
Le rimostranze sullo Stato di diritto (il cui rispetto è necessario anche per far parte dell’Alleanza atlantica) sono un pretesto per neutralizzare i conservatori in Consiglio Ue. E blindare il dominio di Parigi e Berlino.Lo Stato di diritto quando fa comodo: se sei imputato in Ungheria, vuoi l’immunità perché l’Ungheria non è uno Stato di diritto; allora chiedi il processo in Italia, di cui però, ogni due per tre, vai raccontando che non è uno Stato di diritto, perché rinchiude i poveri migranti in prigione e sfratta chi occupa le case. È la logica a corrente alternata di Ilaria Salis. La quale scorda che, per portarla alla sbarra nel nostro Paese, come sostiene di preferire, occorrerebbe l’iniziativa di una Procura generale. O forse l’onorevole pretende che, sempre in nome dello Stato di diritto, anziché agire in autonomia, i pm siano diretti da lei medesima o dal governo? Tipo in Ungheria?Il ritratto del presunto regime di Viktor Orbán, da horror, è diventato comico. Lui ci ha messo del suo, certo, essendosi proclamato paladino della «democrazia illiberale». E ormai i progressisti d’Europa hanno buon gioco a spacciare qualunque sua mossa per un attentato ai diritti umani. L’ultima volta è capitato con la «legge anti pride». L’esecutivo magiaro parlava di protezione dei minori. La sinistra paventava persecuzioni e rastrellamenti degli omosessuali. Tanto che, lo scorso giugno, il campo larghissimo, da Elly Schlein a Carlo Calenda, s’era dato appuntamento a Budapest per presidiare la sfilata dei carri Lgbt. La carnevalata è andata liscissima: funerale dello Stato di diritto rinviato.Ora è arrivato il voto della Commissione Juri del Parlamento Ue, che salverebbe la Salis dal processo in Ungheria, dove l’onorevole di Avs è accusata, da magistrati che nessuna prova consente di considerare fantocci di Orbán, di aver picchiato alcuni militanti di estrema destra. Il verdetto finale spetterà, i primi di ottobre, al plenum dell’Eurocamera. L’esponente di The Left contesta l’inaffidabilità del sistema giudiziario, che sarebbe sotto il giogo del premier conservatore. Altri contestano le pene sproporzionate. Non è un po’ tardi per accorgersi che un membro Ue non ha il Codice penale scritto da Cesare Beccaria?Il portavoce di Orbán ritiene che i «compagni» della Salis la stiano soccorrendo solo per «attaccare l’Ungheria». Zoltan Kovacs, addirittura, la definisce «terrorista antifascista», «criminale pericolosa» che «merita di essere in prigione» e le rinfaccia di aver indetto una conferenza stampa nella quale si è assistito a una «confessione di colpa». La Salis non è Mohammed Atta, ma se pretendere di scegliersi tribunale e giuria, anche a lei suggeriamo un ripasso sullo Stato di diritto.Sono anni che l’Ungheria, sulla questione, è in lotta con l’Ue. Di mezzo ci sono state la minaccia di congelare le prerogative di Budapest in seno all’Unione (la cosiddetta «opzione nucleare») e la sospensione dei fondi del Recovery. A Bruxelles non sembrano altrettanto severi con l’Ucraina, della quale sognano di accelerare il processo di integrazione. La Commissione inscena una recita: esige riforme e poi si complimenta con Volodymyr Zelensky per averle compiute. È costretta a storcere il naso quando Kiev la combina proprio grossa, come con la norma - poi abortita - che esautorava l’autorità anticorruzione. Ma nessuno ha fiatato quando si è scoperto che il sabotatore del Nord Stream era un ex militare ucraino. Fosse stato ungherese?La questione dello Stato di diritto è un grimaldello per neutralizzare una minoranza fastidiosa nel Consiglio europeo. Se il signor Veto è quello che distorce la giustizia e vessa gli avversari, diventa più facile giustificare la rimozione del principio dell’unanimità. È più facile raccontare che urge ridurre all’irrilevanza il dispotico Orbán, piuttosto che ammettere che Parigi e Berlino vogliono assicurarsi il controllo delle decisioni che contano. E che la sinistra italiana è pronta a stendere loro la guida rossa.Sì: in Ungheria non la pensano come nella Francia di Emmanuel Macron o nella Spagna di Pedro Sánchez. E quindi? Non era il pluralismo a distinguere l’Unione europea dall’Unione sovietica? D’altra parte, se si tratta di mantenere la Nato proiettata verso Est, le disquisizioni sullo Stato di diritto magiaro evaporano. Orbán ha una posizione eccentrica anche sulla Russia. Ursula von der Leyen non vede l’ora di togliersi la spina nel fianco, che la ostacola sull’adesione dell’Ucraina all’Ue, sullo stop al gas di Mosca, sui piani di riarmo e sull’escalation. Ma l’Alleanza atlantica si guarda dal dare il benservito a un presidio ex Urss, che altrimenti regalerebbe a Vladimir Putin. Eppure, formalmente, anche la Nato richiede che i Paesi membri si impegnino a tutelare lo Stato di diritto. Ha già dimostrato di avere le maglie larghe con la Turchia di Recep Erdogan, di sicuro più vicino a un autocrate di quanto non lo sia Orbán: basta vedere come se la passa il sindaco di sinistra di Budapest rispetto all’omologo di Istanbul, arrestato e fatto decadere dalla carica perché insidiava la leadership del Sultano. Ecco: Ilaria Salis avrebbe dovuto essere processata nella città del liberale Gergely Karácsony, mica farsi detenere in una cella di Istanbul. O finire davanti a una corte marziale di Kiev.
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