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2021-08-14
L’università si sveglia: 10.000 adesioni contro il green pass in un solo giorno
Ansa
Persino nel deperito universo intellettuale italiano sta riprendendo a soffiare un alito di vita. Nei giorni scorsi abbiamo dato conto del manifesto realizzato dagli accademici Luca Marini e Francesco Benozzo contro il «nuovo totalitarismo» sanitario. Ora un altro gruppo di uomini e donne di pensiero prende la parola per opporsi con decisione al green pass.
L'avvocato Olga Milanese e lo scrittore Carlo Cuppini hanno lanciato, tramite la piattaforma Avaaz, una petizione intitolata «Green pass: le ragioni del no», che in un giorno ha già raccolto circa 10.000 adesioni, alcune delle quali eccellenti. Tra i firmatari, infatti, ci sono il filosofo Giorgio Agamben, Augusto Sinagra (già magistrato, professore ordinario di diritto dell'Unione europea alla Sapienza), Daniela Danna (ricercatrice in scienza sociale all'università del Salento), Ugo Bardi (professore di chimica all'università di Firenze), Stefano Boni (antropologo dell'università di Modena e Reggio Emilia), Giovanna Campani (professore di pedagogia generale all'università di Firenze), Marco Cosentino (professore ordinario di farmacologia) e tanti altri docenti universitari, avvocati, scienziati, medici, giornalisti, scrittori.
«Da oltre un anno e mezzo, il popolo italiano subisce limitazioni radicali a diritti e libertà considerate fondamentali dalla Costituzione, dalla Cedu e dalla Dichiarazioni dei diritti fondamentali dell'uomo», scrivono i promotori. «Il governo ha approvato una misura - il green pass - che implica l'esclusione in radice dell'accesso ad attività, servizi e luoghi pubblici (teatri, cinema, attività sportive, locali pubblici, fiere, manifestazioni, congressi, eccetera), a una specifica categoria di persone. [...] Il decreto legge del 6 agosto 2021 ha addirittura subordinato la possibilità degli studenti di frequentare l'università e seguire i corsi in aula in presenza al possesso del green pass e ha obbligato il personale scolastico del sistema nazionale di istruzione e universitario a possedere la suddetta certificazione».
I firmatari, senza mai alzare eccessivamente i toni, fanno notare prima di tutto l'incongruenza: «Permane, tuttavia, la libertà della scelta di non sottoporsi al trattamento sanitario della vaccinazione, garantita dall'articolo 32 comma 2 della Costituzione che, pur prevedendo la possibilità che vi siano deroghe stabilite con una legge formale, ammonisce che in nessun caso è possibile violare i limiti imposti dal rispetto della dignità della persona umana. Ne discende che le restrizioni di accesso allo sport, alle attività sociali, culturali, formative, lavorative e di istruzione stabilite tramite il green pass colpiscono una categoria di persone che esercita una libertà costituzionalmente garantita, che viene penalizzata in quanto tale, per via di una propria qualità personale, di una propria condizione e di una libera scelta». In sostanza, concludono gli autori della petizione, «il green pass contrasta con i principi fondanti il nostro ordinamento, sia di matrice costituzionale che comunitaria e internazionale».
Filosofi, scrittori, avvocati e docenti appaiono determinati: «Vista la gravità delle violazioni», scrivono, «dichiariamo la nostra ferma e completa opposizione a questa soluzione politica, indipendentemente da qualunque considerazione di tipo sanitario e scientifico, e da una sua eventuale (assai controversa, per la verità) efficacia pratica. Un fine prioritario condiviso da tutti - controllare l'epidemia e andare verso l'uscita definitiva dall'emergenza sanitaria e sociale - non può giustificare qualunque mezzo. E il green pass italiano è un mezzo che non può essere giustificato e attuato».
Il poeta Marco Guzzi, autore prolifico e di gran livello, tra i primi firmatari della petizione, con La Verità parla esplicitamente di ricatto. «Con il green pass», dice, «si va a ledere la libertà delle persone, ci sono conseguenze sul lavoro, sull'istruzione. Si impone tramite il ricatto una vaccinazione che il governo non vuole rendere obbligatoria per motivi abbastanza ovvi, e soprattutto perché non intende assumersene la responsabilità. Ecco allora che utilizza un sistema ricattatorio che va a incidere sulle libertà fondamentali». Guzzi non è tenero nei confronti degli intellettuali, che accusa di «collaborazionismo».
