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2021-06-22
Le vaccinazioni si inceppano. Ora puntano gli aghi sui bimbi
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È ufficiale: i pediatri italiani si esprimono a favore del vaccino anti Covid per tutti i bambini e gli adolescenti dai 12 anni in su. Nel documento pubblicato ieri, il consiglio direttivo della Società italiana di pediatria (Sip) ha raccomandato «in linea con le vigenti raccomandazioni ministeriali, la vaccinazione Covid-19 per tutti i bambini e gli adolescenti di età pari o superiore a 12 anni privi di controindicazioni per gli specifici vaccini autorizzati per età». Va bene «qualsiasi vaccino» approvato dall'Agenzia italiana del farmaco (Aifa) e da quella europea (Ema), purché inoculato «secondo i tempi e le modalità di somministrazione previsti per le specifiche fasce d'età».
La scelta palesata ieri, in realtà, era nell'aria già da tempo. «Sono completamente a favore alla vaccinazione per la fascia 12-15 anni, in quanto certamente daremo loro i vantaggi della protezione individuale e quelli di proteggere chi hanno intorno», affermava un paio di settimane fa la dottoressa Annamaria Staiano, presidente della Sip. Posizione condivisa da Alberto Villani, responsabile di pediatria generale e malattie infettive al Bambin Gesù, ex presidente della Sip e già membro del Cts. «La responsabilità dei genitori è enorme», così Villani in un'intervista rilasciata all'inizio di giugno ad Avvenire, «chi può avere la certezza che il proprio bimbo non sarà tra i - pur pochi - casi gravi di Covid?». E nelle ultime dichiarazioni rilasciate alla stampa, i vertici della Sip non fanno mistero di puntare a breve anche agli under 12.
Ma è proprio guardando ai numeri snocciolati dagli stessi pediatri che viene da farsi più di una domanda sull'opportunità di somministrare il siero indiscriminatamente anche ai ragazzi sotto i 18 anni. Nel nostro Paese, nella fascia compresa tra 0 e 9 anni i casi sono stati il 5,5%, mentre in quella tra i 10 e i 19 anni la percentuale sale al 9,6%. Complessivamente, dunque, solo 15 casi su 100 hanno riguardato individui minorenni. Senza voler sminuire il valore di ogni singola vita umana sono pochissimi, appena 26, i decessi fatti registrare tra i più giovani. «Si trattava nella maggior parte dei casi di bambini fragili», confessa lo stesso Villani nella conversazione con Avvenire, «con patologie pregresse e comorbidità». Una considerazione ribadita anche dal documento pubblicato ieri dalla Sip, nel quale i pediatri ammettono in effetti che «la fascia pediatrica dai 12 anni in su risulta essere tra quelle meno colpite dal Sars-CoV-2».
E allora, perché vaccinare? Primo elemento: «Recenti evidenze scientifiche hanno dimostrato in tale fascia d'età la presenza di gravi complicanze renali o di complicanze multisistemiche, anche ben al di là della ben codificata Mis-c (sindrome infiammatoria riscontrata più frequentemente nei bambini positivi al coronavirus, ndr), conseguenti a un'infezione pauci o asintomatica». Secondo, perché «in termini di sanità pubblica, la fascia di età pediatrica e adolescenziale può fungere da serbatoio per la diffusione del virus nell'intera popolazione».
Spiace dirlo, ma le motivazioni espresse nel documento pubblicato ieri dalla Società italiana di pediatria non convincono. Non solo perché, dati alla mano, le fasce d'età più giovani sono quelle meno interessate dalle conseguenze del virus, e quindi sulla carta meno urgenti da vaccinare. Cosa più importante, non viene citato nessuno studio citato a favore della vaccinazione dei più piccoli, forse perché è ancora troppo presto per esprimere una parola definitiva sull'argomento. Non manca invece, tra le righe, un tono che definire sibillino è poco. Prima, quando si lega la possibilità di «beneficiare di una prossima apertura dell'anno scolastico in sicurezza» alla «tempestività del raggiungimento delle alte coperture vaccinali». Più avanti, quando quasi sarcasticamente si parla di «guidare gli adolescenti e le loro famiglie verso un percorso vaccinale libero e consapevole». Spiritosi questi pediatri a parlare di libertà dopo tutto questo pressing.
