2019-06-09
«Uomini, abbiate coraggio. Sostituite blu e neri con rosa e bordeaux»
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Il patron di Tagliatore, Franco Lerario, presenterà a Pitti la prossima collezione primavera estate, con colori inediti e tessuti super leggeri.La seconda vita della Manifattura tabacchi di Firenze. Verrà presentato domani il progetto di riqualificazione da 200 milioni dell'ex stabilimento industriale. Ospiterà anche il Polimoda.Vip e top model diventano i volti delle campagne di Etro e Armani. Tra i grandi nomi: Amber Valletta e Kate Moss. Lo speciale comprende tre articoli, video e gallery fotografiche.«Sin da quando ero giovincello ero chiamato “Franchino il tagliatore", fu questa la prima eredità che i miei genitori mi hanno lasciato». Lo ha scritto Franco Lerario nel suo libro autobiografico, Tagliatore, dai vestiti ai costumi, un'avventura di famiglia partita con Vito, il padre, tagliatore di tomaie. Un soprannome che divenne il suo nome come si usa al Sud, terra di professioni artigiane tramandate di generazione in generazione. Persino la madre era per tutti «Teresa la tagliatore». Insomma, non poteva che chiamarsi Tagliatore il marchio di Pino Lerario, la terza generazione dopo il nonno Vito e il papà Franco, che nel 1998 decise di dare una svolta alla Confezioni Lerario srl, nata nel 1984 come azienda conto terzi. Una favola che parte da Martina Franca, in Puglia, e arriva perfino a Londra, sul set del film Batman di Tim Burton. Fu il costumista Bob Ringwood, passato davanti alla vetrina di Lerario a Londra, a innamorarsi del brand. Spalle larghe e morbide, giacche doppio petto a sei bottoni e pantaloni larghi con più pinces: ecco come vestiva Michael Keaton, alias Bruce Wayne, meglio conosciuto come Batman, in uno dei 300 abiti confezionati ad hoc. Per i Lerario è andato tutto in crescendo ma mantenendo ben salda la concretezza contadina e l'umiltà da grandi lavoratori. «Mio nonno faceva le scarpe mentre mio padre prese la strada della sartoria», racconta Pino Lerario, «e ho sempre respirato l'aria dei tessuti. Ho iniziato a lavorare giovanissimo e mi sono subito appassionato al mestiere di mio padre tanto che frequentai la scuola di modellismo, penso di essere uno dei pochi che disegnano, tagliano e cuciono un abito in ogni suo passaggio».Nella nuova collezione primavera estate 2020, che verrà presentata al Pitti uomo (dall'11 al 14 giugno a Firenze), il marchio ha introdotto il suo concetto di extralight, con fibre naturali come cotone, lana, lino e seta, uniti a nylon, ritorti e travel. Un nuovo approccio al vestire contemporaneo con giacche sfoderate, destrutturate e versatili.Rigore maniacale, vestibilità perfetta, selezione severa dei tessuti: il valore aggiunto di Tagliatore.«Ascoltare le esigenze dei clienti è fondamentale. Per questo usiamo tessuti stretch, confortevoli e ingualcibili. Prima di tutto c'è la necessità di sentirsi comodi e di poter fare tutti i movimenti con una giacca addosso. Senza dimenticare che all'uomo piace anche esibire il suo corpo». Famosissime le giacche con i larghi revers, inconfondibili come un logo.«I revers molto grandi rappresentano una scuola di sartoria, difficilmente si trova una giacca così in confezione. 2Non sono facili da vendere ma sono il nostro Dna e ci saranno sempre. Il problema è che quando indossi una giacca con i revers normali non ti senti più a posto. Non puoi più farne a meno».All'interno del mondo Tagliatore modernità e tradizione si mescolano a un gusto made in Italy e a una visione cosmopolita del mercato dell'artigianato d'eccellenza. Per questo il vostro è un marchio internazionale.«Distribuiamo in 450 punti vendita multibrand in Italia e 350 all'estero. Esportiamo per il 50%. La produzione è totalmente interna grazie alla professionalità dei nostri 180 dipendenti, i tessuti provengono per l'80% dal biellese e per il resto dalla Gran Bretagna, ogni capo è rifinito a mano. Abbiamo conquistato il Giappone con i nostri fit». Da ben dodici stagioni siete tra i protagonisti di Pitti uomo. Quali sono le novità per l'estate 2020?«Il colore. Nuance polverose dal bordeaux al rosa, al fucsia, al rosa e bianco e rosa e tortora, tinte che da un po' non usavamo. E poi rosso e arancio. Ovviamente i colori classici ci sono ma cerchiamo di rivitalizzare l'abbigliamento da uomo, almeno nella bella stagione. Non tutti saranno disposti a recepirli, bisogna anche saper osare. Usiamo tessuti ultra leggeri ma ci vuole anche una leggerezza visiva e certe tonalità trasmettono freschezza. I neri e blu ricordano abiti vecchi. Non basta una cravatta a ravvivare un insieme, anche se fa tanto. Ci vuole solo un minimo di coraggio per rompere gli schemi».
