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2023-09-14
Ursula si fa scudo con la faccia di Draghi e la usa contro Letta
Mario Draghi (Getty Images)
Più che l’ultimo discorso sullo stato dell’Unione, quello di ieri da parte di Ursula von der Leyen è sembrato il primo di un nuovo mandato. Non solo per la speranza che l’ex ministro tedesco palesemente serba di fare il bis, ma anche per le carte che ha calato di fronte ai parlamentari. Il tentativo di tenere uniti i popolari e i socialisti, di strizzare gli occhi ai deputati più vicini a Emmanuel Macron, con l’obiettivo di mantenere gli stessi diktat dell’attuale commissione ma senza quella connotazione politica socialdemocratica che ha contraddistinto la maggioranza Ursula uscente. La carta del mazzo più pesante si chiama però Mario Draghi.
La Von der Leyen ha annunciato a sorpresa la decisione di affidare all’ex premier e presidente della Bce il compito di stilare un report «sul futuro della competitività europea». Il presidente della commissione ha sottolineato che per l’Europa sono tre le sfide fondamentali nel prossimo futuro: lavoro, inflazione e contesto imprenditoriale. Sfide che arrivano «in un momento in cui chiediamo anche all’industria di guidare la transizione pulita. Dobbiamo quindi guardare più avanti e definire come rimanere competitivi mentre lo facciamo. Per questo motivo ho chiesto a Mario Draghi - una delle più grandi menti economiche europee - di preparare un rapporto sul futuro della competitività europea». Perché l’Europa farà «whatever it takes per mantenere il suo vantaggio competitivo». Ovviamente il riferimento è alla celebre frase con cui Draghi ha segnato il mandato in Bce e la sua fama di risolutore. Al di là dei contenuti di questo incarico non si può però non notarne la valenza politica. Una in totale antitesi con il consiglio Ue e con il semestre spagnolo in corso. L’altra, invece, di proiezione verso un’Ursula bis con il sostegno di un commissario tecnico primus inter pares. Appunto Draghi. È altrettanto interessante che il primo aspetto dell’analisi, quello che vede il braccio di ferro tra commissione e singoli Stati rappresentati nel consiglio, passa attraverso due figure italiane. Lo scorso 22 luglio Enrico Letta dopo aver lasciato un Pd smembrato nelle mani di Elly Schlein ha ricevuto dalla presidenza di turno spagnola (a guida socialista) l’incarico di redigere un rapporto «strategico» per rilanciare la competitività del mercato unico.
La notizia era stata diffusa dal quotidiano belga Le Soir in un’intervista allo stesso Letta sulla «delicata missione» conferita. Il giornale sottolineava come, «in un momento di cambiamenti decisivi», sulla scia della Brexit e in vista di un altro possibile allargamento (all’Ucraina), il compito di dare una spinta alla competitività della Ue sia «fondamentale».
Rispondendo alle domande del cronista, l’ex segretario dem, oggi presidente dell’Institut Jacques Delors, ha detto che sta «cercando la formula magica per rilanciare il mercato unico europeo». La mirabolante missione lo vedrà in prima linea con il ministro belga all’Economia, il socialista Pierre-Yves Dermagne (Ps), con l’obiettivo di stendere un rapporto da pubblicare a marzo 2024, poco prima delle elezioni per il rinnovo dell’Europarlamento. Un frangente in cui, avvertiva Letta tramite Le Soir, «ci sarà il rischio che i Paesi di dividano» e invece, «l’unità tra di noi è ciò che è importante, ciò che deve venire prima, molto più che marcare le nostre differenze». Pazienza per la frasi di circostanza in cui probabilmente nemmeno Letta crede. A far drizzare le antenne è il termine «competitività». Pilastro dello studio assegnato sia a Letta sia a Draghi. Non è da escludere che i due lavori saranno presentati in contemporanea. Il peso internazionale di Draghi dovrebbe schiacciare l’avversario. Tant’è che ieri anche la Meloni ha salutato l’incarico come una buona notizia: «Spero che in un ruolo del genere possa avere un occhio di riguardo». In contrapposizione alle critiche rivolte a Gentiloni. Il che ci riporta al secondo corno dell’analisi politica.