Per il resto ci si imbatte in concetti piuttosto vaghi, come quando si afferma che «seppur l'obiettivo primario della vaccinazione è quello di non sviluppare la malattia, l'opportunità di implementare un'offerta vaccinale universale aiuterà notevolmente a ridurre non solo la circolazione dello stesso virus, ma soprattutto il rischio di generare varianti potenzialmente più contagiose o capaci di ridurre l'efficacia degli stessi vaccini in uso». Concetto che cozza con la recente diffusione del virus mutato anche in Paesi con una percentuale di vaccinati molto più alta della nostra. Oppure in coda al testo, dove i pediatri pur affermando di condividere «l'offerta vaccinale Covid-19 limitata solo a pazienti pediatrici con malattie pregresse», non ritengono «tale approccio valido ed efficace per contrastare l'attuale pandemia, che necessita piuttosto di un intervento vaccinale globale, in tutte le età e in tutti i Paesi del mondo».
Non la pensano così altrove. Cauti i tedeschi, con la commissione permanente sui vaccini (Stiko) che in Germania si è espressa contro la raccomandazione per i soggetti tra i 12 e i 17 anni senza patologie pregresse. Pochi giorni fa, in Danimarca sono stati gli stessi pediatri a porre un freno all'entusiasmo dell'Autorità per la salute: «Mancano le conoscenze per valutare l'impatto su questa fascia d'età». Senza contare l'appello lanciato a maggio dall'Organizzazione mondiale della sanità. «Non vaccinate i bambini e ragazzi, ma date le loro dosi a Covax», il programma internazionale per fornire i vaccini ai Paesi più poveri.
Mascherine, il Cts decide di non decidere
Le bacchettate del premier Draghi al ministro Speranza e al Cts hanno sortito un doppio effetto. La vaccinazione eterologa non è più un obbligo, perciò gli under 60 possono scegliere di fare anche la seconda dose con Astrazeneca, e ha i giorni contati il vincolo della mascherina all'aperto. Le due condizioni saranno essere all'esterno e senza assembramenti. Ieri sera, suggerendo l'eliminazione dell'obbligo di indossare il dispositivo di protezione di naso e bocca a partire, con ogni probabilità dal 28 giugno quando, con l'ingresso in zona bianca della Val d'Aosta, tutta la Penisola sarà nell'area a minori restrizioni, il Comitato di esperti ha dimostrato ancora una volta di seguire la politica, non convinzioni scientifiche.
Aver voluto mantenere per mesi la regola del dispositivo di protezione individuale in ogni situazione, spazio aperto o chiuso che fosse, è così sembrata un'ostinazione dei tecnici, più che una misura sanitaria utile ai cittadini. Altrimenti si sarebbero pronunciati per il mantenimento dell'obbligo senza aspettare tre giorni a non decidere. L'altra ipotesi in campo è quella del 5 luglio, che consentirebbe di aspettare un altro monitoraggio del venerdì precedente, per verificare se la curva epidemiologica non subisce scossoni a causa della variante delta, e inoltre, darebbe altri giorni di vantaggio alla campagna vaccinale. Toccherà al governo prendere la decisione, il Cts non si è preso la responsabilità di scegliere la data.
«Se i numeri continueranno ad andare nella direzione che hanno preso si potrà aprire una riflessione», dichiarava con grande cautela il 21 maggio Franco Locatelli, coordinatore del Cts e presidente del Consiglio superiore di sanità, senza sbilanciarsi sull'orizzonte temporale. «Si può parlarne dopo la metà di luglio, prima è largamente prematuro», affermava ai primi di giugno, sostenendo che «va valorizzato il ruolo delle mascherine in generale per prevenire le infezioni respiratorie. Non sono così limitanti del nostro stile di vita».
Di tutt'altro parere sono numerosi esperti come Scott Gottlieb, ex capo della Fda, l'agenzia federale statunitense per gli alimenti e i farmaci, che già ad aprile parlava di «obbligo non più necessario». Un articolo di revisione pubblicato su The Journal of infectious diseases dai ricercatori dell'Università della California, San Francisco, ha scoperto che meno del 10% della trasmissione avviene all'aperto e le probabilità di diffusione del virus all'interno erano 19 volte superiori.
La lista dei pareri scientifici favorevoli al non obbligo all'aperto è lunga, pochi giorni fa anche Alberto Zangrillo, primario di anestesia al San Raffaele di Milano, ha detto che fuori dagli spazi chiusi i dispositivi «non hanno alcun senso», non servono più. Il sottosegretario alla Salute, Pierpaolo Sileri, prima della riunione del Cts ieri ipotizzava un fine obbligo a partire «dal 1 luglio. A patto di tenere la mascherina sempre in tasca e rimetterla in caso di assembramenti o se si entra in un luogo chiuso. E monitorando con attenzione la variante delta», si raccomandava. «Oltre alla Spagna, molti Paesi hanno tolto la mascherina all'aperto», aveva ricordato il presidente del Consiglio, annunciando che avrebbe fatto la richiesta al Cts tramite il ministro della Salute. Speranza, benché da sempre contrario alla fine dell'imbavagliamento, è stato così costretto a chiedere ai tecnici il parere formale «relativamente alle modalità e ai termini della permanenza dell'obbligo di indossare i dispositivi di protezione delle vie respiratorie all'aperto».
