La tensione tra l’amministrazione Trump e Berlino non nasce certo oggi. Lo scorso 14 febbraio, parlando a Monaco, Vance aveva già avuto modo di criticare le alte sfere europee, accusandole di adottare dei comportamenti antidemocratici. In particolare, aveva condannato l’annullamento delle elezioni in Romania e la tendenza di vari Paesi europei a formare coalizioni di governo, emarginando forze politiche ampiamente sostenute dagli elettori. «Sono necessari mandati democratici per realizzare qualcosa di valore nei prossimi anni. Non abbiamo forse imparato nulla sul fatto che mandati deboli producono risultati instabili?», dichiarò il vicepresidente americano che, nella sua visita tedesca, ebbe anche un incontro con i vertici di Afd. Pochi giorni dopo, il 23 febbraio, si sarebbero tenute le elezioni federali in Germania. E la Casa Bianca sperava che proprio l’Afd sarebbe entrata in una coalizione di governo. Un auspicio caduto tuttavia nel vuoto, visto che il leader della Cdu, Friedrich Merz, ha preferito allearsi con la Spd, nonostante quest’ultima abbia ottenuto uno dei risultati elettorali peggiori della sua storia. Il che non ha fatto che aumentare gli attriti tra Washington e Berlino.
Ora, una certa vulgata tende a derubricare la sponda tra l’amministrazione Trump e l’Afd a una convergenza tra «estremisti di destra»: un modo con cui l’attuale presidente americano punterebbe a frantumare l’Unione europea. Inutile dire che si tratta di un’interpretazione superficiale e sterile. Innanzitutto Donald Trump non ha alcun bisogno di disarticolare un’Ue che è già storicamente disarticolata di suo. In secondo luogo, la disamina americana è fondamentalmente corretta: la strategia della conventio ad excludendum non rafforza le democrazie, ma le indebolisce, creando disaffezione negli elettori e innescando dei clamorosi effetti boomerang.
Nel 2024, grazie anche alle strategie di Emmanuel Macron volte a isolare il Rassemblement national, la Francia ha visto avvicendarsi ben quattro premier, mentre lo schieramento di Marine Le Pen è cresciuto sia alle elezioni europee che a quelle legislative. Sempre nel 2024, la coalizione di Olaf Scholz, in Germania, è collassata anche a causa delle sue contraddizioni interne, mentre nel febbraio di quest’anno l’Afd è il diventato secondo partito a livello nazionale. Il discorso che fa la Casa Bianca è, in fin dei conti, piuttosto pragmatico: gli Stati Uniti hanno bisogno di interfacciarsi con governi europei stabili, soprattutto in vista di un fronte comune nei confronti della Cina. E di certo la stabilità, ragionano a Washington, non si ottiene estromettendo aprioristicamente dal potere partiti che godono di un largo seguito. Per questa ragione, Trump ha criticato la condanna penale subita ad aprile dalla Le Pen. E sempre per questo motivo, lo abbiamo visto, Vance e Rubio, venerdì, hanno biasimato le alte sfere tedesche. Tra l’altro, a Monaco, lo stesso Vance ebbe modo di citare Giovanni Paolo II: il Papa che svolse un ruolo fondamentale nell’abbattimento di quel Muro di Berlino che adesso, secondo il vicepresidente americano, è stato de facto ricostruito dall’«establishment tedesco».
Sarà un caso, ma gli establishment politici europei fissati con i cordoni sanitari sono spesso gli stessi che stanno cercando di spingere Bruxelles su posizioni filocinesi in chiave anti Trump: una dinamica, questa, che vediamo per esempio all’opera sulla questione dei dazi. Dicono di difendere la democrazia, ma poi silenziano le opposizioni, indeboliscono i legami transatlantici e spalancano le porte a Pechino. Una logica cristallina, non c’è che dire.
Migranti, Trump si ribella alle toghe
Continua il braccio di ferro tra il presidente statunitense, Donald Trump, e le toghe sulla questione delle espulsioni dei migranti irregolari dal territorio americano. Ieri il tycoon dal suo social Truth ha ribadito: «È possibile che i giudici non permettano agli Stati Uniti di espellere i criminali, compresi gli assassini, e di riportarli da dove provengono? Se è così, il nostro Paese, così come lo conosciamo, è finito!». Trump prevede un futuro poco roseo anche per i cittadini americani, visto che «dovranno abituarsi a una vita molto diversa, piena di crimini. Non è questo che i nostri Padri fondatori avevano in mente!».
