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2018-12-28
Un morto e quattro feriti. Il peggio degli ultrà si è radunato a San Siro con mazze e roncole
ANSA
Milano, ore 19.30 del giorno di Santo Stefano, angolo tra via Fratelli Zoia e via Novara: dieci furgoncini da nove posti l'uno partiti da Napoli sono fermi in coda nel traffico meneghino, insieme ad altre auto. La polizia li attende a due minuti di strada per scortarli allo stadio Meazza, dopo esser stata avvisata via radio da una volante che li aveva notati all'uscita della tangenziale e aveva cominciato a seguirli. Un gruppo di ultrà nerazzurri, affiancati anche da elementi provenienti dalle curve del Nizza e del Varese (circa 100 persone coperte da cappucci e passamontagna) anticipa il servizio d'ordine e si fa strada tra le auto. L'assalto è immediato. Il primo furgoncino viene colpito con mazze da baseball e bastoni. I tifosi del Napoli scendono e in strada scoppia la rissa: quattro ultrà partenopei vengono accoltellati durante gli scontri. Tre di loro verranno medicati sul posto. Il quarto, con un brutto taglio all'altezza dell'addome, finirà in codice giallo all'ospedale Sacco. Sono minuti di violenza cieca, poi, all'arrivo in forze della polizia, scatta una fuga generale. Tra i fumogeni e le auto che sgommano, un Suv di colore scuro fa manovra, si sposta sulla corsia di sorpasso e, contromano, parte a tutto gas. Nelle immagini recuperate dalla Digos si vede che il mezzo urta un uomo e lo sbalza a terra. L'indagine della polizia sugli scontri tra i tifosi della partita Inter-Napoli di mercoledì comincia da qui. Da questo momento preciso. E da un'accusa che, con molta probabilità, sarà omicidio stradale: «Non si sa chi era alla guida del Suv e non abbiamo nemmeno la certezza che si sia accorto», ha spiegato il questore di Milano, Marcello Cardona.
La vittima della manovra era fra gli ultrà dell'Inter: Daniele Belardinelli detto Dede, classe 1983, di Varese, piastrellista con una passione per le arti marziali, indicato come uno dei capi della frangia di tifosi del Varese calcio (gemellati con gli ultrà dell'Inter) denominata Blood & Honour, Sangue e onore, motto della gioventù hitleriana. Belardinelli aveva precedenti specifici per reati da stadio e due Daspo (diffide dalla partecipazione a eventi sportivi) alle spalle. Nel 2007 diede un schiaffo a Sean Sogliano, all'epoca direttore sportivo del Varese, perché non voleva far scendere in campo la squadra dopo la morte del tifoso laziale Gabriele Sandri. Scontato il primo Daspo, fu coinvolto in uno scontro tra tifoserie durante una partita amichevole tra Como e Inter (occasione in cui, esattamente come l'altroieri, i tifosi del Varese si recarono sul Lario per dar man forte agli interisti contro i rivali di turno) che gli costò altri cinque anni di lontananza coatta dagli stadi. A Varese era noto anche per i suoi successi nella scherma corta con la Fight academy di Morazzone (paese in cui viveva). Era infatti campione in tutte le specialità di gara: coltello, giacca e coltello e capraia.
«I primi ad attirare l'attenzione sulla vittima», ha spiegato il questore, «sono stati i tifosi del Napoli, poi quelli dell'Inter lo hanno portato in macchina in ospedale». I medici hanno provato disperatamente a intervenire sulle gravi lesioni alla milza, all'aorta toracica e addominale e sulle diverse fratture, tra cui quella al femore. Ma non c'è stato nulla da fare e, ieri mattina alle 4.30, l'ultrà del Varese è morto. «Si sono dette molte cose sbagliate su di lui», ha dichiarato ieri la moglie Cristina a Varesenews, «era un bravo padre e un gran lavoratore. La casa, le macchine e il furgone sono il frutto del suo lavoro». Anche dal mondo del basket arrivano attestati di stima per Belardinelli: dalla tifoseria organizzata della curva dell'Olimpia Milano al Forum di Assago fanno sapere di aver avuto «il privilegio di conoscerlo e di ammirare il suo esempio di stile ultrà».