In Gran Bretagna la mascherina all'aperto non è mai stata obbligatoria, se si rispetta il distanziamento, la Francia l'ha abolita il 17 giugno, la Spagna toglierà il divieto da sabato prossimo. Ieri sul Foglio, l'ex direttore generale dell'Aifa, Luca Pani, metteva in guardia su quanti «valutano e deliberano» pur in assenza di informazioni certe, perché molti dati non sono «a disposizione di quella comunità scientifica che si vuole sostituire ai regolatori, non è il suo mestiere. Non lo sarà mai», affermava il professore che oggi vive negli Stati Uniti. Nel «mucchio» rientrano i virologi che si atteggiano a opinionisti di Covid e vaccini, ma anche il Cts della cui inutilità da troppo tempo abbiamo conferme.
Le nuove regole prevedranno comunque l'obbligo di portare con sé la mascherina e indossarla quando, anche all'aperto, non sarà possibile mantenere la distanza interpersonale. Il dispositivo di protezione andrà sempre tenuto nei luoghi chiusi come negozi, bar e i ristoranti, cinema e musei, su treni e aerei e quando si sale sui mezzi pubblici. Ieri, intanto, l'Alto Adige si è portato avanti. Nel primo giorno di ingresso in fascia bianca, la provincia autonoma ha tolto coprifuoco e l'obbligo di indossare la mascherina all'aperto, anche se molte persone hanno continuato a girare con il dispositivo di protezione ben aderente al volto.
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Ecco i dati del danno fatto da Roberto Speranza: quasi mezzo milione di inoculazioni in meno per il caos Astrazeneca. I pediatri italiani spingono per l'immunizzazione completa degli over 12 malgrado mezzo mondo sia scettico.Di fronte al pressing per l'addio all'obbligo di protezioni all'esterno, gli «esperti» perdono tre giorni per poi lavarsene le mani: via libera, ma la data definitiva sarà scelta dal governo. L'imposizione potrebbe cadere già da lunedì prossimo o dal 5 luglio.Lo speciale contiene due articoli.È ufficiale: i pediatri italiani si esprimono a favore del vaccino anti Covid per tutti i bambini e gli adolescenti dai 12 anni in su. Nel documento pubblicato ieri, il consiglio direttivo della Società italiana di pediatria (Sip) ha raccomandato «in linea con le vigenti raccomandazioni ministeriali, la vaccinazione Covid-19 per tutti i bambini e gli adolescenti di età pari o superiore a 12 anni privi di controindicazioni per gli specifici vaccini autorizzati per età». Va bene «qualsiasi vaccino» approvato dall'Agenzia italiana del farmaco (Aifa) e da quella europea (Ema), purché inoculato «secondo i tempi e le modalità di somministrazione previsti per le specifiche fasce d'età». La scelta palesata ieri, in realtà, era nell'aria già da tempo. «Sono completamente a favore alla vaccinazione per la fascia 12-15 anni, in quanto certamente daremo loro i vantaggi della protezione individuale e quelli di proteggere chi hanno intorno», affermava un paio di settimane fa la dottoressa Annamaria Staiano, presidente della Sip. Posizione condivisa da Alberto Villani, responsabile di pediatria generale e malattie infettive al Bambin Gesù, ex presidente della Sip e già membro del Cts. «La responsabilità dei genitori è enorme», così Villani in un'intervista rilasciata all'inizio di giugno ad Avvenire, «chi può avere la certezza che il proprio bimbo non sarà tra i - pur pochi - casi gravi di Covid?». E nelle ultime dichiarazioni rilasciate alla stampa, i vertici della Sip non fanno mistero di puntare a breve anche agli under 12.Ma è proprio guardando ai numeri snocciolati dagli stessi pediatri che viene da farsi più di una domanda sull'opportunità di somministrare il siero indiscriminatamente anche ai ragazzi sotto i 18 anni. Nel nostro Paese, nella fascia compresa tra 0 e 9 anni i casi sono stati il 5,5%, mentre in quella tra i 10 e i 19 anni la percentuale sale al 9,6%. Complessivamente, dunque, solo 15 casi su 100 hanno riguardato individui minorenni. Senza voler sminuire il valore di ogni singola vita umana sono pochissimi, appena 26, i decessi fatti registrare tra i più giovani. «Si trattava nella maggior parte dei casi di bambini fragili», confessa lo stesso Villani nella conversazione con Avvenire, «con patologie pregresse e comorbidità». Una considerazione ribadita anche dal documento