2020-08-17
Valentino salvato da un angelo custode. È ora di smettere?
Schianto in pista, moto vola e sfiora Rossi: «Il peggior rischio della mia vita», ammette. E per molti è un segno del destino.Puoi alzarti molto presto all'alba, ma il tuo destino si è alzato prima di te. Il motto da maglietta da spiaggia è perfetto per interpretare lo sguardo perso di Valentino Rossi davanti al monitor e quelle mani sul volto nel rivedere dai box l'impatto sfiorato, la morte a dieci centimetri. La ripresa webcam della tragedia in diretta lungo il serpentone dello Spielberg viene rimandata al rallentatore su YouTube e fa calare il silenzio nelle case agostane dell'ordinary people, la gente comune che non pianterebbe un chiodo nel muro per paura della martellata sull'unghia.«Non era destino», osservano i fatalisti dopo lo schianto al Gran premio d'Austria. «È il segno del destino», ribattono coloro che vorrebbero vedere Valentino appendere - a 41 anni suonati - il casco al chiodo. La faccenda è seria, al nono giro della prova mondiale di MotoGp la signora con la falce mostra un certo appetito, come se il 2020 non l'avesse ancora placata. In un duello elettrico a centro gruppo il francese Johann Zarco supera Franco Morbidelli e gli frena davanti in salita per consolidare la posizione ma rendendo inevitabile il tamponamento. I piloti volano, le moto continuano la corsa impazzendo e deflagrando prima di rientrare in pista come proiettili a 300 all'ora. La M1 e la Ducati senza controllo tagliano la curva e passano a pochi centimetri dalle Yamaha di Rossi e di Maverick Vinales. Dai loro bolidi, dalle loro teste, dalle loro vite. «Il santo dei motociclisti (San Colombano, ndr) ha fatto un grande lavoro», prova a sdrammatizzare Valentino alla fine. «Può essere che sia stato il rischio più grande della mia vita. Si dice che un coraggioso o è matto o non ha scelta: io non ho avuto scelta. Zarco lo ha fatto apposta, non è nuovo a queste cose, devono intervenire».Ti aspetti la strage, alla fine leggi un bollettino da miracolo a Ferragosto: l'unico contuso è Morbidelli, forte botta alla testa e alla mano destra. E quando la corrida finisce scopri che sul Red Bull Ring, Rossi è quinto (ha vinto Andrea Dovizioso) e ha rischiato la vita per 11 punti. La paga del weekend di un campione al tramonto. Il semaforo giallo del destino per un Superman ormai da tempo entrato nella leggenda, con 9 mondiali e 115 gare in bacheca, 24 anni da cavaliere elettrico, simbolo dell'Italia nel mondo e della longevità nello sfidare il dio della velocità. Questa volta ha fatto tutto la fortuna o il battito di ciglia divino; sono state le moto impazzite a sfiorarlo, hanno deciso loro che il balletto non doveva far piangere gli dei.Allo Spielberg c'è un angelo custode, di quelli che talvolta inducono anche gli atei a credere. E quando Rossi scende dalla moto tutti lo vedono agitare le braccia come Aldo Baglio nel caratteristico «Non ci posso credere». Traduce perfettamente il telecronista Guido Meda: «Sta dicendo mamma mia che paura, mamma mia cosa ho rischiato». Poi tutti con il dito puntato sul francese Zarco. Un giorno, in tempi non sospetti, proprio Rossi lo aveva battezzato: «Non è cattivo, ma non è proprio capace». Il commento di Morbidelli dopo l'incidente è più spietato: «È un mezzo assassino». Ma qui non si tratta di definire i contorni regolamentari di un azzardo, bensì di cogliere l'imponderabile, il senso di una continua corsa verso il nulla come quella che sta facendo Valentino. Lontano dalle rughe, lontano dal piede a terra, lontano dalla sua vita senza un motore sotto i glutei.Centoquindici gare vinte. In Austria ha vinto la centosedicesima, quella contro la morte. E allora è giusto che capisca, che sappia interpretare il segnale di quelle due moto che lo sfiorano. «È ora di smettere», sussurrano gli amici sempre più convinti. È tempo di andare oltre la malinconica sindrome del vecchio e il mare. È ora di smettere, gli aveva detto con gentilezza britannica l'amministratore delegato della Yamaha, Lin Jarvis, a inizio stagione mettendo sotto contratto l'enfant prodige Fabio Quartararo. «È comprensibile e rispettabile da parte di Yamaha che Valentino voglia valutare la sua competitività nel 2020 prima di prendere qualsiasi decisione. Abbiamo totale rispetto e fiducia nelle sue capacità e nella sua velocità, ma allo stesso tempo il team deve pianificare il futuro». Sembrava il nipote premuroso mentre comunica al nonno che non ci sarà più rinnovo della patente. Al segnale della competitività ora si è aggiunto quello del destino, perché 41 anni per un pilota sono tanti e incanutire su una MotoGP non è come farlo in un campo di calcio; Francesco Totti il giovedì a Trigoria qualche imbucata la inventava ancora, Zlatan Ibrahimovic è in grado da fermo di far girare comunque l'anima del Milan. Valentino no, lui è solo con il cronometro, in mezzo a una mandria di ventenni con il coltello fra i denti. Il circo lo osserva invecchiare e spera che continui perché, anche se non vince più, fa ancora la differenza nei contratti degli sponsor. Sport Illustrated ha calcolato che scendendo dal sellino farebbe perdere al mondo della MotoGp un terzo del fatturato. «Vende più moto, più merchandising, più biglietti, più contratti tv lui rispetto a tutti gli altri», ha sentenziato prima del lockdown Simon Patterson, guru mediatico delle corse, firma di Motorcycle News. «È nell'interesse di tutti che rimanga». E allora meglio il mito o la moto? Per noi pedoni dell'esistenza è un'alternativa «quattro verticale» della Settimana enigmistica, per Valentino Rossi ormai è la domanda della vita. E quei due rottami che in una domenica di agosto, sfiorandolo, lo hanno risparmiato, potrebbero essere la risposta.