Gli abissi del Mar dei Caraibi lo hanno cullato per più di tre secoli, da quell’8 giugno del 1708, quando il galeone spagnolo «San José» sparì tra i flutti in pochi minuti.
Il suo relitto racchiude -secondo la storia e la cronaca- il più prezioso dei tesori in fondo al mare, tanto che negli anni il galeone si è meritato l’appellativo di «Sacro Graal dei relitti». Nel 2015, dopo decenni di ipotesi, leggende e tentativi di localizzazione partiti nel 1981, è stato individuato a circa 16 miglia nautiche (circa 30 km.) dalle coste colombiane di Cartagena ad una profondità di circa 600 metri. Nella sua stiva, oro argento e smeraldi che tre secoli fa il veliero da guerra e da trasporto avrebbe dovuto portare in Patria. Il tesoro, che ha generato una contesa tra Colombia e Spagna, ammonterebbe a svariati miliardi di dollari.
La fine del «San José» si inquadra storicamente durante la guerra di Successione spagnola, che vide fronteggiarsi Francia e Spagna da una parte e Inghilterra, Olanda e Austria dall’altra. Un conflitto per il predominio sul mondo, compreso il Nuovo continente da cui proveniva la ricchezza che aveva fatto della Spagna la più grande delle potenze. Il «San José» faceva parte di quell’Invencible Armada che dominò i mari per secoli, armato con 64 bocche da fuoco per una lunghezza dello scafo di circa 50 metri. Varato nel 1696, nel giugno del 1708 si trovava inquadrato nella «Flotta spagnola del tesoro» a Portobelo, odierna Panama. Dopo il carico di beni preziosi, avrebbe dovuto raggiungere Cuba dove una scorta francese l’attendeva per il viaggio di ritorno in Spagna, passando per Cartagena. Nello stesso periodo la flotta britannica preparò un’incursione nei Caraibi, con 4 navi da guerra al comando dell’ammiraglio Charles Wager. Si appostò alle isole Rosario, un piccolo arcipelago poco distanti dalle coste di Cartagena, coperte dalla penisola di Barù. Gli spagnoli durante le ricognizioni si accorsero della presenza del nemico, tuttavia avevano necessità di salpare dal porto di Cartagena per raggiungere rapidamente L’Avana a causa dell’avvicinarsi della stagione degli uragani. Così il comandante del «San José» José Fernandez de Santillàn decise di levare le ancore la mattina dell’8 giugno. Poco dopo la partenza le navi spagnole furono intercettate dai galeoni della Royal Navy a poca distanza da Barù, dove iniziò l’inseguimento. Il «San José» fu raggiunto dalla «Expedition», la nave ammiraglia dove si trovava il comandante della spedizione Wager. Seguì un cannoneggiamento ravvicinato dove gli inglesi ebbero la meglio sul galeone colmo di merce preziosa. Una cannonata colpì in pieno la santabarbara, la polveriera del galeone spagnolo che si incendiò venendo inghiottito dai flutti in pochi minuti. Solo una dozzina di marinai si salvarono, su un equipaggio di 600 uomini. L’ammiraglio britannico, la cui azione sarà ricordata come l’«Azione di Wager» non fu tuttavia in grado di recuperare il tesoro della nave nemica, che per tre secoli dormirà sul fondo del Mare dei Caraibi .
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