2021-07-06
Uno «straniero» per rifare la Rai
Per soffiare alla politica la tv pubblica, Mario Draghi pensa a Giorgio Stock (ex Warern Media) come prossimo ad. E in viale Mazzini già mugugnano: «È troppo lontano dai sindacati»A caccia del Papa straniero. È la parola d'ordine in Rai, dove domani decade ufficialmente il consiglio d'amministrazione (resta in carica per gli affari correnti) e dove non c'è capannello, non c'è pausa caffè nei quali non si parli delle prossime nomine. Conclusi di fatto i tre anni di Marcello Foa e Fabrizio Salini, si è scatenato da tempo lo psicodramma della politica a caccia dei sostituti. Con una novità: la variante Mario Draghi. Il premier non ha nessuna intenzione di cercare il nuovo vertice nel cortile dei partiti, soprattutto l'ad (colui che ha in mano il timone dell'azienda), per non trattare con loro dal primo minuto, nella solita guerra di trincea con il tentacolare «partito Rai». Vorrebbe fare come per le partecipate più importanti: un blitz e via. Ecco perché, dopo aver lasciato sfogare le segreterie con i nomi degli amici (Elenonora Andreatta in quota Enrico Letta, Mauro Masi o Simona Agnes vicini a Silvio Berlusconi, Laura Cioli sulla direttrice Elkann-Mediobanca), Draghi avrebbe deciso di far muovere i leader politici sui componenti del cda per poi calare i suoi due assi pesanti nell'assemblea dei soci del 12 luglio.Qui il vento rivoluzionario che sempre spira (a parole) nelle dichiarazioni sembra spegnersi, perché tre nuovi consiglieri hanno i volti di quelli vecchi: la Lega riproporrà Igor De Blasio, Fratelli d'Italia Giampaolo Rossi e il potente sindacato interno, quindi la sinistra organica, Riccardo Laganà. Il Nazareno punta su una donna (si parlava di Silvia Costa) mentre in alto mare rimane il nome del Movimento 5 stelle, alle prese con ben altre spaccature. Una volta completato il cda, ecco l'asso del premier, il Papa straniero di oggi: Giorgio Stock. Un'intuizione de Linkiesta trova conferme a Palazzo Chigi e l'ex presidente di Warner Media entra in gioco. Con due caratteristiche che piacciono al premier, oltre all'estraneità rispetto ai giochi di Palazzo: ha un'esperienza internazionale (ha lavorato nel gruppo di Ted Turner, è stato general manager di Disney Europe-Africa-Medio Oriente) ed è «un grande esperto di comunicazione globale».Un biglietto da visita che significa tutto e niente, ma che per gli apostoli della globalizzazione come Draghi vale una candidatura top. Il nome circola da qualche giorno anche in Rai dove un vecchio lupo d'azienda l'ha già battezzato in sintesi: «Non sa nulla di giornalisti, non sa nulla di sindacato. Quella che sembra all'apparenza una dote può essere una palla al piede. A meno che non arrivi per tagliare posti e basta». Accanto a lui rimangono in pole position due aziendalisti d'acciaio, Paolo Del Brocco (storicamente a sinistra nella foto ricordo) e Roberto Ciannamea (più centrista), che rischiano il passo indietro per un intoppo procedurale sul quale il premier non transige: vietato chiedere l'aspettativa. In passato chi entrava nel cda Rai usava quell'esamotage per mantenere posto e compensi una volta conclusa la passerella al settimo piano. Draghi avrebbe fatto sapere che la consuetudine verrà azzerata «per dare maggiore libertà d'azione agli eletti». Il magma è ancora ribollente ed è pronto il piano B all'italiana: un ulteriore rinvio con Foa e Salini in proroga per alcuni mesi. I 5 stelle spingono per questa soluzione, sia perché incapaci di sbrogliare a breve la matassa Conte-Grillo, sia per salvaguardare la visibilità nelle amministrative di ottobre. Più si spostano le nomine dei manager, più andranno verso fine autunno quelle dei direttori di rete e dei tg, ora piazzati in prima linea (soprattutto Antonio Carboni al Tg1 e Franco Di Mare a Rai 3) a difesa del grillismo in caduta libera. Papa straniero ma vizietti molto romani.
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