Le differenze su crescita e prezzi dimostrano che il dirigismo porta la Ue al declino.Gli Stati Uniti innovano, la Cina copia e la Ue mette le regole. Quale dei tre sia il sistema migliore lo dicono i numeri: la Cina si è inchiodata, l’Unione europea cresce con percentuali da prefisso telefonico mentre il Pil degli Stati Uniti sale più del 3%. Nel frattempo l’inflazione scende per il quinto mese consecutivo segnando ad agosto il livello più basso da febbraio 2021. Sta al 2,5% contro il 2,9% di luglio e il 2,6% delle attese. Un andamento cosi vivace rende meno urgente un maxi-taglio dei tassi da parte della Fed (probabilmente non andrà oltre lo 0,25% nella riunione della settimana prossima) mentre la Bce se vuole davvero aiutare l’economia Ue dovrebbe scendere dello 0,5% nella seduta di oggi e poi andare avanti. Non lo farà condannando ancora una volta l’Europa. Bastano queste poche cifre per capire la differenza che corre tra una economia che lascia correre le imprese e le altre due: quella governata da un sistema a partito unico come la Cina o quella diretta a pensiero unico come la Ue. Due giorni fa Bruxelles ha sanzionato Google per abuso di posizione dominante con una multa da 2,4 miliardi ed Apple per i tredici miliardi di aiuti ricevuti dal governo irlandese. Poi ha un bel dire Mario Draghi nel rapporto sulla competitività in Europa ricordando che solo quattro delle 50 aziende tecnologiche più importanti al mondo sono europee e che negli ultimi cinquant'anni non è stata creata alcuna società dell'Ue con una capitalizzazione di mercato superiore a 100 miliardi. Nello stesso periodo sono state create le sei società statunitensi con una valutazione superiore a mille miliardi. Basta questo raffronto per capire qual è il modello vincente. Il Vecchio Continente somiglia sempre di più ad una antica casata nobiliare che dopo essere stata per secoli protagonista della scena politica ed economica mondiale assiste, inerme al proprio declino.Il paragone è ancora più tragico considerando che la crescita Usa avviene con tassi d’interesse ai massimi da 22 anni. Come segnala Jakob Westh Christensen, di eToro: «Il rapporto sull’inflazione è stato a lungo il numero critico, ma di recente è stato superato dalla preoccupazione per il raffreddamento del mercato del lavoro e dalle preoccupazioni per la recessione».I dati della possibile stagnazione, per la verità si avvertono più in Europa che negli Usa. I dati del Pil diffusi da Eurostat sono impietosi. Registrano un aumento del prodotto interno lordo dell'eurozona dello 0,2% nel periodo aprile-giugno, sotto le attese (+0,3%). Rispetto allo stesso periodo dello scorso anno la crescita dell'area dell'euro è dello 0,6%. Numeri che rispecchiano la fase di stagnazione del Vecchio Continente, dove la locomotiva tedesca batte in testa. Tutt’altra storia oltreoceano. Nel secondo trimestre del 2024, il Pil Usa è aumentato dello 0,7% rispetto al trimestre precedente (dopo il +0,4% nel primo trimestre). E nei confronti dello stesso periodo dell’anno precedente, è aumentato del 3,1% (dopo il +2,9% nel trimestre precedente). Numeri quindi superiori di 3-4 volte a confronto con quelli europei. Numeri figli di un maxi piano di investimenti che vale oltre 1000 miliardi e che si confronta con i vari Pnrr degli Stati europei che dovrebbero raggiungere quota 700 miliardi entro i prossimi due anni. La risposta del piano Draghi è gigantesca con un piano d’investimenti da 800 miliardi l’anno finanziati con gli Eurobond. Il percorso è accidentato visto che la Germania ha già fatto sapere che non intende seguire questa strada. Non è però solo una questione di soldi. Nel secondo trimestre del 2024, la produttività è diminuita dello 0,3% nell’area dell’euro ed è rimasta stabile nell’Ue rispetto allo stesso trimestre dell’anno precedente. Proprio la produttività è stato uno dei temi caldi che sono stati sviscerati dal rapportone presentato da Mario Draghi alla Commissione Europea. Che poi venga trovata una soluzione è tutt’altro discorso.
La poetessa russa Anna Achmatova. Nel riquadro il libro di Paolo Nori Non è colpa dello specchio se le facce sono storte (Getty Images)
Nel suo ultimo libro Paolo Nori, le cui lezioni su Dostoevskij furono oggetto di una grottesca polemica, esalta i grandi della letteratura: se hanno sconfitto la censura sovietica, figuriamoci i ridicoli epigoni di casa nostra.
Obbligazionario incerto a ottobre. La Fed taglia il costo del denaro ma congela il Quantitative Tightening. Offerta di debito e rendimenti reali elevati spingono gli operatori a privilegiare il medio e il breve termine.
Alice ed Ellen Kessler nel 1965 (Getty Images)
Invece di cultura e bellezza, la Rai di quegli anni ha promosso spettacoli ammiccanti, mediocrità e modelli ipersessualizzati.