pubblicato ieri dalla Sip, nel quale i pediatri ammettono in effetti che «la fascia pediatrica dai 12 anni in su risulta essere tra quelle meno colpite dal Sars-CoV-2». E allora, perché vaccinare? Primo elemento: «Recenti evidenze scientifiche hanno dimostrato in tale fascia d'età la presenza di gravi complicanze renali o di complicanze multisistemiche, anche ben al di là della ben codificata Mis-c (sindrome infiammatoria riscontrata più frequentemente nei bambini positivi al coronavirus, ndr), conseguenti a un'infezione pauci o asintomatica». Secondo, perché «in termini di sanità pubblica, la fascia di età pediatrica e adolescenziale può fungere da serbatoio per la diffusione del virus nell'intera popolazione». Spiace dirlo, ma le motivazioni espresse nel documento pubblicato ieri dalla Società italiana di pediatria non convincono. Non solo perché, dati alla mano, le fasce d'età più giovani sono quelle meno interessate dalle conseguenze del virus, e quindi sulla carta meno urgenti da vaccinare. Cosa più importante, non viene citato nessuno studio citato a favore della vaccinazione dei più piccoli, forse perché è ancora troppo presto per esprimere una parola definitiva sull'argomento. Non manca invece, tra le righe, un tono che definire sibillino è poco. Prima, quando si lega la possibilità di «beneficiare di una prossima apertura dell'anno scolastico in sicurezza» alla «tempestività del raggiungimento delle alte coperture vaccinali». Più avanti, quando quasi sarcasticamente si parla di «guidare gli adolescenti e le loro famiglie verso un percorso vaccinale libero e consapevole». Spiritosi questi pediatri a parlare di libertà dopo tutto questo pressing. Per il resto ci si imbatte in concetti piuttosto vaghi, come quando si afferma che «seppur l'obiettivo primario della vaccinazione è quello di non sviluppare la malattia, l'opportunità di implementare un'offerta vaccinale universale aiuterà notevolmente a ridurre non solo la circolazione dello stesso virus, ma soprattutto il rischio di generare varianti potenzialmente più contagiose o capaci di ridurre l'efficacia degli stessi vaccini in uso». Concetto che cozza con la recente diffusione del virus mutato anche in Paesi con una percentuale di vaccinati molto più alta della nostra. Oppure in coda al testo, dove i pediatri pur affermando di condividere «l'offerta vaccinale Covid-19 limitata solo a pazienti pediatrici con malattie pregresse», non ritengono «tale approccio valido ed efficace per contrastare l'attuale pandemia, che necessita piuttosto di un intervento vaccinale globale, in tutte le età e in tutti i Paesi del mondo».Non la pensano così altrove. Cauti i tedeschi, con la commissione permanente sui vaccini (Stiko) che in Germania si è espressa contro la raccomandazione per i soggetti tra i 12 e i 17 anni senza patologie pregresse. Pochi giorni fa, in Danimarca sono stati gli stessi pediatri a porre un freno all'entusiasmo dell'Autorità per la salute: «Mancano le conoscenze per valutare l'impatto su questa fascia d'età». Senza contare l'appello lanciato a maggio dall'Organizzazione mondiale della sanità. «Non vaccinate i bambini e ragazzi, ma date le loro dosi a Covax», il programma internazionale per fornire i vaccini ai Paesi più poveri.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/vaccinazioni-inceppano-puntano-aghi-bimbi-2653484284.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="mascherine-il-cts-decide-di-non-decidere" data-post-id="2653484284" data-published-at="1624334270" data-use-pagination="False"> Mascherine, il Cts decide di non decidere Le bacchettate del premier Draghi al ministro Speranza e al Cts hanno sortito un doppio effetto. La vaccinazione eterologa non è più un obbligo, perciò gli under 60 possono scegliere di fare anche la seconda dose con Astrazeneca, e ha i giorni contati il vincolo della mascherina all'aperto. Le due condizioni saranno essere all'esterno e senza assembramenti. Ieri sera, suggerendo l'eliminazione dell'obbligo di indossare il dispositivo di protezione di naso e bocca a partire, con ogni probabilità dal 28 giugno quando, con l'ingresso in zona bianca della Val d'Aosta, tutta la Penisola sarà nell'area a minori restrizioni, il Comitato di esperti ha dimostrato ancora