2019-04-11
        Un quinto delle società italiane a partecipazione pubblica è in perdita
    
True
 
A dirlo è un'indagine del Centro studi ImpresaLavoro, realizzata su elaborazione dei dati della Corte dei Conti. Secondo l'istituto, degli attuali 5.776 enti a partecipazione pubblica, circa il 20% (1.198 compagnie) è in perdita e 2.272 società hanno un valore della produzione inferiore a 500.000 euro.Non solo, dunque, avere lo Stato nella compagine societaria non sembra essere un aiuto, ma stando allo studio, le aziende a partecipazione pubblica in Italia sono tantissime e per la maggior parte con pochi dipendenti. Un universo frastagliato di compagnie di cui quasi un terzo (1.798) hanno un numero di dipendenti inferiori ai membri del proprio cda, mentre più di due terzi (4.052) operano con meno di 20 dipendenti. In totale, inoltre, su 5.776 società prese in esame, 1.104 sono a totale partecipazione pubblica. L'analisi riguarda gli ultimi bilanci civilistici disponibili (anno 2016) e i dati numerici degli organismi sono messi in relazione alla tipologia di partecipazione, alla presenza di risultati di esercizio negativi e al numero complessivo del personale dipendente al fine di valutare le ricadute occupazionali di eventuali provvedimenti di dismissione. Dal censimento effettuato dal Centro studi ImpresaLavoro sugli enti territoriali, dunque, nel complesso le partecipazioni che dovrebbero venire meno sono circa il 23% del totale.Quanto alla collocazione geografica dei 5.776 organismi partecipati dallo Stato è stato seguito il criterio della sede legale, per ovviare al problema di organismi partecipati da una pluralità di Enti insistenti su diversi ambiti territoriali. Ma dove è in Italia la maggiore concentrazione di aziende pubbliche? A livello geografico, grazie ai dati della Corte dei Conti, si può notare una significativa prevalenza di organismi partecipati dagli nel Nordovest del Paese (il 29,55% del totale esaminato), seguiti da quelli collocati nel Nordest (il 28,96%), a fronte di una presenza inferiore al Centro (20,64%) e soprattutto al Sud e nelle Isole (rispettivamente 14,46% e 6,27%). Per quanto riguarda le singole Regioni, la maggior parte delle partecipate si concentra in Lombardia (16,7% del totale), Emilia Romagna (9,6%), Toscana (9,5%) e Veneto (9%), Piemonte (8,3%), Trentino Alto Adige (7,5%), Campania (4,7%), Lazio e Marche (4,2%).Dando uno sguardo alla gestione finanziaria degli organismi oggetto dell'indagine, i debiti degli organismi partecipati ammontano nel complesso a 104,41 miliardi di euro (il 74% dei quali contratti dalle partecipate nel Nord Italia). In testa a questa classifica troviamo gli enti con sede in Lombardia (26,52 miliardi), Friuli Venezia Giulia (12,71 miliardi), Lazio (11,28 miliardi), Emilia Romagna (8,89 miliardi), Veneto (7,28 miliardi), Piemonte (7,10 miliardi), Toscana (5,39 miliardi) e Trentino Alto Adige (5,16 miliardi). Seguono poi la Campania (3,9 miliardi), la Sicilia (3,2 miliardi) e la Liguria (3,1 miliardi).Secondo i dati Istat sulle partecipate pubbliche, i settori con il maggior numero di imprese partecipate attive sono le attività professionali, scientifiche e tecniche (vi opera il 14,3% delle partecipate e il 3,2% degli addetti) e il trasporto e magazzinaggio (rispettivamente 10,6% e 38,1%).Le compagnie attive partecipate da almeno una amministrazione pubblica regionale o locale sono il 70% e occupano il 46,9% degli addetti totali. Le imprese a controllo pubblico (quindi in cui lo Stato ha la maggioranza del capitale sociale) sono 3.960 ed impiegano 610.771 addetti; al netto delle attività finanziarie e assicurative generano oltre 55 miliardi di valore aggiunto, pari al 9,5% di quello realizzato dal complesso delle imprese dell'industria e dei servizi.«Le migliaia di aziende partecipate da Comuni, Province e Regioni molto spesso non sono indispensabili e producono debiti rilevanti, sottraendo quote di mercato alle aziende private che operano nel loro stesso settore» osserva l'imprenditore Massimo Blasoni, presidente del Centro studi ImpresaLavoro. «I dati della Corte dei Conti parlano chiaro: queste realtà servono soltanto a chi vi lavora e andrebbero semplicemente dismesse. Un obiettivo che peraltro era espressamente previsto dalla Riforma Madia ma che purtroppo ancora oggi è rimasto lettera morta».
        Matteo Salvini e Giorgia Meloni (Ansa)
    
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