«Credo che sia il momento di mobilitarsi», dice, «perché sono convinto che questo sia solo l'inizio. Oggi si impone questo lasciapassare sanitario poliziesco. Domani, in virtù di una dichiarata emergenza, si potrebbe persino andare oltre. La cosa più grave», prosegue, «è il clima che si è creato. Hanno messo gli italiani gli uni contro gli altri, siamo a quella che Enzensberger chiamava guerra molecolare di tutti contro tutti». Difficile dargli torto. Così come è difficile contestare le affermazioni cristalline contenute nella petizione. Forse, chissà, questa ennesima scossa riuscirà a destare persino gli intellettuali. Magari anche quelli che, da oltre un anno, dormono il sonno dei vili.
Scuola appesa alle finestre aperte
Non solo green pass e vaccinazione. Per tornare in classe occorrerà l'igiene, visto che serviranno mascherine, distanziamento e finestre aperte. La scuola, forse, ripartirà a settembre con le stesse regole di un anno fa quando è stata immediatamente richiusa. E intanto c'è chi ipotizza un'ondata di contagi alla fine delle vacanze parlando di «incidenza del contagio», visto che l'Rt scende, i ricoveri non sono preoccupanti e i vaccinati aumentano, giusto per «preparare» il terreno a un possibile ritorno alla didattica a distanza.
Il green pass sarà obbligatorio per il personale della scuola, a cominciare dai docenti, anche se i sindacati continuano a contestare la misura. Nessun obbligo sui trasporti pubblici, autobus e metro, che non sappiamo quanto siano stati potenziati per evitare assembramenti di studenti. Non sarà necessario misurare la temperatura all'ingresso a scuola. Previsti turni differenziati di ingresso e uscita e in mensa, per mantenere il distanziamento.
Insieme al green pass e alla vaccinazione, però il principale cambiamento nelle regole per il ritorno in classe è l'indicazione di una maggiore flessibilità del distanziamento. Il metro di distanza, infatti, diventa flessibile non grazie ai famosi quanto inutili banchi a rotelle (ormai in soffitta) ma per l'areazione delle aule affidata non certo a tecnologici condizionatori ma a porte e finestre che devono restare aperte anche se fa freddo. Anche nelle classi super affollate, quelle «pollaio», parola che non piace agli addetti ai lavori, dove si arriva anche a 30 alunni che stanno «vicini vicini» per sei o sette ore. Queste le indicazioni del ministero di Viale Trastevere: «Nelle aule è opportuno tenere aperte leggermente una o più ante delle finestre e/o di eventuali balconi e la porta dell'aula in modo intermittente o continuo. La misura raggiunge la massima efficienza se finestre, balconi e porte si trovano su entrambi i lati dell'aula (ventilazione incrociata) e dovrà essere adottata anche con meteo avverso». Da Bolzano a Palermo e non c'è inverno che tenga.
Secondo quanto già indicato dal Cts il metro di distanza tra un alunno e l'altro e i due metri dalla cattedra diventano una «raccomandazione». Si legge nel protocollo che «laddove le condizioni strutturali logistiche degli edifici scolastici, legate anche alla disponibilità di risorse umane, non consentano il distanziamento di sicurezza interpersonale, resta necessario mantenere le altre misure di prevenzione a partire dalle mascherine». Sarà la scuola a fornirle e si dovranno tenere al banco anche se c'è il distanziamento. Dovranno usarle i bambini dai sei anni in su, anche se per Walter Ricciardi, consigliere del ministro della Salute, Roberto Speranza, sarebbero utili anche all'asilo «nei bimbi dai 24 mesi per cercare di rendere più sicura la scuola». Per gli studenti con disabilità e per gli insegnanti di sostegno si potranno sperimentare anche le mascherine trasparenti.
«Il ministero è al lavoro da mesi per la ripartenza di settembre», chiarisce il ministro Patrizio Bianchi. «Da febbraio abbiamo sempre guardato a questo obiettivo e ci siamo impegnati costantemente per raggiungerlo, in collaborazione anche con le Regioni e gli enti locali, che ringrazio (anche se l'accordo non è stato ancora raggiunto, ndr). Abbiamo stanziato oltre 2 miliardi per il rientro in sicurezza, compresi 270 milioni per l'edilizia scolastica leggera e l'affitto di spazi ulteriori per la didattica. Fondi che distribuiremo, per la prima volta, tenendo conto in via prioritaria della quantità di alunni presenti sui territori e delle classi numerose».