Queste ultime dichiarazioni arrivano poco dopo il discorso di Trump rivolto agli studenti dell’università dell’Alabama a Tuscaloosa, in cui aveva dedicato parole al vetriolo contro i giudici americani. The Donald ha infatti detto: «Come si può garantire un giusto processo a persone che sono entrare illegalmente nel nostro Paese?». E nell’intervento ha accusato i giudici di voler interferire nel lavoro svolto dalla Casa Bianca, che è in linea con quello «che gli elettori vogliono» in materia di immigrazione.
L’ultimo atto delle tensioni crescenti negli Stati Uniti tra il potere esecutivo e quello giudiziario risale a giovedì, quando un giudice federale del distretto meridionale del Texas, Fernando Rodriguez, ha impedito l’espulsione di presunti membri della gang venezuelana Tren de Aragua verso un carcere di El Salvador. In particolare, il giudice ha vietato all’amministrazione Usa di usare l’Alien enemies act, risalente al 1798, considerato «non coerente con i principi costituzionali moderni». E quindi «il presidente non può dichiarare sommariamente che una nazione o un governo straniero ha minacciato o perpetrato un’invasione o un’incursione predatoria negli Stati Uniti, per poi identificare i nemici stranieri soggetti a detenzione o espulsione», ha scritto Rodriguez nel provvedimento.
Intanto l’amministrazione Trump prosegue nella battaglia contro le città che intralciano l’espulsione di migranti irregolari, ma continua anche nell’adottare misure preventive.
Di ieri è la notizia che il dipartimento di Giustizia americano ha fatto causa a Colorado e Denver per presunta interferenza in materia di immigrazione. Lo Stato americano e la sua Capitale avrebbero approvato le cosiddette leggi santuario, ovvero volte a proteggere i migranti, rendendo più arduo il lavoro delle autorità federali. Secondo il dipartimento di Giustizia le politiche santuario adottate nell’area avrebbero consentito sempre alla gang venezuelana Tren de Aragua di esercitare il controllo in un complesso residenziale situato nel sobborgo di Aurora, a Denver. Non sorprende che le autorità locali abbiano bollato queste affermazioni come «esagerate», ma hanno anche ammesso che ci sia un fondo di verità: la zona era terrorizzata dalla presenza di persone legate alla gang criminale. Intanto l’esercito ha creato lungo il confine con il vicino messicano la Texas national defense area: una zona militare lunga 101 chilometri tra il Texas e il New Mexico dove i soldati possono trattenere chi attraversa illegalmente il confine. Si tratta della seconda area, dopo che lo scorso mese era stata annunciata la creazione di una striscia di 440 chilometri quadrati lungo la frontiera del New Mexico. E i risultati, secondo il governo, sarebbero positivi: a marzo il numero di accessi illegali è sceso al livello più basso.
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Il ministero degli Esteri tedesco risponde a Rubio (che aveva parlato di tirannia mascherata): «La storia ci dice che bisogna fermare l’estrema destra». Rincara la dose il vice Donald, che non gradisce la repressione.Il tycoon: «Se ci impediscono di espellere gli assassini questo Paese è finito». Chiaro il riferimento al giudice texano e agli Stati che ostacolano le politiche della Casa Bianca.Lo speciale contiene due articoli.È salita la tensione tra Washington e Berlino, dopo che, venerdì, l’Ufficio per la protezione della Costituzione (vale a dire il servizio d’intelligence interno tedesco) ha designato l’Afd come una organizzazione di estrema destra, oltreché in grado di rappresentare una minaccia per la democrazia: parliamo di una mossa che conferisce adesso alle autorità maggiori poteri di sorveglianza sul partito in questione. A criticare questa decisione è stato innanzitutto il segretario di Stato americano, Marco Rubio. «La Germania ha appena conferito alla sua agenzia di spionaggio nuovi poteri per mettere sotto controllo l’opposizione. Questa non è democrazia, è tirannia mascherata», ha dichiarato su X, per poi proseguire: «Ciò che è veramente estremista non è il popolare Afd, arrivato secondo alle recenti elezioni, bensì le letali politiche migratorie dell’establishment a favore delle