una volta di seguire la politica, non convinzioni scientifiche. Aver voluto mantenere per mesi la regola del dispositivo di protezione individuale in ogni situazione, spazio aperto o chiuso che fosse, è così sembrata un'ostinazione dei tecnici, più che una misura sanitaria utile ai cittadini. Altrimenti si sarebbero pronunciati per il mantenimento dell'obbligo senza aspettare tre giorni a non decidere. L'altra ipotesi in campo è quella del 5 luglio, che consentirebbe di aspettare un altro monitoraggio del venerdì precedente, per verificare se la curva epidemiologica non subisce scossoni a causa della variante delta, e inoltre, darebbe altri giorni di vantaggio alla campagna vaccinale. Toccherà al governo prendere la decisione, il Cts non si è preso la responsabilità di scegliere la data. «Se i numeri continueranno ad andare nella direzione che hanno preso si potrà aprire una riflessione», dichiarava con grande cautela il 21 maggio Franco Locatelli, coordinatore del Cts e presidente del Consiglio superiore di sanità, senza sbilanciarsi sull'orizzonte temporale. «Si può parlarne dopo la metà di luglio, prima è largamente prematuro», affermava ai primi di giugno, sostenendo che «va valorizzato il ruolo delle mascherine in generale per prevenire le infezioni respiratorie. Non sono così limitanti del nostro stile di vita». Di tutt'altro parere sono numerosi esperti come Scott Gottlieb, ex capo della Fda, l'agenzia federale statunitense per gli alimenti e i farmaci, che già ad aprile parlava di «obbligo non più necessario». Un articolo di revisione pubblicato su The Journal of infectious diseases dai ricercatori dell'Università della California, San Francisco, ha scoperto che meno del 10% della trasmissione avviene all'aperto e le probabilità di diffusione del virus all'interno erano 19 volte superiori. La lista dei pareri scientifici favorevoli al non obbligo all'aperto è lunga, pochi giorni fa anche Alberto Zangrillo, primario di anestesia al San Raffaele di Milano, ha detto che fuori dagli spazi chiusi i dispositivi «non hanno alcun senso», non servono più. Il sottosegretario alla Salute, Pierpaolo Sileri, prima della riunione del Cts ieri ipotizzava un fine obbligo a partire «dal 1 luglio. A patto di tenere la mascherina sempre in tasca e rimetterla in caso di assembramenti o se si entra in un luogo chiuso. E monitorando con attenzione la variante delta», si raccomandava. «Oltre alla Spagna, molti Paesi hanno tolto la mascherina all'aperto», aveva ricordato il presidente del Consiglio, annunciando che avrebbe fatto la richiesta al Cts tramite il ministro della Salute. Speranza, benché da sempre contrario alla fine dell'imbavagliamento, è stato così costretto a chiedere ai tecnici il parere formale «relativamente alle modalità e ai termini della permanenza dell'obbligo di indossare i dispositivi di protezione delle vie respiratorie all'aperto». In Gran Bretagna la mascherina all'aperto non è mai stata obbligatoria, se si rispetta il distanziamento, la Francia l'ha abolita il 17 giugno, la Spagna toglierà il divieto da sabato prossimo. Ieri sul Foglio, l'ex direttore generale dell'Aifa, Luca Pani, metteva in guardia su quanti «valutano e deliberano» pur in assenza di informazioni certe, perché molti dati non sono «a disposizione di quella comunità scientifica che si vuole sostituire ai regolatori, non è il suo mestiere. Non lo sarà mai», affermava il professore che oggi vive negli Stati Uniti. Nel «mucchio» rientrano i virologi che si atteggiano a opinionisti di Covid e vaccini, ma anche il Cts della cui inutilità da troppo tempo abbiamo conferme. Le nuove regole prevedranno comunque l'obbligo di portare con sé la mascherina e indossarla quando, anche all'aperto, non sarà possibile mantenere la distanza interpersonale. Il dispositivo di protezione andrà sempre tenuto nei luoghi chiusi come negozi, bar e i ristoranti, cinema e musei, su treni e aerei e quando si sale sui mezzi pubblici. Ieri, intanto, l'Alto Adige si è portato avanti. Nel primo giorno di ingresso in fascia bianca, la provincia autonoma ha tolto coprifuoco e l'obbligo di indossare la mascherina all'aperto, anche se molte persone hanno continuato a girare con il dispositivo di protezione ben aderente al volto.