L’impressione è che la Von der Leyen puntando sull’asso di mister Bce voglia non solo consolidare il primato della commissione, che negli ultimi mesi è stata penalizzata dalle mosse troppo fuori le righe di Frans Timmermans, ma anche aprirsi le strade a nuove e più larghe alleanze. L’uscita di Manfred Weber di ieri riporta l’asse con i socialisti in linea di marcia. D’altra parte serviranno anche i macroniani, ma soprattutto è chiaro che l’intento di un’Ursula bis è quello di mantenere i binari su cui l’attuale commissione ha messo l’Europa. Cambiando il colore della locomotiva e al massimo qualche vagone. Avere dalla propria l’immagine di Draghi fornirà il vantaggio alla Von der Leyen di diluire il colore socialista che ormai anche agli alleati reca più danni che benefici e al tempo stesso raddoppiare gli sforzi sulla transizione green, sul rinnovamento degli schemi di approvvigionamento energetico e soprattutto sulla riforma del Patto di stabilità. In una recente intervista al Financial Times, Draghi ha spiegato che non si può tornare ai vecchi schemi e che ne servono di nuovi. È certo che il lavoro affidato ieri servirà anche a questo. Difficile che il governo Meloni provi a opporsi alle risultanze, visto i rapporti e lo stesso varrà per i tedeschi. Vedremo Macron che cosa chiederà in cambio. La partita è aperta.
E il povero Letta? Il Pd fuori dai palazzi non serve più a nulla, così devono pensarla a Bruxelles. E il predecessore della Schlein è più che mai oggi sacrificabile, una volta per tutte.
Weber fiuta il vento e si riavvicina ai socialisti
Il leader del Partito popolare europeo, Manfred Weber, ha (o forse aveva) in testa un’idea meravigliosa: diventare il presidente della Commissione europea, prendendo il posto di Ursula von der Leyen, a capo di una maggioranza di centrodestra, con i socialisti all’opposizione e i conservatori di Ecr, il gruppo di cui fa parte Fratelli d’Italia, al loro posto. Il vispo esponente della Csu tedesca si è però reso conto che fare a meno dei socialisti e democratici, dopo le Europee del 2024, sarà comunque molto difficile, e ha invertito la rotta. Risultato: Weber, ieri, dopo aver lavorato per mesi per scalzarla, in aula a Strasburgo ha tessuto le lodi di Ursula e della maggioranza che di lei porta il nome, ringraziando la presidente del gruppo dei Socialisti, Iratxe Garcia Perez, e di Renew Europe, Stephane Sejournè, per la «proficua collaborazione»: «Cara Iratxe, caro Stephane», ha detto Weber, «voglio ringraziarvi per la nostra collaborazione di successo in questi momenti cruciali. Il motore politico dell’Europa funziona. La maggioranza Von der Leyen ha reso tutto questo possibile». Parlando con il Corriere della Sera, Weber si è spinto anche oltre. Ci sarà un cambio di maggioranza nel prossimo parlamento e un’alleanza tra il Ppe e i conservatori dell’Ecr? «Bisogna tenere presente», ha risposto Weber, «che i leader di Spagna e Germania sono socialisti, il presidente francese è liberale e il Ppe è il primo partito in Europa: credo sia ovvio che i tre partiti debbano sedersi insieme e trovare, prima di tutto, un’intesa comune per il futuro dell’Europa». Un riposizionamento repentino, quello di Weber, che non è bastato a evitargli la durissima reprimenda di Iratxe Garcìa Pèrez: «Oggi», ha detto la leader spagnola dei Socialisti e Democratici europei, «l’alleanza tra destra ed estrema destra rappresenta il clamoroso fallimento di un progetto fondato sull’involuzione. Signor Weber, lei ha commesso un errore storico e la storia la ricorderà. Non può invocare questa maggioranza e poi cercare voti inseguendo altre alleanze in quest’aula». All’insegna della cautela, in attesa dei risultati delle elezioni, le valutazioni dei membri italiani di Ecr, esponenti di Fratelli d’Italia: «Presidente Von der Leyen», ha detto il capodelegazione Carlo Fidanza in aula, «abbiamo ascoltato una sorta di manifesto elettorale. In parte condivisibile, in parte no, in parte in estremo ritardo». «La revisione della direttiva sulla qualità dell’aria, approvata oggi a Strasburgo», ha successivamente sottolineato Fidanza insieme all’eurodeputato di Fdi Pietro Fiocchi, «è una bruttissima pagina per l’Italia. Tutti abbiamo a cuore la salute dei cittadini, ma tale direttiva si pone degli obiettivi irraggiungibili». «Ho apprezzato», ha commentato il copresidente del gruppo Ecr al Parlamento europeo Nicola Procaccini, «l’annuncio della Von der Leyen in merito alla conferenza internazionale contro il traffico di esseri umani, ma non basta. È certamente utile discuterne, ma è necessario soprattutto agire in modo risoluto». Ieri sera, ospite di Porta a Porta e Cinque minuti su Rai Uno, il premier Giorgia Meloni ha detto la sua sull’ipotesi di un’alleanza Ecr-Ppe-Socialisti: «Una coalizione con i socialisti in Ue? È molto difficile», ha detto la Meloni, «non l’abbiamo fatta in Italia non vedo perché in Europa. Di solito con la sinistra non sono avvezza a fare accordi. Rivendico con orgoglio quello che abbiamo fatto sul reddito di cittadinanza, se fosse vero che c’è qualcuno che gestisce i soldi del reddito di cittadinanza, cioè la camorra, su questa cosa spero che la magistratura vada fino in fondo. Su Ita Airways e sull’accordo con Lufthansa», ha aggiunto la Meloni, «ci dicono da anni di trovare una soluzione, il governo trova una soluzione dopo anni, quando la troviamo mi aspetto che ci si dica bravi e che tutti quanti si remi nella stessa direzione. Chiediamo che l’Europa ci dia una mano». Su Gentiloni: «Ho visto un approccio più critico che collaborativo», ha detto il premier, «ma non vuol dire che io voglia litigare o discutere con Paolo Gentiloni. La tassa sugli extraprofitti delle banche? Se ci sono correttivi da fare si possono fare ma non intendo fare marcia indietro. Modifiche si possono fare a parità di gettito. I bonus edilizi messi in campo da Conte sono costati ad oggi circa 140 miliardi. Qualcosa deve non aver funzionato».