frontiere aperte, a cui l’Afd si oppone. La Germania dovrebbe invertire la rotta». Un post, quello di Rubio, che è stato rilanciato dal vicepresidente americano, JD Vance, il quale ha anche aggiunto: «L’Afd è il partito più popolare in Germania e di gran lunga il più rappresentativo della Germania orientale. Ora i burocrati cercano di distruggerlo». «L’Occidente ha abbattuto il Muro di Berlino insieme. E questo è stato ricostruito non dai sovietici o dai russi, ma dall’establishment tedesco», ha concluso il numero due della Casa Bianca. Le critiche statunitensi non sono state ben accolte da Berlino. Replicando al tweet di Rubio, il ministero degli Esteri tedesco ha difeso la stretta contro l’Afd, affermando: «Questa è democrazia. Questa decisione è il risultato di un’indagine approfondita e indipendente a tutela della nostra Costituzione e dello Stato di diritto. Saranno i tribunali indipendenti ad avere l’ultima parola. Abbiamo imparato dalla nostra storia che l’estremismo di destra deve essere fermato». La tensione tra l’amministrazione Trump e Berlino non nasce certo oggi. Lo scorso 14 febbraio, parlando a Monaco, Vance aveva già avuto modo di criticare le alte sfere europee, accusandole di adottare dei comportamenti antidemocratici. In particolare, aveva condannato l’annullamento delle elezioni in Romania e la tendenza di vari Paesi europei a formare coalizioni di governo, emarginando forze politiche ampiamente sostenute dagli elettori. «Sono necessari mandati democratici per realizzare qualcosa di valore nei prossimi anni. Non abbiamo forse imparato nulla sul fatto che mandati deboli producono risultati instabili?», dichiarò il vicepresidente americano che, nella sua visita tedesca, ebbe anche un incontro con i vertici di Afd. Pochi giorni dopo, il 23 febbraio, si sarebbero tenute le elezioni federali in Germania. E la Casa Bianca sperava che proprio l’Afd sarebbe entrata in una coalizione di governo. Un auspicio caduto tuttavia nel vuoto, visto che il leader della Cdu, Friedrich Merz, ha preferito allearsi con la Spd, nonostante quest’ultima abbia ottenuto uno dei risultati elettorali peggiori della sua storia. Il che non ha fatto che aumentare gli attriti tra Washington e Berlino.Ora, una certa vulgata tende a derubricare la sponda tra l’amministrazione Trump e l’Afd a una convergenza tra «estremisti di destra»: un modo con cui l’attuale presidente americano punterebbe a frantumare l’Unione europea. Inutile dire che si tratta di un’interpretazione superficiale e sterile. Innanzitutto Donald Trump non ha alcun bisogno di disarticolare un’Ue che è già storicamente disarticolata di suo. In secondo luogo, la disamina americana è fondamentalmente corretta: la strategia della conventio ad excludendum non rafforza le democrazie, ma le indebolisce, creando disaffezione negli elettori e innescando dei clamorosi effetti boomerang. Nel 2024, grazie anche alle strategie di Emmanuel Macron volte a isolare il Rassemblement national, la Francia ha visto avvicendarsi ben quattro premier, mentre lo schieramento di Marine Le Pen è cresciuto sia alle elezioni europee che a quelle legislative. Sempre nel 2024, la coalizione di Olaf Scholz, in Germania, è collassata anche a causa delle sue contraddizioni interne, mentre nel febbraio di quest’anno l’Afd è il diventato secondo partito a livello nazionale. Il discorso che fa la Casa Bianca è, in fin dei conti, piuttosto pragmatico: gli Stati Uniti hanno bisogno di interfacciarsi con governi europei stabili, soprattutto in vista di un fronte comune nei confronti della Cina. E di certo la stabilità, ragionano a Washington, non si ottiene estromettendo aprioristicamente dal potere partiti che godono di un largo seguito. Per questa ragione, Trump ha criticato la condanna penale subita ad aprile dalla Le Pen. E sempre per questo motivo, lo abbiamo visto, Vance e Rubio, venerdì, hanno biasimato le alte sfere tedesche. Tra l’altro, a Monaco, lo stesso Vance ebbe modo di citare Giovanni Paolo II: il Papa che svolse un ruolo fondamentale nell’abbattimento di quel Muro di Berlino che adesso, secondo il vicepresidente americano, è stato de facto ricostruito dall’«establishment tedesco». Sarà un caso, ma gli establishment politici europei fissati con i cordoni sanitari sono spesso gli stessi che stanno cercando di spingere Bruxelles su posizioni filocinesi in chiave anti Trump: una dinamica, questa, che vediamo per esempio all’opera sulla questione dei dazi. Dicono di difendere la democrazia, ma poi silenziano le opposizioni, indeboliscono i legami transatlantici e spalancano le porte a Pechino. 