Restano i dubbi sulla quarantena per i vaccinati, sull'obbligo del green pass per i docenti e sulle sanzioni, sospensione dal servizio e stop dello stipendio per assenza ingiustificata dopo cinque giorni senza aver presentato il green pass e multa al preside se non controlla. Presidi e sindacati chiedono di togliere le sanzioni e fare chiarezza se è previsto il licenziamento del personale non in regola. Intanto il ministero ha attivato un help desk per i presidi, i tavoli con i prefetti e consultazioni con enti locali e sindacati.
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Dopo il manifesto anti «totalitarismo sanitario», una petizione scuote gli atenei. Tra le firme gli intellettuali Giorgio Agamben e Augusto Sinagra.La strategia per il ritorno in classe ruota sull'aerazione forzata, «anche con tempo avverso». Nulla di fatto sui trasporti: ci si affida alla card e agli ingressi differenziati.Lo speciale contiene due articoli.Persino nel deperito universo intellettuale italiano sta riprendendo a soffiare un alito di vita. Nei giorni scorsi abbiamo dato conto del manifesto realizzato dagli accademici Luca Marini e Francesco Benozzo contro il «nuovo totalitarismo» sanitario. Ora un altro gruppo di uomini e donne di pensiero prende la parola per opporsi con decisione al green pass. L'avvocato Olga Milanese e lo scrittore Carlo Cuppini hanno lanciato, tramite la piattaforma Avaaz, una petizione intitolata «Green pass: le ragioni del no», che in un giorno ha già raccolto circa 10.000 adesioni, alcune delle quali eccellenti. Tra i firmatari, infatti, ci sono il filosofo Giorgio Agamben, Augusto Sinagra (già magistrato, professore ordinario di diritto dell'Unione europea alla Sapienza), Daniela Danna (ricercatrice in scienza sociale all'università del Salento), Ugo Bardi (professore di chimica all'università di Firenze), Stefano Boni (antropologo dell'università di Modena e Reggio Emilia), Giovanna Campani (professore di pedagogia generale all'università di Firenze), Marco Cosentino (professore ordinario di farmacologia) e tanti altri docenti universitari, avvocati, scienziati, medici, giornalisti, scrittori. «Da oltre un anno e mezzo, il popolo italiano subisce limitazioni radicali a diritti e libertà considerate fondamentali dalla Costituzione, dalla Cedu e dalla Dichiarazioni dei diritti fondamentali dell'uomo», scrivono i promotori. «Il governo ha approvato una misura - il green pass - che implica l'esclusione in radice dell'accesso ad attività, servizi e luoghi pubblici (teatri, cinema, attività sportive, locali pubblici, fiere, manifestazioni, congressi, eccetera), a una specifica categoria di persone. [...] Il decreto legge del 6 agosto 2021 ha addirittura subordinato la possibilità degli studenti di frequentare l'università e seguire i corsi in aula in presenza al possesso del green pass e ha obbligato il personale scolastico del sistema nazionale di istruzione e universitario a possedere la suddetta certificazione». I firmatari, senza mai alzare eccessivamente i toni, fanno notare prima di tutto l'incongruenza: «Permane, tuttavia, la libertà della scelta di non sottoporsi al trattamento sanitario della vaccinazione, garantita dall'articolo 32 comma 2 della Costituzione che, pur prevedendo la possibilità che vi siano deroghe stabilite con una legge formale, ammonisce che in nessun caso è possibile violare i limiti imposti dal rispetto della dignità della persona umana. Ne discende che le restrizioni di accesso allo sport, alle attività sociali, culturali, formative, lavorative e di istruzione stabilite tramite il green pass colpiscono una categoria di persone che esercita una libertà costituzionalmente garantita, che viene penalizzata in quanto tale, per via di una propria qualità personale, di una propria condizione e di una libera scelta». In sostanza, concludono gli autori della petizione, «il green pass contrasta con i principi fondanti il nostro ordinamento, sia di matrice costituzionale che comunitaria e internazionale». Filosofi, scrittori, avvocati e docenti appaiono determinati: «Vista la gravità delle violazioni», scrivono, «dichiariamo la nostra ferma e completa opposizione a questa soluzione politica, indipendentemente da qualunque considerazione di tipo sanitario e scientifico, e da una sua eventuale (assai controversa, per la verità) efficacia pratica. Un fine prioritario condiviso da tutti - controllare l'epidemia e andare verso l'uscita definitiva dall'emergenza sanitaria e sociale - non può giustificare qualunque mezzo. E il green pass italiano è un mezzo che non può essere giustificato e attuato». Il poeta Marco Guzzi, autore prolifico e di gran livello, tra i primi firmatari della petizione, con La Verità parla esplicitamente di ricatto. «Con il green pass», dice, «si va a ledere la libertà delle persone, ci sono conseguenze sul lavoro, sull'istruzione. Si impone tramite il ricatto una vaccinazione che il governo non vuole rendere obbligatoria per motivi abbastanza ovvi, e soprattutto perché non intende assumersene la responsabilità. Ecco allora che utilizza un sistema ricattatorio che va a incidere sulle libertà fondamentali». Guzzi non è tenero nei confronti degli intellettuali, che accusa di «collaborazionismo». «Credo che sia il momento di mobilitarsi», dice, «perché sono convinto che questo sia solo l'inizio. Oggi si impone questo lasciapassare sanitario poliziesco. Domani, in virtù di una dichiarata emergenza, si potrebbe persino andare oltre. La cosa più grave», prosegue, «è il clima che si è creato. Hanno messo gli italiani gli uni contro gli altri, siamo a quella che Enzensberger chiamava guerra molecolare di tutti contro tutti». Difficile dargli torto. Così come è difficile contestare le affermazioni cristalline contenute nella petizione. Forse, chissà, questa ennesima scossa riuscirà a destare persino gli intellettuali. Magari anche quelli che, da oltre un anno, dormono il sonno dei vili. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/universita-adesioni-contro-green-pass-2654663342.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="scuola-appesa-alle-finestre-aperte" data-post-id="2654663342" data-published-at="1628899161" data-use-pagination="False"> Scuola appesa alle finestre aperte Non solo green pass e vaccinazione. Per tornare in classe occorrerà l'igiene, visto che serviranno mascherine, distanziamento e finestre aperte. La scuola, forse, ripartirà a settembre con le stesse regole di un anno fa quando è stata immediatamente richiusa. E intanto c'è chi ipotizza un'ondata di contagi alla fine delle vacanze parlando di «incidenza del contagio», visto che l'Rt scende, i ricoveri non sono preoccupanti e i vaccinati aumentano, giusto per «preparare» il terreno a un possibile ritorno alla didattica a distanza. Il green pass sarà obbligatorio per il personale della scuola, a cominciare dai docenti, anche se i sindacati continuano a contestare la misura. Nessun obbligo sui trasporti pubblici, autobus e metro, che non sappiamo quanto siano stati potenziati per evitare assembramenti di studenti. Non sarà necessario misurare la temperatura all'ingresso a scuola. Previsti turni differenziati di ingresso e uscita e in mensa, per mantenere il distanziamento. Insieme al green pass e alla vaccinazione, però il principale cambiamento nelle regole per il ritorno in classe è l'indicazione di una maggiore flessibilità del distanziamento. Il metro di distanza, infatti, diventa flessibile non grazie ai famosi quanto inutili banchi a rotelle (ormai in soffitta) ma per l'areazione delle aule affidata non certo a tecnologici condizionatori ma a porte e finestre che devono restare aperte anche se fa freddo. Anche nelle classi super affollate, quelle «pollaio», parola che non piace agli addetti ai lavori, dove si arriva anche a 30 alunni che stanno «vicini vicini» per sei o sette ore. Queste le indicazioni del ministero di Viale Trastevere: «Nelle aule è opportuno tenere aperte leggermente una o più ante delle finestre e/o di eventuali balconi e la porta dell'aula in modo intermittente o continuo. La misura raggiunge la massima efficienza se finestre, balconi e porte si trovano su entrambi i lati dell'aula (ventilazione incrociata) e dovrà essere adottata anche con meteo avverso». Da Bolzano a Palermo e non c'è inverno che tenga. Secondo quanto già indicato dal Cts il metro di distanza tra un alunno e l'altro e i due metri dalla cattedra diventano una «raccomandazione». Si legge nel protocollo che «laddove le condizioni strutturali logistiche degli edifici scolastici, legate anche alla disponibilità di risorse umane, non consentano il distanziamento di sicurezza interpersonale, resta necessario mantenere le altre misure di prevenzione a partire dalle mascherine». Sarà la scuola a fornirle e si dovranno tenere al banco anche se c'è il distanziamento. Dovranno usarle i bambini dai sei anni in su, anche se per Walter Ricciardi, consigliere del ministro della Salute, Roberto Speranza, sarebbero utili anche all'asilo «nei bimbi dai 24 mesi per cercare di rendere più sicura la scuola». Per gli studenti con disabilità e per gli insegnanti di sostegno si potranno sperimentare anche le mascherine trasparenti. «Il ministero è al lavoro da mesi per la ripartenza di settembre», chiarisce il ministro Patrizio Bianchi. «Da febbraio abbiamo sempre guardato a questo obiettivo e ci siamo impegnati costantemente per raggiungerlo, in collaborazione anche con le Regioni e gli enti locali, che ringrazio (anche se l'accordo non è stato ancora raggiunto, ndr). Abbiamo stanziato oltre 2 miliardi per il rientro in sicurezza, compresi 270 milioni per l'edilizia scolastica leggera e l'affitto di spazi ulteriori per la didattica. Fondi che distribuiremo, per la prima volta, tenendo conto in via prioritaria della quantità di alunni presenti sui territori e delle classi numerose». Restano i dubbi sulla quarantena per i vaccinati, sull'obbligo del green pass per i docenti e sulle sanzioni, sospensione dal servizio e stop dello stipendio per assenza ingiustificata dopo cinque giorni senza aver presentato il green pass e multa al preside se non controlla. Presidi e sindacati chiedono di togliere le sanzioni e fare chiarezza se è previsto il licenziamento del personale non in regola. Intanto il ministero ha attivato un help desk per i presidi, i tavoli con i prefetti e consultazioni con enti locali e sindacati.