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La Von der Leyen gli chiede un report sulla competitività: il Consiglio aveva scomodato l’ex Pd. Giorgia Meloni: Mario può aiutarci.Dopo le polemiche, il leader del Ppe Manfred Weber loda gli alleati per il lavoro fatto. Il premier: no ad intese con la sinistra.Lo speciale contiene due articoli.Più che l’ultimo discorso sullo stato dell’Unione, quello di ieri da parte di Ursula von der Leyen è sembrato il primo di un nuovo mandato. Non solo per la speranza che l’ex ministro tedesco palesemente serba di fare il bis, ma anche per le carte che ha calato di fronte ai parlamentari. Il tentativo di tenere uniti i popolari e i socialisti, di strizzare gli occhi ai deputati più vicini a Emmanuel Macron, con l’obiettivo di mantenere gli stessi diktat dell’attuale commissione ma senza quella connotazione politica socialdemocratica che ha contraddistinto la maggioranza Ursula uscente. La carta del mazzo più pesante si chiama però Mario Draghi. La Von der Leyen ha annunciato a sorpresa la decisione di affidare all’ex premier e presidente della Bce il compito di stilare un report «sul futuro della competitività europea». Il presidente della commissione ha sottolineato che per l’Europa sono tre le sfide fondamentali nel prossimo futuro: lavoro, inflazione e contesto imprenditoriale. Sfide che arrivano «in un momento in cui chiediamo anche all’industria di guidare la transizione pulita. Dobbiamo quindi guardare più avanti e definire come rimanere competitivi mentre lo facciamo. Per questo motivo ho chiesto a Mario Draghi - una delle più grandi menti economiche europee - di preparare un rapporto sul futuro della competitività europea». Perché l’Europa farà «whatever it takes per mantenere il suo vantaggio competitivo». Ovviamente il riferimento è alla celebre frase con cui Draghi ha segnato il mandato in Bce e la sua fama di risolutore. Al di là dei contenuti di questo incarico non si può però non notarne la valenza politica. Una in totale antitesi con il consiglio Ue e con il semestre spagnolo in corso. L’altra, invece, di proiezione verso un’Ursula bis con il sostegno di un commissario tecnico primus inter pares. Appunto Draghi. È altrettanto interessante che il primo aspetto dell’analisi, quello che vede il braccio di ferro tra commissione e singoli Stati rappresentati nel consiglio, passa attraverso due figure italiane. Lo scorso 22 luglio Enrico Letta dopo aver lasciato un Pd smembrato nelle mani di Elly Schlein ha ricevuto dalla presidenza di turno spagnola (a guida socialista) l’incarico di redigere un rapporto «strategico» per rilanciare la competitività del mercato unico. La notizia era stata diffusa dal quotidiano belga Le Soir in un’intervista allo stesso Letta sulla «delicata missione» conferita. Il giornale sottolineava come, «in un momento di cambiamenti decisivi», sulla scia della Brexit e in vista di un altro possibile allargamento (all’Ucraina), il compito di dare una spinta alla competitività della Ue sia «fondamentale». Rispondendo alle domande del cronista, l’ex segretario dem, oggi presidente dell’Institut Jacques Delors, ha detto che sta «cercando la formula magica per rilanciare il mercato unico europeo». La mirabolante missione lo vedrà in prima linea con il ministro belga all’Economia, il socialista Pierre-Yves Dermagne (Ps), con l’obiettivo di stendere un rapporto da pubblicare a marzo 2024, poco prima delle elezioni per il rinnovo dell’Europarlamento. Un frangente in cui, avvertiva Letta tramite Le Soir, «ci sarà il rischio che i Paesi di dividano» e invece, «l’unità tra di noi è ciò che è importante, ciò che deve venire prima, molto più che marcare le nostre differenze». Pazienza per la frasi di circostanza in cui probabilmente nemmeno Letta crede. A far drizzare le antenne è il termine «competitività». Pilastro dello studio assegnato sia a Letta sia a Draghi. Non è da escludere che i due lavori saranno presentati in contemporanea. Il peso internazionale di Draghi dovrebbe schiacciare l’avversario. Tant’è che ieri anche la Meloni ha salutato l’incarico come una buona notizia: «Spero che in un ruolo del genere possa avere un occhio di riguardo». In contrapposizione alle critiche rivolte a Gentiloni. Il che ci riporta al secondo corno dell’analisi