Nel riquadro, Nasr Al Din Amer (Ansa)
Il responsabile media degli Huthi Nasr Al Din Amer: «Il prossimo anno avremo missili in grado di coprire lunghe distanze. L’Iran? Alleanza forte, ma non siamo loro subalterni».
Nathania Zevi
L’ antisemitismo, anche se non è mai completamente scomparso, fino al 7 ottobre sembrava sopito, spento. Ci ha messo pochi giorni a riprendere vita, perché il suo seme non è mai stato estirpato definitivamente.
C’era chi se lo aspettava già dall’8 ottobre 2023. All’indomani del massacro di Hamas, i giornalisti più esperti dicevano che sarebbe durata poco, pochissimo, l’empatia che si era sollevata nei confronti del popolo di Israele. Che presto sarebbero arrivati i «ma», i «però», i «se». Era tutto prevedibile e c’è un motivo che spiega molto bene Nathania Zevi, giornalista del Tg1, nel suo libro edito da Rai Libri «Il nemico ideale».
L’antisemitismo non è mai stato superato perché l’odio nei confronti degli ebrei ha radici profonde che oggi si è evoluto in forme nuove ma sempre uguali al passato. Frutto di stereotipi che spingono l’ebreo a difendersi troppo, come scrive l’autrice: «Ancora oggi essere ebrei è difficile e quasi sempre ciò che spinge gli ebrei stessi a una ritrosia a una comunicazione troppo spesso di sola difesa, a una chiusura e a una rappresentazione di se stessi solo attraverso drammi nel passato che in una sorta di cortocircuito rischia di alimentare il pregiudizio».
Sono soprattutto paura e senso di appartenenza, i sentimenti che oggi più uniscono la comunità ebraica nel mondo, il terrore di tornare alle persecuzioni che hanno subito, la certezza di essere fraintesi, mai compresi. Lo si capisce dagli sguardi degli ultimi mesi, l’allerta è costante e via via che sale la tensione in Medio Oriente, automaticamente diventa più difficile anche nel resto del mondo. Ma solo per gli ebrei.
L’antisemitismo oggi lo riconosciamo nelle piazze, ma anche nelle università. Un antisemitismo mascherato da antisionismo. Antisionismo che per altro non esiste più, semplicemente perché non esiste più il sionismo. Israele ha la sua terra, gli antisionisti di oggi semplicemente vogliono che Israele sparisca. «From the river to the sea» è lo slogan dei movimenti pro Pal di piazza, ma non solo, lo ricorda Giuseppe Cruciani moderando la presentazione del libro che si è tenuta il 7 ottobre con l’aiuto delle forze dell’ordine al Teatro Parioli di Roma. Il vero genocidio per Cruciani non è quello che starebbe avvenendo a Gaza, ma quello che gran parte del mondo musulmano, principalmente sciita, ma non solo, vorrebbe per Israele. Ovvero la loro sparizione «from the river to the sea» che significa «la Palestina sarà libera dal fiume al mare». Appunto.
L’ antisemitismo, anche se non è mai completamente scomparso, fino al 7 ottobre sembrava sopito, spento. Ci ha messo pochi giorni a riprendere vita, perché il suo seme non è mai stato estirpato definitivamente. In Italia tra i personaggi di spicco che più hanno dimostrato sentimenti antisemiti mascherati da antisionismo, c’è sicuramente lo Chef Rubio. Su X il 7 ottobre lo commentò così: «Ballare a sfregio su terre occupate e vicino al carcere più grande del mondo comporta conseguenze» ricorda la stessa Zevi sul suo libro. Per l’autrice: «l’esperto di geopolitica e carbonare» pensa che gli ebrei se la siano cercata insomma. «Senza tener conto che i massacri di Hamas sono avvenuti in luoghi non contesi, cioè israeliani dal 1948, elemento che mostra – spiega la giornalista del Tg1 – come interventi simili non abbiano a che fare con legittime aspirazioni a uno Stato del popolo palestinese».
Nel libro l’antisemitismo e le sue forme vengono spiegate bene. Dai social agli stadi, un odio comune a molti Paesi del mondo, radicalizzato, antico. Lo si trova ancora anche nelle scuole. Spesso gli studenti sanno poco o nulla della storia di Israele. Sì, perché oltre alle svastiche sui muri o sui diari, oltre agli episodi di bullismo c’è spesso anche tanta ignoranza. «Ogni volta che mi trovo a parlare nelle scuole c’è sempre qualcuno che alza la mano e dice: Come parla bene l’italiano» racconta Zevi. «Mi tocca rispondere che sono nata a Milano da genitori milanesi, nonni marchigiani e piemontesi». L’autrice infatti spiega l’importanza di far conoscere non solo la Shoah, ma anche la cultura ebraica. «Non bisogna limitarsi a definire un popolo solo attraverso l’esperienza peggiore che gli sia mai capitata, rischiando di incasellarlo in un mondo monodimensionale, nella figura piatta della vittima. Serve la comprensione, oltre alla compassione (che per altro non è sempre garantita)».
La prossima presentazione de «Il nemico ideale» si terrà giovedì 17 ottobre alle 17, presso la Camera di Commercio di Roma. Con l’autrice interverranno la senatrice Liliana Segre, il generale Pasquale Angelosanto e il fondatore della Comunità di Sant’Egidio, Andrea Riccardi. L’incontro sarà moderato dal giornalista Massimo Franco.
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Karima El Mahroug (Ansa)
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