Da sinistra: Bruno Migale, Ezio Simonelli, Vittorio Pisani, Luigi De Siervo, Diego Parente e Maurizio Improta
Questa mattina la Lega Serie A ha ricevuto il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, insieme ad altri vertici della Polizia, per un incontro dedicato alla sicurezza negli stadi e alla gestione dell’ordine pubblico. Obiettivo comune: sviluppare strumenti e iniziative per un calcio più sicuro, inclusivo e rispettoso.
Oggi, negli uffici milanesi della Lega Calcio Serie A, il mondo del calcio professionistico ha ospitato le istituzioni di pubblica sicurezza per un confronto diretto e costruttivo.
Il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, accompagnato da alcune delle figure chiave del dipartimento - il questore di Milano Bruno Migale, il dirigente generale di P.S. prefetto Diego Parente e il presidente dell’Osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive Maurizio Improta - ha incontrato i vertici della Lega, guidati dal presidente Ezio Simonelli, dall’amministratore delegato Luigi De Siervo e dall’head of competitions Andrea Butti.
Al centro dell’incontro, durato circa un’ora, temi di grande rilevanza per il calcio italiano: la sicurezza negli stadi e la gestione dell’ordine pubblico durante le partite di Serie A. Secondo quanto emerso, si è trattato di un momento di dialogo concreto, volto a rafforzare la collaborazione tra istituzioni e club, con l’obiettivo di rendere le competizioni sportive sempre più sicure per tifosi, giocatori e operatori.
Il confronto ha permesso di condividere esperienze, criticità e prospettive future, aprendo la strada a un percorso comune per sviluppare strumenti e iniziative capaci di garantire un ambiente rispettoso e inclusivo. La volontà di entrambe le parti è chiara: non solo prevenire episodi di violenza o disordine, ma anche favorire la cultura del rispetto, elemento indispensabile per la crescita del calcio italiano e per la tutela dei tifosi.
«L’incontro di oggi rappresenta un passo importante nella collaborazione tra Lega e Forze dell’Ordine», si sottolinea nella nota ufficiale diffusa al termine della visita dalla Lega Serie A. L’intenzione condivisa è quella di creare un dialogo costante, capace di tradursi in azioni concrete, procedure aggiornate e interventi mirati negli stadi di tutta Italia.
In un contesto sportivo sempre più complesso, dove la passione dei tifosi può trasformarsi rapidamente in tensione, il dialogo tra Lega e Polizia appare strategico. La sfida, spiegano i partecipanti, è costruire una rete di sicurezza che sia preventiva, reattiva e sostenibile, tutelando chi partecipa agli eventi senza compromettere l’atmosfera che caratterizza il calcio italiano.
L’appuntamento di Milano conferma come la sicurezza negli stadi non sia solo un tema operativo, ma un valore condiviso: la Serie A e le forze dell’ordine intendono camminare insieme, passo dopo passo, verso un calcio sempre più sicuro, inclusivo e rispettoso.
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Due bambini svaniti nel nulla. Mamma e papà non hanno potuto fargli neppure gli auguri di compleanno, qualche giorno fa, quando i due fratellini hanno compiuto 5 e 9 anni in comunità. Eppure una telefonata non si nega neanche al peggior delinquente. Dunque perché a questi genitori viene negato il diritto di vedere e sentire i loro figli? Qual è la grave colpa che avrebbero commesso visto che i bimbi stavano bene?