politica. L’impressione è che la Von der Leyen puntando sull’asso di mister Bce voglia non solo consolidare il primato della commissione, che negli ultimi mesi è stata penalizzata dalle mosse troppo fuori le righe di Frans Timmermans, ma anche aprirsi le strade a nuove e più larghe alleanze. L’uscita di Manfred Weber di ieri riporta l’asse con i socialisti in linea di marcia. D’altra parte serviranno anche i macroniani, ma soprattutto è chiaro che l’intento di un’Ursula bis è quello di mantenere i binari su cui l’attuale commissione ha messo l’Europa. Cambiando il colore della locomotiva e al massimo qualche vagone. Avere dalla propria l’immagine di Draghi fornirà il vantaggio alla Von der Leyen di diluire il colore socialista che ormai anche agli alleati reca più danni che benefici e al tempo stesso raddoppiare gli sforzi sulla transizione green, sul rinnovamento degli schemi di approvvigionamento energetico e soprattutto sulla riforma del Patto di stabilità. In una recente intervista al Financial Times, Draghi ha spiegato che non si può tornare ai vecchi schemi e che ne servono di nuovi. È certo che il lavoro affidato ieri servirà anche a questo. Difficile che il governo Meloni provi a opporsi alle risultanze, visto i rapporti e lo stesso varrà per i tedeschi. Vedremo Macron che cosa chiederà in cambio. La partita è aperta. E il povero Letta? Il Pd fuori dai palazzi non serve più a nulla, così devono pensarla a Bruxelles. E il predecessore della Schlein è più che mai oggi sacrificabile, una volta per tutte.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/ursula-scudo-draghi-contro-letta-2665376051.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="weber-fiuta-il-vento-e-si-riavvicina-ai-socialisti" data-post-id="2665376051" data-published-at="1694674616" data-use-pagination="False"> Weber fiuta il vento e si riavvicina ai socialisti Il leader del Partito popolare europeo, Manfred Weber, ha (o forse aveva) in testa un’idea meravigliosa: diventare il presidente della Commissione europea, prendendo il posto di Ursula von der Leyen, a capo di una maggioranza di centrodestra, con i socialisti all’opposizione e i conservatori di Ecr, il gruppo di cui fa parte Fratelli d’Italia, al loro posto. Il vispo esponente della Csu tedesca si è però reso conto che fare a meno dei socialisti e democratici, dopo le Europee del 2024, sarà comunque molto difficile, e ha invertito la rotta. Risultato: Weber, ieri, dopo aver lavorato per mesi per scalzarla, in aula a Strasburgo ha tessuto le lodi di Ursula e della maggioranza che di lei porta il nome, ringraziando la presidente del gruppo dei Socialisti, Iratxe Garcia Perez, e di Renew Europe, Stephane Sejournè, per la «proficua collaborazione»: «Cara Iratxe, caro Stephane», ha detto Weber, «voglio ringraziarvi per la nostra collaborazione di successo in questi momenti cruciali. Il motore politico dell’Europa funziona. La maggioranza Von der Leyen ha reso tutto questo possibile». Parlando con il Corriere della Sera, Weber si è spinto anche oltre. Ci sarà un cambio di maggioranza nel prossimo parlamento e un’alleanza tra il Ppe e i conservatori dell’Ecr? «Bisogna tenere presente», ha risposto Weber, «che i leader di Spagna e Germania sono socialisti, il presidente francese è liberale e il Ppe è il primo partito in Europa: credo sia ovvio che i tre partiti debbano sedersi insieme e trovare, prima di tutto, un’intesa comune per il futuro dell’Europa». Un riposizionamento repentino, quello di Weber, che non è bastato a evitargli la durissima reprimenda di Iratxe Garcìa Pèrez: «Oggi», ha detto la leader spagnola dei Socialisti e Democratici europei, «l’alleanza tra destra ed estrema destra rappresenta il clamoroso fallimento di un progetto fondato sull’involuzione. Signor Weber, lei ha commesso un errore storico e la storia la ricorderà. Non può invocare questa maggioranza e poi cercare voti inseguendo altre alleanze in quest’aula». All’insegna della cautela, in attesa dei risultati delle elezioni, le valutazioni dei membri italiani di Ecr, esponenti di Fratelli d’Italia: «Presidente Von der Leyen», ha detto il capodelegazione Carlo Fidanza in aula, «abbiamo ascoltato una sorta di manifesto elettorale. In parte condivisibile, in parte no, in parte in estremo ritardo». «La