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Non è questo che i nostri Padri fondatori avevano in mente!». Queste ultime dichiarazioni arrivano poco dopo il discorso di Trump rivolto agli studenti dell’università dell’Alabama a Tuscaloosa, in cui aveva dedicato parole al vetriolo contro i giudici americani. The Donald ha infatti detto: «Come si può garantire un giusto processo a persone che sono entrare illegalmente nel nostro Paese?». E nell’intervento ha accusato i giudici di voler interferire nel lavoro svolto dalla Casa Bianca, che è in linea con quello «che gli elettori vogliono» in materia di immigrazione. L’ultimo atto delle tensioni crescenti negli Stati Uniti tra il potere esecutivo e quello giudiziario risale a giovedì, quando un giudice federale del distretto meridionale del Texas, Fernando Rodriguez, ha impedito l’espulsione di presunti membri della gang venezuelana Tren de Aragua verso un carcere di El Salvador. In particolare, il giudice ha vietato all’amministrazione Usa di usare l’Alien enemies act, risalente al 1798, considerato «non coerente con i principi costituzionali moderni». E quindi «il presidente non può dichiarare sommariamente che una nazione o un governo straniero ha minacciato o perpetrato un’invasione o un’incursione predatoria negli Stati Uniti, per poi identificare i nemici stranieri soggetti a detenzione o espulsione», ha scritto Rodriguez nel provvedimento. Intanto l’amministrazione Trump prosegue nella battaglia contro le città che intralciano l’espulsione di migranti irregolari, ma continua anche nell’adottare misure preventive. Di ieri è la notizia che il dipartimento di Giustizia americano ha fatto causa a Colorado e Denver per presunta interferenza in materia di immigrazione. Lo Stato americano e la sua Capitale avrebbero approvato le cosiddette leggi santuario, ovvero volte a proteggere i migranti, rendendo più arduo il lavoro delle autorità federali. Secondo il dipartimento di Giustizia le politiche santuario adottate nell’area avrebbero consentito sempre alla gang venezuelana Tren de Aragua di esercitare il controllo in un complesso residenziale situato nel sobborgo di Aurora, a Denver. Non sorprende che le autorità locali abbiano bollato queste affermazioni come «esagerate», ma hanno anche ammesso che ci sia un fondo di verità: la zona era terrorizzata dalla presenza di persone legate alla gang criminale. Intanto l’esercito ha creato lungo il confine con il vicino messicano la Texas national defense area: una zona militare lunga 101 chilometri tra il Texas e il New Mexico dove i soldati possono trattenere chi attraversa illegalmente il confine. Si tratta della seconda area, dopo che lo scorso mese era stata annunciata la creazione di una striscia di 440 chilometri quadrati lungo la frontiera del New Mexico. E i risultati, secondo il governo, sarebbero positivi: a marzo il numero di accessi illegali è sceso al livello più basso.
Donald Trump (Ansa)
Insomma, se di nuovo attaccato, in soccorso del Paese di Volodymyr Zelensky scenderebbero gli Stati membri dell’Alleanza. Probabilmente - come nel caso dell’organizzazione nordatlantica - non ci sarebbero automatismi e sarebbero necessarie prima delle consultazioni politiche. La Russia, però, sarebbe avvisata. E la novità è che anche gli Stati Uniti, benché recalcitranti a impegnarsi per Kiev e per il Vecchio continente, hanno accolto il lodo Meloni.
Axios, citando fonti dell’amministrazione americana, ha scritto che la Casa Bianca sarebbe pronta a dare il suo assenso, sottoponendo comunque l’intesa al voto del Congresso. «Vogliamo offrire agli ucraini», ha dichiarato un funzionario Usa, «una garanzia di sicurezza che non sia un assegno in bianco da un lato, ma che sia sufficientemente solida dall’altro».