(Apple Tv)
Non è affatto detto che sia così perché, dietro l’obiettivo di rovesciare le formule della fantascienza, si nasconde l’ambizione di una riflessione sul rapporto tra benessere collettivo e libertà individuale, tra felicità globale e identità personale. Il tutto proposto con grande cura formale, ottime musiche e qualche lungaggine autoriale. Possibili, lontani, riferimenti: Lost, per i prologhi spiazzanti e i flashback, Truman Show, per la solitudine e l’apparenza stranianti, Black Mirror, per la cornice distopica. Ma la mano dell’ideatore è inconfondibile.
Ci troviamo ad Albuquerque, la città del New Mexico già teatro dei precedenti plot di Gilligan, ma stavolta la vicenda è tutt’altra. Siamo in un futuro progredito e un certo rigore si è già radicato nella quotidianità. Per esempio, l’avviamento delle auto di ultima generazione è collegato alla prova di sobrietà del palloncino: se si è stati al pub, l’auto non parte. Individuato da un gruppo di astronomi, un virus Rna proveniente dallo spazio, trasmesso in laboratorio da un topo e contagiato tramite baci e alimenti, rende gli esseri umani felici, gentili e samaritani con il prossimo. Le persone agiscono come un’unica mente collettiva, ma non a causa di un’invasione aliena, tipo L’invasione degli ultracorpi, bensì per il fatto che «noi siamo noi», garantisce un politico che parla dalla Casa Bianca, anche se non è il presidente. «Gli scienziati hanno creato in laboratorio una specie di virus, più precisamente una colla mentale capace di tenerci legati tutti insieme». In questo mondo, non esiste il dolore, non si registrano reati, le prigioni sono vuote, le strade non sono mai congestionate, regna la pace. Tutto è perfetto e patinato, perché la contraddizione non esiste. Debellata, dietro una maschera suadente. La colla mentale dispone alla benevolenza e alla correttezza le persone. Che però non possono scegliere, ma agire solo in base a un «imperativo genetico». Soltanto 12 persone in tutto il Pianeta sono immuni al contagio. Ma mentre undici sembrano disposte a recepirlo, l’unica che si ribella è Carol Sturka (Reha Seehorn), una scrittrice di romanzi per casalinghe sentimentali. Cinica, diffidente, omosex e discretamente testarda, malgrado vicini, conoscenti e certi soccorritori ribadiscano le loro buone intenzioni - «vogliamo solo renderti felice» - lei non vuole assimilarsi ed essere rieducata dal virus dei buoni. I quali, ogni volta che lei respinge bruscamente le loro attenzioni, restano paralizzati in strane convulsioni, alimentando i suoi sensi di colpa. Il prezzo della libertà è una solitudine sterminata, addolcita dal fatto che, componendo un numero di telefono, può vedere esaudito ogni desiderio: cibi speciali, cene su terrazze panoramiche, giornate alle terme, Rolls Royce fiammanti. Quando si imbatte in qualche complicazione è immediatamente soccorsa da Zosia (Karolina Wydra), volto seducente della mente collettiva, o da un drone, tempestivo nel recapitarle a domicilio la più bizzarra delle richieste. A Carol è anche consentito di interagire con gli altri umani esenti dal contagio. Che però non condividono il suo progetto di ribellione alla felicità coatta: tocca a noi riparare il mondo. «Perché? La situazione sembra ideale, non ci sono guerre, viviamo tranquilli», ribatte un viveur che sfrutta ogni lusso e privilegio concesso dalla mente collettiva.
L’idea di questa serie risale a circa otto o nove anni fa, ha raccontato Gilligan in un’intervista. «In quel periodo io e Peter Gould (il suo principale collaboratore, ndr.) avevamo iniziato a lavorare a Better Call Saul e ci divertivamo parecchio. Durante le pause pranzo avevo l’abitudine di vagare nei dintorni dell’ufficio immaginando un personaggio maschile con cui tutti erano gentili. Tutti lo amavano e non importa quanto lui potesse essere scortese, tutti continuavano a trattarlo bene». Poi, nella ricerca del perché di questa inspiegabile gentilezza, la storia si è arricchita e al posto di un protagonista maschile si è imposta la figura della scrittrice interpretata da Reha Seehorn, già nel cast di Better Call Saul. Su di lei, a lungo sola in scena, si regge lo sviluppo del racconto. A un certo punto, provata dalla solitudine, ma senza voler smettere d’indagare anche perché incoraggiata dalle prime inquietanti scoperte, Carol cambia strategia, smorzando la sua ostilità…
Il titolo della serie deriva da «E pluribus unum», cioè «da molti, uno», antico motto degli Stati Uniti, proposto il 4 luglio 1776 per simboleggiare l’unione delle prime 13 colonie in una sola nazione. Gilligan ha trasferito la suggestione di quel motto a una dimensione esistenziale e filosofica, inscenando una sorta di apocalisse dolce per riflettere sulla problematica convivenza tra singolo e collettività. Per questo, in origine, Plur1bus era scritto con l’1 al posto della «i».