revisione della direttiva sulla qualità dell’aria, approvata oggi a Strasburgo», ha successivamente sottolineato Fidanza insieme all’eurodeputato di Fdi Pietro Fiocchi, «è una bruttissima pagina per l’Italia. Tutti abbiamo a cuore la salute dei cittadini, ma tale direttiva si pone degli obiettivi irraggiungibili». «Ho apprezzato», ha commentato il copresidente del gruppo Ecr al Parlamento europeo Nicola Procaccini, «l’annuncio della Von der Leyen in merito alla conferenza internazionale contro il traffico di esseri umani, ma non basta. È certamente utile discuterne, ma è necessario soprattutto agire in modo risoluto». Ieri sera, ospite di Porta a Porta e Cinque minuti su Rai Uno, il premier Giorgia Meloni ha detto la sua sull’ipotesi di un’alleanza Ecr-Ppe-Socialisti: «Una coalizione con i socialisti in Ue? È molto difficile», ha detto la Meloni, «non l’abbiamo fatta in Italia non vedo perché in Europa. Di solito con la sinistra non sono avvezza a fare accordi. Rivendico con orgoglio quello che abbiamo fatto sul reddito di cittadinanza, se fosse vero che c’è qualcuno che gestisce i soldi del reddito di cittadinanza, cioè la camorra, su questa cosa spero che la magistratura vada fino in fondo. Su Ita Airways e sull’accordo con Lufthansa», ha aggiunto la Meloni, «ci dicono da anni di trovare una soluzione, il governo trova una soluzione dopo anni, quando la troviamo mi aspetto che ci si dica bravi e che tutti quanti si remi nella stessa direzione. Chiediamo che l’Europa ci dia una mano». Su Gentiloni: «Ho visto un approccio più critico che collaborativo», ha detto il premier, «ma non vuol dire che io voglia litigare o discutere con Paolo Gentiloni. La tassa sugli extraprofitti delle banche? Se ci sono correttivi da fare si possono fare ma non intendo fare marcia indietro. Modifiche si possono fare a parità di gettito. I bonus edilizi messi in campo da Conte sono costati ad oggi circa 140 miliardi. Qualcosa deve non aver funzionato».
Da sinistra: Bruno Migale, Ezio Simonelli, Vittorio Pisani, Luigi De Siervo, Diego Parente e Maurizio Improta
Questa mattina la Lega Serie A ha ricevuto il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, insieme ad altri vertici della Polizia, per un incontro dedicato alla sicurezza negli stadi e alla gestione dell’ordine pubblico. Obiettivo comune: sviluppare strumenti e iniziative per un calcio più sicuro, inclusivo e rispettoso.
Oggi, negli uffici milanesi della Lega Calcio Serie A, il mondo del calcio professionistico ha ospitato le istituzioni di pubblica sicurezza per un confronto diretto e costruttivo.
Il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, accompagnato da alcune delle figure chiave del dipartimento - il questore di Milano Bruno Migale, il dirigente generale di P.S. prefetto Diego Parente e il presidente dell’Osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive Maurizio Improta - ha incontrato i vertici della Lega, guidati dal presidente Ezio Simonelli, dall’amministratore delegato Luigi De Siervo e dall’head of competitions Andrea Butti.
Al centro dell’incontro, durato circa un’ora, temi di grande rilevanza per il calcio italiano: la sicurezza negli stadi e la gestione dell’ordine pubblico durante le partite di Serie A. Secondo quanto emerso, si è trattato di un momento di dialogo concreto, volto a rafforzare la collaborazione tra istituzioni e club, con l’obiettivo di rendere le competizioni sportive sempre più sicure per tifosi, giocatori e operatori.
Il confronto ha permesso di condividere esperienze, criticità e prospettive future, aprendo la strada a un percorso comune per sviluppare strumenti e iniziative capaci di garantire un ambiente rispettoso e inclusivo. La volontà di entrambe le parti è chiara: non solo prevenire episodi di violenza o disordine, ma anche favorire la cultura del rispetto, elemento indispensabile per la crescita del calcio italiano e per la tutela dei tifosi.
«L’incontro di oggi rappresenta un passo importante nella collaborazione tra Lega e Forze dell’Ordine», si sottolinea nella nota ufficiale diffusa al termine della visita dalla Lega Serie A. L’intenzione condivisa è quella di creare un dialogo costante, capace di tradursi in azioni concrete, procedure aggiornate e interventi mirati negli stadi di tutta Italia.
