2021-10-12
Usano gli scontri per blindare il certificato
Enrico Letta (Antonio Masiello/Getty Images)
Modificare le norme sul lasciapassare prima del 15 ottobre sarebbe possibile. Ma, da sabato, i pasdaran del pass sbandierano l'allarme fascismo per negare ogni correzione. Come se gli aggiustamenti fossero un favore ai violenti e non a milioni di lavoratori.Diciamolo in modo oggettivo, fattuale, senza bisogno di ricorrere a complottismi o retropensieri: la torsione improvvisa determinatasi nel pomeriggio di sabato scorso ha rappresentato l'equivalente della manna dal cielo per i legionari del greenpass, per i pasdaran del lasciapassare. Fino alle 17 di sabato, stava infatti montando una ragionevolissima richiesta di modifica del provvedimento sulla carta verde: con dichiarazioni a gran voce da parte degli industriali preoccupati per l'inapplicabilità della misura; con appelli politici molto ben costruiti anche da parte di governatori regionali (in testa Luca Zaia e Massimiliano Fedriga) che nelle settimane precedenti si erano spesi a difesa del lasciapassare; e soprattutto con una manifestazione nazionale (a Roma, a Piazza del Popolo) che era stata immensa per partecipazione ed esemplare per compostezza. Poi, d'improvviso, la performance squadristica di Forza Nuova e l'assalto alla sede della Cgil hanno completamente cambiato lo scenario politico e mediatico: consentendo una (intellettualmente disonesta) «fascistizzazione» di tutta la manifestazione, e permettendo di obliterare, di cassare, di annullare qualunque dibattito sulla possibile correzione dell'ultimo decreto green pass. La Verità aveva spiegato in dettaglio come fare, in presenza di un minimo di volontà politica. Prima strada: una maratona parlamentare tra Camera e Senato per convertire il decreto già in vigore, inserendo subito, entro il 15 ottobre, tutte le modifiche o almeno le attenuazioni necessarie (senza usare tutti i 60 giorni che la Costituzione assegnerebbe alle Camere per trasformare in legge un decreto-legge). Seconda strada (ancora più semplice e lineare): un nuovo decreto-legge varato dal governo prima del 15 ottobre inserendo i cambiamenti indispensabili. Quanto alle modifiche da effettuare, il ventaglio delle possibilità di intervento era e resta tuttora molto ampio: dalla richiesta massimale (abolire tout court la necessità del lasciapassare per lavorare) a quella più limitata (portare a tre giorni la validità del tampone), passando per ipotesi intermedie ad alta probabilità di rivelarsi efficaci e risolutive, come l'apertura alla gratuità e alla più larga utilizzabilità possibile dei tamponi rapidi (nasali o salivari).E invece? Grazie all'«emergenza fascismo», tutto d'un tratto, da sabato sera in poi, la formula ripetuta dagli uomini dell'esecutivo, ossessivamente, quasi come un mantra, è diventata: «Il governo non arretra». Come se impedire il caos sul green pass fosse un cedimento, un favore a Forza Nuova, e non una indispensabile correzione di rotta rispetto al vicolo cieco in cui l'Italia (unico paese al mondo a chiedere il green pass per lavorare) si è infilata. Il primo a dettare la linea, neanche a dirlo, è stato Roberto Speranza ospite di «Che tempo che fa» su Rai tre, lesto a respingere perfino la richiesta minima avanzata da Matteo Salvini, e cioè l'estensione della validità del tampone da 48 a 72 ore. Ecco il ministro della Salute: «Il green pass a 72 ore? Penso che per ora dobbiamo lasciarlo così com'è e poi valutare se adattarlo. Abbiamo scelto questo impianto». E ancora: «Faremo una valutazione di questo impianto, ma il green pass è uno strumento di libertà, ci consente di tornare a vivere, di avere più spazi dove stare insieme». Come se fossimo dinanzi alle tavole della legge, qualcosa di sacro e immodificabile. Di più. Dopo l'improvvido accenno di Forza Italia all'ipotesi dell'obbligo vaccinale, ci ha pensato Enrico Letta a rilanciare questa eventualità ancora più estrema: «Se non c'è la possibilità di gestire con buon senso l'obbligo di green pass, e la tensione che si è creata in questi giorni lascia intendere che questo buon senso non sia sufficiente, allora forse bisognerà finire sull'extrema ratio, che è l'obbligo vaccinale. Ho sempre pensato che si dovesse fare tutto il possibile per evitare di arrivare lì in fondo, però effettivamente l'extrema ratio c'è».La sensazione è che nessuno sia così irragionevole da pensare davvero (oggi è 12 ottobre, e siamo solo a tre giorni dal 15) di immaginare una misura ancora più illiberale. L'impressione è che, cinicamente, il gioco sia quello di ventilare una misura ancora più dura per far passare le norme sul green pass attualmente vigenti come una sorta di mediazione, come un compromesso «accettabile».Ma si tratta di calcoli politici che sottovalutano l'impatto della dura realtà: quando alcuni milioni di italiani rischieranno, tra appena 72 ore, di essere esclusi dal circuito del lavoro e dalla possibilità stessa di portare il pane a casa, le tensioni cresceranno ancora. E non sarà facile attribuirne la colpa a Forza Nuova.