Nessuno si sbilancia su un possibile legame tra i tafferugli e l'investimento. Anche perché la dinamica è ancora in fase di analisi e gli investigatori stanno ancora raccogliendo i video amatoriali girati con gli smartphone dai passanti. L'investitore anonimo potrebbe anche essere un automobilista che si è trovato lì per caso e che, preso dal panico, ha azzardato la manovra ed è partito a tutta velocità. Oppure potrebbe trattarsi di un tifoso che cercava di raggiungere lo stadio, anche se, confermano gli investigatori, di solito soltanto i furgoncini viaggiano in carovana. E se da un lato la polizia è concentrata nella caccia al pirata della strada, dall'altro sta cercando di individuare uno a uno i facinorosi che hanno eseguito quella che il questore ha definito «un'azione squadrista». Che, probabilmente, le tifoserie meditavano già da tempo. Gli ultrà del Nizza (che come quelli del Varese sono gemellati con i nerazzurri) non erano ancora riusciti a regolare i conti con i napoletani per gli scontri durante i preliminari di Champions League del 2017. L'agguato, insomma, per la dinamica con cui si è sviluppato, ha tutta l'aria di essere stato premeditato. Anche per questo motivo in Questura si respira aria pesante. Il questore (per motivi di ordine pubblico che, si apprende da fonti dell'ufficio di gabinetto, motiverà nelle sedi opportune) ha chiesto di vietare le trasferte dell'Inter fino alla fine del campionato e la chiusura della curva Nord di San Siro fino a marzo 2019 (ovvero altre cinque partite). Tre ultrà interisti coinvolti nella guerriglia sono stati già individuati e arrestati. L'accusa è rissa aggravata e lesioni personali. Su quella che gli investigatori ora chiamano «scena dell'evento» è stata recuperata, tra vari bastoni, spranghe e martelli, anche una roncola. «Saranno emessi Daspo durissimi per tutti quelli che hanno partecipato all'agguato», ha annunciato il questore, proprio mentre i suoi uomini, dopo le perquisizioni nelle abitazioni dei sospettati, stanno valutando almeno nove provvedimenti da emettere nelle prossime ore.
Fabio Amendolara
I guai del calcio non si risolveranno con l’antirazzismo della domenica
Tutti eroi del giorno dopo. Tutti in corsa per l'Abbondino d'oro, premio alla carriera dedicato a chi si avvicina di più al don Abbondio manzoniano. Quello che decideva di non decidere perché «il coraggio uno non se lo può dare». Il sindaco, l'arbitro, il questore, l'allenatore, i colleghi in campo, il procuratore federale; tutti protagonisti a San Siro durante Inter-Napoli dello stesso triste presepe che in Italia va di moda da Natale a Ferragosto: quello dello scaricabarile. Perché il problema del razzismo negli stadi non riguarda soltanto una minoranza di imbecilli che alimentano le loro frustrazioni ululando contro gli avversari di colore, ma affonda le sue radici nell'insipienza, nella cattiva coscienza, nell'inettitudine delle autorità incapaci di far rispettare regole solennemente stabilite.
Da noi funziona a meraviglia solo la filosofia della «prossima volta». Per accorgersene basta ascoltare le dichiarazioni delle statuine gallonate il giorno dopo i fatti, quando Kalidou Koulibaly era ormai uscito di scena cornuto e mazziato; quando la partita era inevitabilmente virata in rissa (da boxing game a game di boxe); quando le tv che pagano miliardi per comprare un simile spettacolo avevano mostrato ovvia indignazione. Allora, solo allora, le autorità hanno aperto le imposte e hanno fatto capolino da dietro le loro tendine di pizzo. Il sindaco arcobaleno di Milano, Beppe Sala, è stato il primo in ordine di apparizione: «Chiedo scusa al giocatore insultato a nome mio e della Milano sana, che vuol testimoniare che si può sentirsi fratelli nonostante i tempi difficili in cui viviamo. Mi piacerebbe che a Empoli la fascia di capitano dell'Inter la portasse Asamoah. La prossima volta ai primi buu mi alzerò e me ne andrò».