In un contesto sportivo sempre più complesso, dove la passione dei tifosi può trasformarsi rapidamente in tensione, il dialogo tra Lega e Polizia appare strategico. La sfida, spiegano i partecipanti, è costruire una rete di sicurezza che sia preventiva, reattiva e sostenibile, tutelando chi partecipa agli eventi senza compromettere l’atmosfera che caratterizza il calcio italiano.
L’appuntamento di Milano conferma come la sicurezza negli stadi non sia solo un tema operativo, ma un valore condiviso: la Serie A e le forze dell’ordine intendono camminare insieme, passo dopo passo, verso un calcio sempre più sicuro, inclusivo e rispettoso.
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Due bambini svaniti nel nulla. Mamma e papà non hanno potuto fargli neppure gli auguri di compleanno, qualche giorno fa, quando i due fratellini hanno compiuto 5 e 9 anni in comunità. Eppure una telefonata non si nega neanche al peggior delinquente. Dunque perché a questi genitori viene negato il diritto di vedere e sentire i loro figli? Qual è la grave colpa che avrebbero commesso visto che i bimbi stavano bene?
Un allontanamento che oggi mostra troppi lati oscuri. A partire dal modo in cui quel 16 ottobre i bimbi sono stati portati via con la forza, tra le urla strazianti. Alle ore 11.10, come denunciano le telecamere di sorveglianza della casa, i genitori vengono attirati fuori al cancello da due carabinieri. Alle 11.29 spuntano dal bosco una decina di agenti, armati di tutto punto e col giubbotto antiproiettile. E mentre gridano «Pigliali, pigliali tutti!» fanno irruzione nella casa, dove si trovano, da soli, i bambini. I due fratellini vengono portati fuori dagli agenti, il più piccolo messo a sedere, sulle scale, col pigiamino e senza scarpe. E solo quindici minuti dopo, alle 11,43, come registrano le telecamere, arrivano le assistenti sociali che portano via i bambini tra le urla disperate.
Una procedura al di fuori di ogni regola. Che però ottiene l’appoggio della giudice Nadia Todeschini, del Tribunale dei minori di Firenze. Come riferisce un ispettore ripreso dalle telecamere di sorveglianza della casa: «Ho telefonato alla giudice e le ho detto: “Dottoressa, l’operazione è andata bene. I bambini sono con i carabinieri. E adesso sono arrivati gli assistenti sociali”. E la giudice ha risposto: “Non so come ringraziarvi!”».
Dunque, chi ha dato l’ordine di agire in questo modo? E che trauma è stato inferto a questi bambini? Giriamo la domanda a Marina Terragni, Garante per l’infanzia e l’adolescenza. «Per la nostra Costituzione un bambino non può essere prelevato con la forza», conferma, «per di più se non è in borghese. Ci sono delle sentenze della Cassazione. Queste modalità non sono conformi allo Stato di diritto. Se il bambino non vuole andare, i servizi sociali si debbono fermare. Purtroppo ci stiamo abituando a qualcosa che è fuori legge».
Proviamo a chiedere spiegazioni ai servizi sociali dell’unione Montana dei comuni Valtiberina, ma l’accoglienza non è delle migliori. Prima minacciano di chiamare i carabinieri. Poi, la più giovane ci chiude la porta in faccia con un calcio. È Veronica Savignani, che quella mattina, come mostrano le telecamere, afferra il bimbo come un pacco. E mentre lui scalcia e grida disperato - «Aiuto! Lasciatemi andare» - lei lo rimprovera: «Ma perché urli?». Dopo un po’ i toni cambiano. Esce a parlarci Sara Spaterna. C’era anche lei quel giorno, con la collega Roberta Agostini, per portare via i bambini. Ma l’unica cosa di cui si preoccupa è che «è stata rovinata la sua immagine». E alle nostre domande ripete come una cantilena: «Non posso rispondere». Anche la responsabile dei servizi, Francesca Meazzini, contattata al telefono, si trincera dietro un «non posso dirle nulla».
Al Tribunale dei Minoridi Firenze, invece, parte lo scarica barile. La presidente, Silvia Chiarantini, dice che «l’allontanamento è avvenuto secondo le regole di legge». E ci conferma che i genitori possono vedere i figli in incontri protetti. E allora perché da due mesi a mamma e papà non è stata concessa neppure una telefonata? E chi pagherà per il trauma fatto a questi bambini?
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Il premier: «Il governo ci ha creduto fin dall’inizio, impulso decisivo per nuovi traguardi».
«Il governo ha creduto fin dall’inizio in questa sfida e ha fatto la sua parte per raggiungere questo traguardo. Ringrazio i ministri Lollobrigida e Giuli che hanno seguito il dossier, ma è stata una partita che non abbiamo giocato da soli: abbiamo vinto questa sfida insieme al popolo italiano. Questo riconoscimento imprimerà al sistema Italia un impulso decisivo per raggiungere nuovi traguardi».