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Emmanuel Macron (Ansa)
La sola istanza che ha una parvenza di rappresentanza è il Palamento europeo. Così il Mercosur, il mega accordo commerciale con Brasile, Argentina, Uruguay e Paraguay, più annessi, che deve creare un’area di libero scambio da 700 milioni di persone che Ursula von der Leyen vuole a ogni costo per evitare che Javier Milei faccia totalmente rotta su Donald Trump, che il Brasile si leghi con la Cina e che l’Europa dimostri la sua totale ininfluenza, rischia di crollare e di portarsi dietro, novello Sansone, i filistei dell’eurocrazia.
Il Mercosur ieri ha fatto due passi indietro. Il Parlamento europeo con ampia maggioranza (431 voti a favore Pd in prima fila, 161 contrari e 70 astensioni, Ecr-Fratelli d’Italia fra questi, i lepenisti e la Lega hanno votato contro) ha messo la Commissione con le spalle al muro. Il Mercosur è accettabile solo se ci sono controlli stringenti sui requisiti ambientali, di benessere animale, di salubrità, di rispetto etico e di sicurezza alimentare dei prodotti importati (è la clausola di reciprocità), se c’è una clausola di salvaguardia sulle importazioni di prodotti sensibili tra cui pollame o carne bovina. Se l’import aumenta del 5% su una media triennale si torna ai dazi. Le indagini devono essere fatte al massimo in tre mesi e la sospensione delle agevolazioni deve essere immediata. Tutti argomenti che la Von der Leyen mai ha inserito nell’accordo. Ma sono comunque sotto il minimo sindacale richiesto da Polonia, Ungheria e Romania che sono contrarie da sempre e richiesto ora dalla Francia che ha detto: «Così com’è l’accordo non è accattabile».
Sono le stesse perplessità dell’Italia. Oggi la Commissione dovrebbe incontrare il Consiglio europeo per avviare la trattativa e andare, come vuole Von der Leyen, alla firma definitiva prima della fine dell’anno. La baronessa aveva già prenotato il volo per Rio per domani, ma l’hanno bloccata all’imbarco! Perché Parigi chiede la sospensione della trattativa. La ragione è che gli agricoltori francesi stanno bloccando il Paese: ieri le quattro principali autostrade sono state tenute in ostaggio da trattori che sono tornati a scaricare il letame sulle prefetture. Il primo ministro Sébastien Lecornu ha tenuto un vertice sul Mercosur incassando un no deciso da Jean-Luc Mélenchon, da Marine Le Pen ma anche dai repubblicani di Bruno Retailleau che è anche ministro dell’interno.
Domani, peraltro, a Bruxelles sono attesi almeno diecimila agricoltori- la Coldiretti è la prima a sostenere questa manifestazione - che con un migliaio di trattori assedieranno Bruxelles. L’Italia riflette, ma è invitata a fare minoranza di blocco dalla Polonia; la Francia vuole una mano per il rinvio. Certo che il Mercosur divide: la Coldiretti ha rimproverato il presidente di Federalimentare Paolo Mascarino che invece vuole l’accordo (anche l’Unione italiana vini spinge) di tradire la causa italiana. Chi invece vuole il Mercosur a ogni costo sono la Germania che deve vendere le auto che non smercia più (grazie al Green deal), la Danimarca che ha la presidenza di turno e vuole lucrare sull’import, l’Olanda che difende i suoi interessi commerciali e finanziari.
C’è un’evidente frattura tra l’Europa che fa agricoltura e quella che vuole usare l’agricoltura come merce di scambio. Le prossime ore potrebbero essere decisive non solo per l’accordo - comunque deve passare per la ratifica finale dall’Eurocamera - ma per i destini dell’Ue.
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Ursula von der Leyen (Ansa)
Questo allentamento delle norme consente che nuove auto con motore a combustione interna possano ancora essere immatricolate nell’Ue anche dopo il 2035. Non sono previste date successive in cui si arrivi al 100% di riduzione delle emissioni. Il presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, ha naturalmente magnificato il ripensamento della Commissione, affermando che «mentre la tecnologia trasforma rapidamente la mobilità e la geopolitica rimodella la competizione globale, l’Europa rimane in prima linea nella transizione globale verso un’economia pulita». Ursula 2025 sconfessa Ursula 2022, ma sono dettagli. A questo si aggiunge la dichiarazione del vicepresidente esecutivo Stéphane Séjourné, che ha definito il pacchetto «un’ancora di salvezza per l’industria automobilistica europea». Peccato che, in conferenza stampa, a nessuno sia venuto in mente di chiedere a Séjourné perché si sia arrivati alla necessità di un’ancora di salvezza per l’industria automobilistica europea. Ma sono altri dettagli.
