2022-05-01
«L’uomo viene prima di economia e Stato»
Il cardinale Giacomo Biffi (Ansa)
Nel 1991 il cardinal Giacomo Biffi ricordò la lungimiranza di Leone XIII che con la «Rerum novarum», a fine Ottocento, denunciò la condizione degli operai «soli e indifesi». E riuscì a capire, con un secolo di anticipo, tutta l’irragionevolezza del socialismo reale.L’enciclica Rerum novarum (pubblicata nel maggio 1891 da papa Leone XIII, ndr) è stata un forte provvidenziale segnale a tutta la Chiesa: ha fatto recuperare alla cattolicità un’attenzione autenticamente evangelica all’uomo e ai suoi problemi, in tal modo richiamando energicamente la verità che non c’è questione implicante l’uomo e la sua dignità che non possa e non debba essere affrontata alla luce dei principi della fede.Il primo rilievo che va fatto riguarda la lucidità con cui l’enciclica sceglie la difesa dei più deboli: una società che si limitasse soltanto a garantire la libertà e i diritti di tutti, considerando tutti allo stesso modo, sarebbe, nella sua apparente giustizia, del tutto ingiusta e crudele.Leone XIII non ha paura delle parole, quando denuncia la situazione di fatto che ai suoi tempi si era creata per i lavoratori, una volta venute meno con la Rivoluzione francese le protezioni delle antiche strutture cristianamente ispirate; essi, dice, sono ormai «soli e indifesi in balìa della disumanità dei padroni e della sfrenata cupidigia della concorrenza». Perciò, insiste, «bisogna provvedere senza indugio e con opportuni provvedimenti a coloro che sono posti ai gradini più bassi della scala sociale, i quali per la maggior parte si trovano ingiustamente ridotti a una condizione miserevole e sventurata», «al punto che pochissimi ricchi e straricchi hanno imposto un giogo da schiavi all’infinita moltitudine dei proletari».E ancora: «I diritti vanno tutelati in chiunque li possieda... Tuttavia, nel tutelare questi diritti dei privati, si deve avere un riguardo speciale ai deboli e ai poveri... Perciò agli operai, che sono nel numero di quelli che hanno più bisogno, lo Stato deve di preferenza rivolgere le sue cure e le sue provvidenze».Sarebbe però un errore anche più grave, quello di credere che, per salvarsi dalla prepotenza dei privilegiati, si debba dar via libera alla prepotenza dello Stato.«L’uomo è anteriore allo Stato», dice il Papa. Lo Stato quindi non ha il diritto di esercitare a suo arbitrio, costantemente in presa diretta, quelle attività che possono essere compiute dai cittadini, dalle famiglie, dalle libere aggregazioni; ha piuttosto il dovere di mettere tutti nella condizione concretamente efficace di attendere ai propri compiti e sviluppare le proprie capacità.Come è stato acutamente notato, tra il «lasciar fare» (teorizzato dal liberalismo ottocentesco) e il «fare direttamente» (proposto dal collettivismo socialista), lo Stato, secondo Leone XIII, deve scegliere come principio ispiratore della sua azione l’«aiutare a fare».Notiamo che questa diffida pontificia avrebbe ricevuto una tragica giustificazione nella continua catena di sventure che nel secolo XX si sarebbe abbattuta sull’umanità proprio a causa delle teorizzate esorbitanze stataliste; esorbitanze diverse tra loro per indole, per denominazione, per colore, ma ugualmente mortifere e disumane.«Non è giusto», afferma la Rerum novarum, «che il cittadino e la famiglia siano assorbiti dallo Stato; è giusto invece che si lasci all’uno e all’altra la facoltà di agire con libertà, salvo il rispetto del bene comune e dei diritti altrui» .La menzione della famiglia non è marginale o fortuita: Leone XIII ha intuito che le prepotenze stataliste si sarebbero di preferenza indirizzate a colpire la realtà familiare, e quindi a derubare i poveri del solo bene che non hanno mai dovuto invidiare ai potenti del mondo. «La famiglia, cioè la società domestica», insegna il Papa, «è una società piccola ma vera, anteriore a ogni società civile; e pertanto possiede diritti e doveri propri, indipendenti dallo Stato». E ancora: «È un grave e dannoso errore volere che lo Stato possa intervenire a suo arbitrio nel santuario della famiglia».Infine l’enciclica è una chiara e inequivocabile contestazione della utopia socialista, intesa come sistema organicamente basato sulla collettivizzazione dei beni o almeno dei mezzi di produzione.Fa impressione leggere queste nitide pagine, dopo gli avvenimenti di questi ultimi tempi (si riferisce alla caduta del Muro di Berlino del 1989, ndr). Ci sono voluti 100 anni e 100 milioni di morti nelle varie parti del globo terracqueo; ma alla fine si è universalmente capito ciò che un vecchio Pontefice aveva già visto con un secolo di anticipo: tutta l’irragionevolezza e tutta la spietatezza del così detto socialismo reale. Quando si pensa che soltanto una decina d’anni fa dei cattolici acculturati cercavano ancora di persuaderci che il marxismo era la prospettiva storicamente vincente, si prova una grande ammirazione per Leone XIII - un Papa più che ottantenne, chiuso per forza entro le mura vaticane - che ha saputo guardare alla vicenda della famiglia umana e alle sue sofferenze con occhi davvero capaci di leggere l’avvenire.Un’ultima annotazione per concludere. La fine del socialismo reale non è la fine delle insidie alla dignità dell’uomo e degli attentati ai suoi nativi diritti. In una società che privilegia il benessere economico, la competitività e il profitto, l’uomo avrà ancora bisogno di essere energicamente difeso. Noi non abbiamo niente contro il benessere economico in sé stesso; né, a certe condizioni, contro la competitività e il profitto. Ma non possiamo accettare che siano considerati valori assoluti o primari. La missione della Chiesa - e dunque di tutti noi che non vogliamo essere latitanti in questa battaglia - in questo campo non è ancora finita. Servite Cristo Signore (Col 3,24), ci ha detto San Paolo: anche in uno scenario completamente cambiato dai tempi della Rerum novarum, noi dobbiamo e vogliamo continuare a esprimere fattivamente e socialmente il nostro amore per il Signore Gesù e per la sua immagine viva che è l’uomo.