Un allontanamento che oggi mostra troppi lati oscuri. A partire dal modo in cui quel 16 ottobre i bimbi sono stati portati via con la forza, tra le urla strazianti. Alle ore 11.10, come denunciano le telecamere di sorveglianza della casa, i genitori vengono attirati fuori al cancello da due carabinieri. Alle 11.29 spuntano dal bosco una decina di agenti, armati di tutto punto e col giubbotto antiproiettile. E mentre gridano «Pigliali, pigliali tutti!» fanno irruzione nella casa, dove si trovano, da soli, i bambini. I due fratellini vengono portati fuori dagli agenti, il più piccolo messo a sedere, sulle scale, col pigiamino e senza scarpe. E solo quindici minuti dopo, alle 11,43, come registrano le telecamere, arrivano le assistenti sociali che portano via i bambini tra le urla disperate.
Una procedura al di fuori di ogni regola. Che però ottiene l’appoggio della giudice Nadia Todeschini, del Tribunale dei minori di Firenze. Come riferisce un ispettore ripreso dalle telecamere di sorveglianza della casa: «Ho telefonato alla giudice e le ho detto: “Dottoressa, l’operazione è andata bene. I bambini sono con i carabinieri. E adesso sono arrivati gli assistenti sociali”. E la giudice ha risposto: “Non so come ringraziarvi!”».
Dunque, chi ha dato l’ordine di agire in questo modo? E che trauma è stato inferto a questi bambini? Giriamo la domanda a Marina Terragni, Garante per l’infanzia e l’adolescenza. «Per la nostra Costituzione un bambino non può essere prelevato con la forza», conferma, «per di più se non è in borghese. Ci sono delle sentenze della Cassazione. Queste modalità non sono conformi allo Stato di diritto. Se il bambino non vuole andare, i servizi sociali si debbono fermare. Purtroppo ci stiamo abituando a qualcosa che è fuori legge».
Proviamo a chiedere spiegazioni ai servizi sociali dell’unione Montana dei comuni Valtiberina, ma l’accoglienza non è delle migliori. Prima minacciano di chiamare i carabinieri. Poi, la più giovane ci chiude la porta in faccia con un calcio. È Veronica Savignani, che quella mattina, come mostrano le telecamere, afferra il bimbo come un pacco. E mentre lui scalcia e grida disperato - «Aiuto! Lasciatemi andare» - lei lo rimprovera: «Ma perché urli?». Dopo un po’ i toni cambiano. Esce a parlarci Sara Spaterna. C’era anche lei quel giorno, con la collega Roberta Agostini, per portare via i bambini. Ma l’unica cosa di cui si preoccupa è che «è stata rovinata la sua immagine». E alle nostre domande ripete come una cantilena: «Non posso rispondere». Anche la responsabile dei servizi, Francesca Meazzini, contattata al telefono, si trincera dietro un «non posso dirle nulla».
Al Tribunale dei Minoridi Firenze, invece, parte lo scarica barile. La presidente, Silvia Chiarantini, dice che «l’allontanamento è avvenuto secondo le regole di legge». E ci conferma che i genitori possono vedere i figli in incontri protetti. E allora perché da due mesi a mamma e papà non è stata concessa neppure una telefonata? E chi pagherà per il trauma fatto a questi bambini?
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Il premier: «Il governo ci ha creduto fin dall’inizio, impulso decisivo per nuovi traguardi».
«Il governo ha creduto fin dall’inizio in questa sfida e ha fatto la sua parte per raggiungere questo traguardo. Ringrazio i ministri Lollobrigida e Giuli che hanno seguito il dossier, ma è stata una partita che non abbiamo giocato da soli: abbiamo vinto questa sfida insieme al popolo italiano. Questo riconoscimento imprimerà al sistema Italia un impulso decisivo per raggiungere nuovi traguardi».
Lo ha detto la premier Giorgia Meloni in un videomessaggio celebrando l’entrata della cucina italiana nei patrimoni culturali immateriali dell’umanità. È la prima cucina al mondo a essere riconosciuta nella sua interezza. A deliberarlo, all’unanimità, è stato il Comitato intergovernativo dell’Unesco, riunito a New Delhi, in India.