L’autorizzazione a proseguire con i motori a combustione (inclusi ibridi plug-in, mild hybrid e veicoli con autonomia estesa) è subordinata a condizioni stringenti, perché le emissioni di CO2 residue, quel 10%, dovranno essere compensate. I meccanismi di compensazione sono due: 1) utilizzo di e-fuel e biocarburanti fino a un massimo del 3%; 2) acciaio verde fino al 7% delle emissioni. Il commissario Wopke Hoekstra ha spiegato infatti che la flessibilità è concessa a patto che sia «compensata con acciaio a basse emissioni di carbonio e l’uso di combustibili sostenibili per abbattere le emissioni».
Mentre Bruxelles celebra questa minima flessibilità come una vittoria per l’industria, il mondo reale offre un quadro ben più drammatico. Ieri Volkswagen ha ufficialmente chiuso la sua prima fabbrica tedesca, la Gläserne Manufaktur di Dresda, che produceva esclusivamente veicoli elettrici (prima la e-Golf e poi la ID.3). Le ragioni? Il rallentamento delle vendite di auto elettriche. La fabbrica sarà riconvertita in un centro di innovazione, lasciando 230 dipendenti in attesa di ricollocamento. Dall’altra parte dell’Atlantico, la Ford Motor Co. ha annunciato che registrerà una svalutazione di 19,5 miliardi di dollari legata al suo business dei veicoli elettrici. L’azienda ha perso 13 miliardi nel suo settore Ev dal 2023, perdendo circa 50.000 dollari per ogni veicolo elettrico venduto l’anno scorso. Ford sta ora virando verso ibridi e veicoli a benzina, eliminando il pick-up elettrico F-150 Lightning.
La crisi dell’auto europea non si risolve certo con questa trovata dell’ultima ora. Nonostante gli sforzi e i supercrediti di CO2 per le piccole auto elettriche made in Eu, la domanda di veicoli elettrici è debole. Questa nuova apertura, ottenuta a fatica, non sarà sufficiente a salvare il settore automobilistico europeo di fronte alla concorrenza cinese e al disinteresse dei consumatori. Sarebbe stata più opportuna un’eliminazione radicale e definitiva dell’obbligo di zero emissioni per il 2035, abbracciando una vera neutralità tecnologica (che includa ad esempio i motori a combustione ad alta efficienza di cui parlava anche il cancelliere tedesco Friedrich Merz). «La Commissione oggi fa un passo avanti verso la razionalità, verso il mercato, verso i consumatori ma servirà tanto altro per salvare il settore. Soprattutto servirà una Commissione che non chiuda gli occhi davanti all’evidenza», ha affermato l’assessore allo Sviluppo economico di Regione Lombardia Guido Guidesi, anche presidente dell’Automotive Regions Alliance. La principale federazione automobilistica tedesca, la Vda, ha detto invece che la nuova linea di Bruxelles ha il merito di riconoscere «l’apertura tecnologica», ma è «piena di così tanti ostacoli che rischia di essere inefficace nella pratica». Resta il problema della leggerezza con cui a Bruxelles si passa dalla definizione di regole assurde e impraticabili al loro annacquamento, dopo che danni enormi sono stati fatti all’industria e all’economia. Peraltro, la correzione di rotta non è affatto un liberi tutti. La riduzione del 100% delle emissioni andrà comunque perseguita al 90% con le auto elettriche. «Abbiamo valutato che questa riduzione del 10% degli obiettivi di CO2, dal 100% al 90%, consentirà flessibilità al mercato e che circa il 30-35% delle auto al 2035 saranno non elettriche, ma con tecnologie diverse, come motori a combustione interna, ibridi plug-in o con range extender» ha detto il commissario europeo ai Trasporti Apostolos Tzizikostas in conferenza stampa. Può darsi che sarà così, ma il commissario greco si è dimenticato di dire che quasi certamente si tratterà di auto cinesi.
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(Totaleu)
Lo ha dichiarato l'europarlamentare di Fratelli d'Italia durante un'intervista a margine dell’evento «Con coraggio e libertà», dedicato alla figura del giornalista e reporter di guerra Almerigo Grilz.