Giorgia Meloni (Ansa)
Alla vigilia del Consiglio europeo di Bruxelles, Giorgia Meloni ha riferito alle Camere tracciando le priorità del governo italiano su difesa, Medio Oriente, clima ed economia. Un intervento che ha confermato la linea di continuità dell’esecutivo e la volontà di mantenere un ruolo attivo nei principali dossier internazionali.
Sull’Ucraina, la presidente del Consiglio ha ribadito che «la nostra posizione non cambia e non può cambiare davanti alle vittime civili e ai bombardamenti russi». L’Italia, ha spiegato, «rimane determinata nel sostenere il popolo ucraino nell’unico intento di arrivare alla pace», ma «non prevede l’invio di soldati nel territorio ucraino». Un chiarimento che giunge a pochi giorni dal vertice dei «volenterosi», mentre Meloni accusa Mosca di «porre condizioni impossibili per una seria iniziativa di pace».
Ampio spazio è stato dedicato alla crisi in Medio Oriente. La premier ha definito «un successo» il piano in venti punti promosso dal presidente americano Donald Trump, ringraziando Egitto, Qatar e Turchia per l’impegno diplomatico. «La violazione del cessate il fuoco da parte di Hamas dimostra chi sia il vero nemico dei palestinesi, ma non condividiamo la rappresaglia israeliana», ha affermato. L’Italia, ha proseguito, «è pronta a partecipare a una eventuale forza internazionale di stabilizzazione e a sostenere l’Autorità nazionale palestinese nell’addestramento delle forze di polizia». Quanto al riconoscimento dello Stato di Palestina, Meloni ha chiarito che «Hamas deve accettare di non avere alcun ruolo nella governance transitoria e deve essere disarmato. Il governo è pronto ad agire di conseguenza quando queste condizioni si saranno materializzate». In quest’ottica, ha aggiunto, sarà «opportuno un passaggio parlamentare» per definire i dettagli del contributo italiano alla pace.
Sul piano economico e della difesa, la premier ha ribadito la richiesta di «rendere permanente la flessibilità del Patto di stabilità e crescita» per gli investimenti militari, sottolineando che «il rafforzamento della difesa europea richiede soluzioni finanziarie più ambiziose». Ha poi rivendicato i recenti riconoscimenti del Fondo monetario internazionale e delle agenzie di rating, affermando che «l’Italia torna in Serie A» e «si presenta in Europa forte di una stabilità politica rara nella storia repubblicana».
Nel passaggio ambientale, Meloni ha annunciato che l’Italia «non potrà sostenere la proposta di revisione della legge sul clima europeo» se non accompagnata da «un vero cambio di approccio». Ha definito «ideologico e irragionevole» un metodo che «pone obiettivi insostenibili e rischia di compromettere la credibilità dell’Unione».
Fra i temi che l’Italia porterà in Consiglio, la premier ha citato anche la semplificazione normativa - al centro di una lettera firmata con altri 15 leader europei e indirizzata a Ursula von der Leyen - e le politiche abitative, «a fronte del problema crescente dei costi immobiliari, soprattutto per i giovani». In questo ambito, ha ricordato, «il governo sta lavorando con il vicepresidente Salvini a un piano casa a prezzi calmierati per le giovani coppie».
Nel giorno del terzo anniversario del suo insediamento, Meloni ha infine rivendicato sui social i risultati del governo e ha concluso in Aula con un messaggio politico: «Finché la maggioranza degli italiani sarà dalla nostra parte, andremo avanti con la testa alta e lo sguardo fiero».
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