Ansa
I vaccini a Rna messaggero contro il Covid favoriscono e velocizzano, se a dosi ripetute, la crescita di piccoli tumori già presenti nell’organismo e velocizzano la crescita di metastasi. È quanto emerge dalla letteratura scientifica e, in particolare, dagli esperimenti fatti in vitro sulle cellule e quelli sui topi, così come viene esposto nello studio pubblicato lo scorso 2 dicembre sulla rivista Mdpi da Ciro Isidoro, biologo, medico, patologo e oncologo sperimentale, nonché professore ordinario di patologia generale all’Università del Piemonte orientale di Novara. Lo studio è una review, ovvero una sintesi critica dei lavori scientifici pubblicati finora sull’argomento, e le conclusioni a cui arriva sono assai preoccupanti. Dai dati scientifici emerge che sia il vaccino a mRna contro il Covid sia lo stesso virus possono favorire la crescita di tumori e metastasi già esistenti. Inoltre, alla luce dei dati clinici a disposizione, emerge sempre più chiaramente che a questo rischio di tumori e metastasi «accelerati» appaiono più esposti i vaccinati con più dosi. Fa notare Isidoro: «Proprio a causa delle ripetute vaccinazioni i vaccinati sono più soggetti a contagiarsi e dunque - sebbene sia vero che il vaccino li protegge, ma temporaneamente, dal Covid grave - queste persone si ritrovano nella condizione di poter subire contemporaneamente i rischi oncologici provocati da vaccino e virus naturale messi insieme».
Sono diversi i meccanismi cellulari attraverso cui il vaccino può velocizzare l’andamento del cancro analizzati negli studi citati nella review di Isidoro, intitolata «Sars-Cov2 e vaccini anti-Covid-19 a mRna: Esiste un plausibile legame meccanicistico con il cancro?». Tra questi studi, alcuni rilevano che, in conseguenza della vaccinazione anti-Covid a mRna - e anche in conseguenza del Covid -, «si riduce Ace 2», enzima convertitore di una molecola chiamata angiotensina II, favorendo il permanere di questa molecola che favorisce a sua volta la proliferazione dei tumori. Altri dati analizzati nella review dimostrano inoltre che sia il virus che i vaccini di nuova generazione portano ad attivazione di geni e dunque all’attivazione di cellule tumorali. Altri dati ancora mostrano come sia il virus che il vaccino inibiscano l’espressione di proteine che proteggono dalle mutazioni del Dna.
Insomma, il vaccino anti-Covid, così come il virus, interferisce nei meccanismi cellulari di protezione dal cancro esponendo a maggiori rischi chi ha già una predisposizione genetica alla formazione di cellule tumorali e i malati oncologici con tumori dormienti, spiega Isidoro, facendo notare come i vaccinati con tre o più dosi si sono rivelati più esposti al contagio «perché il sistema immunitario in qualche modo viene ingannato e si adatta alla spike e dunque rende queste persone più suscettibili ad infettarsi».
Nella review anche alcune conferme agli esperimenti in vitro che arrivano dal mondo reale, come uno studio retrospettivo basato su un’ampia coorte di individui non vaccinati (595.007) e vaccinati (2.380.028) a Seul, che ha rilevato un’associazione tra vaccinazione e aumento del rischio di cancro alla tiroide, allo stomaco, al colon-retto, al polmone, al seno e alla prostata. «Questi dati se considerati nel loro insieme», spiega Isidoro, «convergono alla stessa conclusione: dovrebbero suscitare sospetti e stimolare una discussione nella comunità scientifica».
D’altra parte, anche Katalin Karikó, la biochimica vincitrice nel 2023 del Nobel per la Medicina proprio in virtù dei suoi studi sull’Rna applicati ai vaccini anti Covid, aveva parlato di questi possibili effetti collaterali di «acceleratore di tumori già esistenti». In particolare, in un’intervista rilasciata a Die Welt lo scorso gennaio, la ricercatrice ungherese aveva riferito della conversazione con una donna sulla quale, due giorni dopo l’inoculazione, era comparso «un grosso nodulo al seno». La signora aveva attribuito l’insorgenza del cancro al vaccino, mentre la scienziata lo escludeva ma tuttavia forniva una spiegazione del fenomeno: «Il cancro c’era già», spiegava Karikó, «e la vaccinazione ha dato una spinta in più al sistema immunitario, così che le cellule di difesa immunitaria si sono precipitate in gran numero sul nemico», sostenendo, infine, che il vaccino avrebbe consentito alla malcapitata di «scoprire più velocemente il cancro», affermazione che ha lasciato e ancor di più oggi lascia - alla luce di questo studio di Isidoro - irrisolti tanti interrogativi, soprattutto di fronte all’incremento in numero dei cosiddetti turbo-cancri e alla riattivazione di metastasi in malati oncologici, tutti eventi che si sono manifestati post vaccinazione anti- Covid e non hanno trovato altro tipo di plausibilità biologica diversa da una possibile correlazione con i preparati a mRna.