Lo ha detto la premier Giorgia Meloni in un videomessaggio celebrando l’entrata della cucina italiana nei patrimoni culturali immateriali dell’umanità. È la prima cucina al mondo a essere riconosciuta nella sua interezza. A deliberarlo, all’unanimità, è stato il Comitato intergovernativo dell’Unesco, riunito a New Delhi, in India.
Ansa
I vaccini a Rna messaggero contro il Covid favoriscono e velocizzano, se a dosi ripetute, la crescita di piccoli tumori già presenti nell’organismo e velocizzano la crescita di metastasi. È quanto emerge dalla letteratura scientifica e, in particolare, dagli esperimenti fatti in vitro sulle cellule e quelli sui topi, così come viene esposto nello studio pubblicato lo scorso 2 dicembre sulla rivista Mdpi da Ciro Isidoro, biologo, medico, patologo e oncologo sperimentale, nonché professore ordinario di patologia generale all’Università del Piemonte orientale di Novara. Lo studio è una review, ovvero una sintesi critica dei lavori scientifici pubblicati finora sull’argomento, e le conclusioni a cui arriva sono assai preoccupanti. Dai dati scientifici emerge che sia il vaccino a mRna contro il Covid sia lo stesso virus possono favorire la crescita di tumori e metastasi già esistenti. Inoltre, alla luce dei dati clinici a disposizione, emerge sempre più chiaramente che a questo rischio di tumori e metastasi «accelerati» appaiono più esposti i vaccinati con più dosi. Fa notare Isidoro: «Proprio a causa delle ripetute vaccinazioni i vaccinati sono più soggetti a contagiarsi e dunque - sebbene sia vero che il vaccino li protegge, ma temporaneamente, dal Covid grave - queste persone si ritrovano nella condizione di poter subire contemporaneamente i rischi oncologici provocati da vaccino e virus naturale messi insieme».
Sono diversi i meccanismi cellulari attraverso cui il vaccino può velocizzare l’andamento del cancro analizzati negli studi citati nella review di Isidoro, intitolata «Sars-Cov2 e vaccini anti-Covid-19 a mRna: Esiste un plausibile legame meccanicistico con il cancro?». Tra questi studi, alcuni rilevano che, in conseguenza della vaccinazione anti-Covid a mRna - e anche in conseguenza del Covid -, «si riduce Ace 2», enzima convertitore di una molecola chiamata angiotensina II, favorendo il permanere di questa molecola che favorisce a sua volta la proliferazione dei tumori. Altri dati analizzati nella review dimostrano inoltre che sia il virus che i vaccini di nuova generazione portano ad attivazione di geni e dunque all’attivazione di cellule tumorali. Altri dati ancora mostrano come sia il virus che il vaccino inibiscano l’espressione di proteine che proteggono dalle mutazioni del Dna.
Insomma, il vaccino anti-Covid, così come il virus, interferisce nei meccanismi cellulari di protezione dal cancro esponendo a maggiori rischi chi ha già una predisposizione genetica alla formazione di cellule tumorali e i malati oncologici con tumori dormienti, spiega Isidoro, facendo notare come i vaccinati con tre o più dosi si sono rivelati più esposti al contagio «perché il sistema immunitario in qualche modo viene ingannato e si adatta alla spike e dunque rende queste persone più suscettibili ad infettarsi».
Nella review anche alcune conferme agli esperimenti in vitro che arrivano dal mondo reale, come uno studio retrospettivo basato su un’ampia coorte di individui non vaccinati (595.007) e vaccinati (2.380.028) a Seul, che ha rilevato un’associazione tra vaccinazione e aumento del rischio di cancro alla tiroide, allo stomaco, al colon-retto, al polmone, al seno e alla prostata. «Questi dati se considerati nel loro insieme», spiega Isidoro, «convergono alla stessa conclusione: dovrebbero suscitare sospetti e stimolare una discussione nella comunità scientifica».
D’altra parte, anche Katalin Karikó, la biochimica vincitrice nel 2023 del Nobel per la Medicina proprio in virtù dei suoi studi sull’Rna applicati ai vaccini anti Covid, aveva parlato di questi possibili effetti collaterali di «acceleratore di tumori già esistenti». In particolare, in un’intervista rilasciata a Die Welt lo scorso gennaio, la ricercatrice ungherese aveva riferito della conversazione con una donna sulla quale, due giorni dopo l’inoculazione, era comparso «un grosso nodulo al seno». La signora aveva attribuito l’insorgenza del cancro al vaccino, mentre la scienziata lo escludeva ma tuttavia forniva una spiegazione del fenomeno: «Il cancro c’era già», spiegava Karikó, «e la vaccinazione ha dato una spinta in più al sistema immunitario, così che le cellule di difesa immunitaria si sono precipitate in gran numero sul nemico», sostenendo, infine, che il vaccino avrebbe consentito alla malcapitata di «scoprire più velocemente il cancro», affermazione che ha lasciato e ancor di più oggi lascia - alla luce di questo studio di Isidoro - irrisolti tanti interrogativi, soprattutto di fronte all’incremento in numero dei cosiddetti turbo-cancri e alla riattivazione di metastasi in malati oncologici, tutti eventi che si sono manifestati post vaccinazione anti- Covid e non hanno trovato altro tipo di plausibilità biologica diversa da una possibile correlazione con i preparati a mRna.