Il principe saudita Mohammad bin Salman Al Sa'ud e il presidente americano Donald Trump (Getty)
Il progetto del corridoio fra India, Medio Oriente ed Europa e il patto difensivo con il Pakistan entrano nel dossier sulla normalizzazione con Israele, mentre Donald Trump valuta gli effetti su cooperazione militare e stabilità regionale.
Le trattative in corso tra Stati Uniti e Arabia Saudita sulla possibile normalizzazione dei rapporti con Israele si inseriscono in un quadro più ampio che comprende evoluzioni infrastrutturali, commerciali e di sicurezza nel Medio Oriente. Un elemento centrale è l’Imec, ossia il corridoio economico India-Medio Oriente-Europa, presentato nel 2023 come iniziativa multinazionale finalizzata a migliorare i collegamenti logistici tra Asia meridionale, Penisola Arabica ed Europa. Per Riyad, il progetto rientra nella strategia di trasformazione economica legata a Vision 2030 e punta a ridurre la dipendenza dalle rotte commerciali tradizionali del Golfo, potenziando collegamenti ferroviari, marittimi e digitali con nuove aree di scambio.
La piena operatività del corridoio presuppone relazioni diplomatiche regolari tra Arabia Saudita e Israele, dato che uno dei tratti principali dovrebbe passare attraverso porti e nodi logistici israeliani, con integrazione nelle reti di trasporto verso il Mediterraneo. Fonti statunitensi e saudite hanno più volte collegato la normalizzazione alle discussioni in corso con Washington sulla cooperazione militare e sulle garanzie di sicurezza richieste dal Regno, che punta a formalizzare un trattato difensivo bilaterale con gli Stati Uniti.
Nel 2024, tuttavia, Riyad ha firmato in parallelo un accordo di difesa reciproca con il Pakistan, consolidando una cooperazione storicamente basata su forniture militari, addestramento e supporto politico. Il patto prevede assistenza in caso di attacco esterno a una delle due parti. I governi dei due Paesi lo hanno descritto come evoluzione naturale di rapporti già consolidati. Nella pratica, però, l’intesa introduce un nuovo elemento in un contesto regionale dove Washington punta a costruire una struttura di sicurezza coordinata che includa Israele.
Il Pakistan resta un attore complesso sul piano politico e strategico. Negli ultimi decenni ha adottato una postura militare autonoma, caratterizzata da un uso esteso di deterrenza nucleare, operazioni coperte e gestione diretta di dossier di sicurezza nella regione. Inoltre, mantiene legami economici e tecnologici rilevanti con la Cina. Per gli Stati Uniti e Israele, questa variabile solleva interrogativi sulla condivisione di tecnologie avanzate con un Paese che, pur indirettamente, potrebbe avere punti di contatto con Islamabad attraverso il patto saudita.
A ciò si aggiunge il quadro interno pakistano, in cui la questione israelo-palestinese occupa un ruolo centrale nel dibattito politico e nell’opinione pubblica. Secondo analisti regionali, un eventuale accordo saudita-israeliano potrebbe generare pressioni su Islamabad affinché chieda rassicurazioni al partner saudita o adotti posizioni più assertive nei forum internazionali. In questo scenario, l’esistenza del patto di difesa apre la possibilità che il suo richiamo possa essere utilizzato sul piano diplomatico o mediatico in momenti di tensione.
La clausola di assistenza reciproca solleva inoltre un punto tecnico discusso tra osservatori e funzionari occidentali: l’eventualità che un’azione ostile verso Israele proveniente da gruppi attivi in Pakistan o da reticolati non statali possa essere interpretata come causa di attivazione della clausola, coinvolgendo formalmente l’Arabia Saudita in una crisi alla quale potrebbe non avere interesse a partecipare. Analoga preoccupazione riguarda la possibilità che operazioni segrete o azioni militari mirate possano essere considerate da Islamabad come aggressioni esterne. Da parte saudita, funzionari vicini al dossier hanno segnalato la volontà di evitare automatismi che possano compromettere i negoziati con Washington.
Sulle relazioni saudita-statunitensi, la gestione dell’intesa con il Pakistan rappresenta quindi un fattore da chiarire nei colloqui in corso. Washington ha indicato come priorità la creazione di un quadro di cooperazione militare prevedibile, in linea con i suoi interessi regionali e con le esigenze di tutela di Israele. Dirigenti israeliani, da parte loro, hanno riportato riserve soprattutto in relazione alle prospettive di trasferimenti tecnologici avanzati, tra cui sistemi di difesa aerea e centrali per la sorveglianza delle rotte commerciali del Mediterraneo.
Riyadh considera la normalizzazione con Israele parte di un pacchetto più ampio, che comprende garanzie di sicurezza da parte statunitense e un ruolo definito nel nuovo assetto economico regionale. Il governo saudita mantiene l’obiettivo di presentare il riconoscimento di Israele come passo inserito in un quadro di stabilizzazione complessiva del Medio Oriente, con benefici economici e infrastrutturali per più Paesi coinvolti. Tuttavia, la gestione del rapporto con il Pakistan richiede una definizione più precisa delle implicazioni operative del patto di difesa, alla luce del nuovo equilibrio a cui Stati Uniti e Arabia Saudita stanno lavorando.
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