La definizione dello scenario postbellico sarebbe uno dei tre accordi da firmare separatamente: uno per la pace, uno per la sicurezza, uno per la ricostruzione. L’esponente dell’esecutivo statunitense considera positivo che, per la prima volta, la nazione aggredita abbia mostrato una visione per il dopoguerra. A dispetto dell’apparente stallo dei negoziati, peraltro, il collaboratore di Donald Trump ha riferito ad Axios che, negli Usa, l’apertura di Zelensky almeno a un referendum sullo status dei territori occupati viene considerata «un progresso». All’America sarebbe stato giurato che gli europei sosterrebbero il capo della resistenza, se decidesse di mandare in porto la consultazione.
Steve Witkoff e Jared Kushner si sarebbero confrontati su piano per creare una zona demilitarizzata a ridosso del fronte, insieme ai consiglieri per la sicurezza di Ucraina, Germania, Francia e Regno Unito. I passi avanti sarebbero stati tali da convincere Trump a spedire il genero e l’inviato speciale in Europa. Entrambi, in vista del vertice di domani, sono attesi oggi a Berlino per dei colloqui con rappresentanti ucraini e tedeschi. Domani, invece, i delegati di The Donald vedranno il cancelliere, Friedrich Merz, Macron e il premier britannico, Keir Starmer. Al summit parteciperanno anche altri leader Ue e Nato, tra cui Giorgia Meloni. Reduce, a questo punto, da un successo politico e diplomatico.
Un’accelerazione delle trattative potrebbe aiutarla a trarsi d’impaccio pure dalle difficoltà interne: i malumori della Lega per il decreto armi e l’intervento a gamba tesa del Colle sulla necessità di sostenere Kiev. La reprimenda di Sergio Mattarella poteva certo essere diretta contro il Carroccio, che infatti ieri ha risposto, con toni insolitamente duri, tramite Paolo Borchia: al capo dello Stato, ha lamentato l’eurodeputato, «piace far politica». A giudicare dai commenti di Matteo Salvini e Claudio Borghi, però, sembra improbabile una crisi della maggioranza. Ma la coincidenza davvero interessante è che l’inquilino del Quirinale ha pronunciato il suo discorso appena dopo il faccia a faccia tra Meloni e Zelensky, cui il nostro premier avrebbe fatto presente l’inevitabilità di «concessioni territoriali dolorose». Ieri è toccato ad Antonio Tajani smentire le presunte pressioni italiane affinché l’Ucraina accetti le condizioni del piano di Trump. «Sui territori», ha precisato il ministro degli Esteri, seguito a ruota da Guido Crosetto, «la decisione è solo degli ucraini». Fatto sta che, pure sull’utilizzo degli asset russi - una partita delicatissima, nella quale nemmeno la posizione della Germania è priva di ambiguità - Roma sta cercando di disinnescare le mine piazzate dalla Commissione europea, che sarebbero di intralcio alla pace.
Chi, intanto, si sta riaffacciando nella veste di mediatore è Recep Tayyip Erdogan. Teme che il Mar Nero, nel quale Ankara mantiene interessi vitali, diventi «un campo di battaglia», come ha detto ieri il Sultano. Non a caso, Kiev ha accusato Mosca di aver colpito un cargo turco che trasportava olio di girasole. Erdogan ha garantito che «la pace non è lontana» ed espresso apprezzamenti per l’iniziativa di The Donald. «Discuteremo il piano anche con il presidente degli Stati Uniti Trump, se possibile», ha annunciato. Con Vladimir Putin, ha aggiunto il presidente, «abbiamo parlato degli sforzi della Turchia per raggiungere la pace. Entrambi riteniamo positivo il tentativo di impostare un dialogo per porre fine al conflitto. Trump si è attivato e noi siamo al suo fianco, i nostri contatti con gli Usa sono continui».
Ieri, sono stati trasferiti in Ucraina quasi tutti i prigionieri liberati dalla Bielorussia in cambio dello stop alle sanzioni statunitensi, compresa l’oppositrice al regime Maria Kolesnikova. Pure questo è un piccolo segnale. Se ne attende qualcuno dall’Europa. Prima che la guerra diventi la sua tragica profezia che si autoavvera.
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