«Marginale il gabinetto di Speranza»
Mentre eravamo chiusi in casa durante il lockdown, il più lungo di tutti i Paesi occidentali, ognuno di noi era certo in cuor suo che i decisori che apparecchiavano ogni giorno alle 18 il tragico rito della lettura dei contagi e dei decessi sapessero ciò che stavano facendo. In realtà, al netto di un accettabile margine di impreparazione vista l’emergenza del tutto nuova, nelle tante stanze dei bottoni che il governo Pd-M5S di allora, guidato da Giuseppe Conte, aveva istituito, andavano tutti in ordine sparso. E l’audizione in commissione Covid del proctologo del San Raffaele Pierpaolo Sileri, allora viceministro alla Salute in quota 5 stelle, ha reso ancor più tangibile il livello d’improvvisazione e sciatteria di chi allora prese le decisioni e oggi è impegnato in tripli salti carpiati pur di rinnegarne la paternità. È il caso, ad esempio, del senatore Francesco Boccia del Pd, che ieri è intervenuto con zelante sollecitudine rivolgendo a Sileri alcune domande che son suonate più come ingannevoli asseverazioni. Una per tutte: «Io penso che il gabinetto del ministero della salute (guidato da Roberto Speranza, ndr) fosse assolutamente marginale, decidevano Protezione civile e coordinamento dei ministri». Il senso dell’intervento di Boccia non è difficile da cogliere: minimizzare le responsabilità del primo imputato della malagestione pandemica, Speranza, collega di partito di Boccia, e rovesciare gli oneri ora sul Cts, ora sulla Protezione civile, eventualmente sul governo ma in senso collegiale. «Puoi chiarire questi aspetti così li mettiamo a verbale?», ha chiesto Boccia a Sileri. L’ex sottosegretario alla salute, però, non ha dato la risposta desiderata: «Il mio ruolo era marginale», ha dichiarato Sileri, impegnato a sua volta a liberarsi del peso degli errori e delle omissioni in nome di un malcelato «io non c’ero, e se c’ero dormivo», «il Cts faceva la valutazione scientifica e la dava alla politica. Era il governo che poi decideva». Quello stesso governo dove Speranza, per forza di cose, allora era il componente più rilevante. Sileri ha dichiarato di essere stato isolato dai funzionari del ministero: «Alle riunioni non credo aver preso parte se non una volta» e «i Dpcm li ricevevo direttamente in aula, non ne avevo nemmeno una copia». Che questo racconto sia funzionale all’obiettivo di scaricare le responsabilità su altri, è un dato di fatto, ma l’immagine che ne esce è quella di decisori «inadeguati e tragicomici», come ebbe già ad ammettere l’altro sottosegretario Sandra Zampa (Pd).Anche sull’adozione dell’antiscientifica «terapia» a base di paracetamolo (Tachipirina) e vigile attesa, Sileri ha dichiarato di essere totalmente estraneo alla decisione: «Non so chi ha redatto la circolare del 30 novembre 2020 che dava agli antinfiammatori un ruolo marginale, ne ho scoperto l’esistenza soltanto dopo che era già uscita». Certo, ha ammesso, a novembre poteva essere dato maggiore spazio ai Fans perché «da marzo avevamo capito che non erano poi così malvagi». Bontà sua. Per Alice Buonguerrieri (Fdi) «è la conferma che la gestione del Covid affogasse nella confusione più assoluta». Boccia è tornato all’attacco anche sul piano pandemico: «Alcuni virologi hanno ribadito che era scientificamente impossibile averlo su Sars Cov-2, confermi?». «L'impatto era inatteso, ma ovviamente avere un piano pandemico aggiornato avrebbe fatto grosse differenze», ha replicato Sileri, che nel corso dell’audizione ha anche preso le distanze dalle misure suggerite dall’Oms che «aveva un grosso peso politico da parte dalla Cina». «I burocrati nominati da Speranza sono stati lasciati spadroneggiare per coprire le scelte errate dei vertici politici», è il commento di Antonella Zedda, vicepresidente dei senatori di Fratelli d’Italia, alla «chicca» emersa in commissione: un messaggio di fuoco che l’allora capo di gabinetto del ministero Goffredo Zaccardi indirizzò a Sileri («Stai buono o tiro fuori i dossier che ho nel cassetto», avrebbe scritto).In che mani siamo stati.
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