«Marginale il gabinetto di Speranza»
Mentre eravamo chiusi in casa durante il lockdown, il più lungo di tutti i Paesi occidentali, ognuno di noi era certo in cuor suo che i decisori che apparecchiavano ogni giorno alle 18 il tragico rito della lettura dei contagi e dei decessi sapessero ciò che stavano facendo. In realtà, al netto di un accettabile margine di impreparazione vista l’emergenza del tutto nuova, nelle tante stanze dei bottoni che il governo Pd-M5S di allora, guidato da Giuseppe Conte, aveva istituito, andavano tutti in ordine sparso. E l’audizione in commissione Covid del proctologo del San Raffaele Pierpaolo Sileri, allora viceministro alla Salute in quota 5 stelle, ha reso ancor più tangibile il livello d’improvvisazione e sciatteria di chi allora prese le decisioni e oggi è impegnato in tripli salti carpiati pur di rinnegarne la paternità. È il caso, ad esempio, del senatore Francesco Boccia del Pd, che ieri è intervenuto con zelante sollecitudine rivolgendo a Sileri alcune domande che son suonate più come ingannevoli asseverazioni. Una per tutte: «Io penso che il gabinetto del ministero della salute (guidato da Roberto Speranza, ndr) fosse assolutamente marginale, decidevano Protezione civile e coordinamento dei ministri». Il senso dell’intervento di Boccia non è difficile da cogliere: minimizzare le responsabilità del primo imputato della malagestione pandemica, Speranza, collega di partito di Boccia, e rovesciare gli oneri ora sul Cts, ora sulla Protezione civile, eventualmente sul governo ma in senso collegiale. «Puoi chiarire questi aspetti così li mettiamo a verbale?», ha chiesto Boccia a Sileri. L’ex sottosegretario alla salute, però, non ha dato la risposta desiderata: «Il mio ruolo era marginale», ha dichiarato Sileri, impegnato a sua volta a liberarsi del peso degli errori e delle omissioni in nome di un malcelato «io non c’ero, e se c’ero dormivo», «il Cts faceva la valutazione scientifica e la dava alla politica. Era il governo che poi decideva». Quello stesso governo dove Speranza, per forza di cose, allora era il componente più rilevante. Sileri ha dichiarato di essere stato isolato dai funzionari del ministero: «Alle riunioni non credo aver preso parte se non una volta» e «i Dpcm li ricevevo direttamente in aula, non ne avevo nemmeno una copia». Che questo racconto sia funzionale all’obiettivo di scaricare le responsabilità su altri, è un dato di fatto, ma l’immagine che ne esce è quella di decisori «inadeguati e tragicomici», come ebbe già ad ammettere l’altro sottosegretario Sandra Zampa (Pd).Anche sull’adozione dell’antiscientifica «terapia» a base di paracetamolo (Tachipirina) e vigile attesa, Sileri ha dichiarato di essere totalmente estraneo alla decisione: «Non so chi ha redatto la circolare del 30 novembre 2020 che dava agli antinfiammatori un ruolo marginale, ne ho scoperto l’esistenza soltanto dopo che era già uscita». Certo, ha ammesso, a novembre poteva essere dato maggiore spazio ai Fans perché «da marzo avevamo capito che non erano poi così malvagi». Bontà sua. Per Alice Buonguerrieri (Fdi) «è la conferma che la gestione del Covid affogasse nella confusione più assoluta». Boccia è tornato all’attacco anche sul piano pandemico: «Alcuni virologi hanno ribadito che era scientificamente impossibile averlo su Sars Cov-2, confermi?». «L'impatto era inatteso, ma ovviamente avere un piano pandemico aggiornato avrebbe fatto grosse differenze», ha replicato Sileri, che nel corso dell’audizione ha anche preso le distanze dalle misure suggerite dall’Oms che «aveva un grosso peso politico da parte dalla Cina». «I burocrati nominati da Speranza sono stati lasciati spadroneggiare per coprire le scelte errate dei vertici politici», è il commento di Antonella Zedda, vicepresidente dei senatori di Fratelli d’Italia, alla «chicca» emersa in commissione: un messaggio di fuoco che l’allora capo di gabinetto del ministero Goffredo Zaccardi indirizzò a Sileri («Stai buono o tiro fuori i dossier che ho nel cassetto», avrebbe scritto).In che mani siamo stati.
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