Poteva farlo in diretta. Uscire dalla tribuna d'onore è facile, basta chiedere a Javier Zanetti di spostarsi un attimo. In Italia non mancano mai l'indignazione del giorno dopo e la minaccia civile: c'è sempre una prossima volta. Anche per il questore Marcello Cardona, ex arbitro, che spiega: «Qui siamo nella demenza di offendere la squadra avversaria anche quando ci sono giocatori di colore nella propria. Dopo gli ultimi cori a cinque minuti dalla fine la partita andava sospesa». E perché mai la massima autorità di pubblica sicurezza della città non l'ha fatta sospendere? «Era il caso di creare casino pubblico con tutto quello che stava succedendo? No».
In attesa di sapere quando è il caso - di sicuro «la prossima volta» -, e in attesa di vedere i giocatori di colore della squadra avversaria, per esempio dell'Inter, andarsene per solidarietà (sarebbe un gesto impagabile, mai che succeda), registriamo la dichiarazione dell'allenatore del Napoli, Carlo Ancelotti: «Abbiamo chiesto tre volte la sospensione ma niente. La prossima volta ci fermiamo noi, dobbiamo lasciare il campo». Poteva alzarsi dalla panchina, andare dal collega Luciano Spalletti e dirgli: «Se tu non ti vergogni per ciò che succede, mi vergogno io. Ce ne andiamo insieme o me ne vado da solo. Ciao». Non ha avuto il coraggio di farlo, anche per lui c'è sempre una prossima volta, anche lui don Abbondio.
Ora chiacchierano tutti, anzi fanno a gara, si arrampicano l'uno sulle frasi dell'altro, salgono sulla babele di congetture, promettono pene esemplari. Ma mentre i buu travolgevano Koulibaly e la sua dignità, nessuno si è mosso. E non raccontiamoci la favola della sorpresa, perché gli stessi latrati si sentono tutte le domeniche in tutte le partite, quando non compaiono le banane. Dov'era l'arbitro Paolo Silvio Mazzoleni, che avrebbe potuto sospendere la gara? Aveva forse un brano dei Deep Purple a palla negli auricolari?
«È l'ultima che mi fai, domani ti punisco». Molti genitori sanno che questo è il modo migliore per trasformare figli vivaci in bimbi minkia autoreferenziali e fuori controllo; figuriamoci se il metodo può funzionare con gli ultrà inclini al razzismo più becero. Con la filosofia della «prossima volta» non si va lontani, al massimo si finisce per penalizzare la parte sana della tifoseria con le squalifiche del campo. Il peggio non poteva che arrivare dalla Procura federale, l'organo di disciplina sportiva, che ha un suo rappresentante negli stadi e dovrebbe coordinarsi con il questore per indurre il mondo sportivo a prendere le decisioni più gravi. Ventiquattro ore dopo i fatti, il procuratore Giuseppe Pecoraro affermava, come se si trattasse di un caso del tutto teorico riguardante qualcosa avvenuto in Alaska: «Per me quella partita andava sospesa».
Il razzismo negli stadi si debella con due parole che ovunque hanno un senso, ma nell'Italia tutta incenso e sacrestia fanno ribrezzo: legge e ordine. In Inghilterra la violenza è stata debellata così. Ancora oggi esistono gli hooligans e le risse nei pub di Liverpool o di Manchester non fanno notizia. Ma dentro gli stadi non si sente volare una mosca perché chi viola le regole finisce in carcere: processo per direttissima, Daspo a vita, prigione. E il conto dei danneggiamenti recapitato a casa. Funziona.
Da noi si tende a dilazionare, a giustificare, a voler applicare anche laddove è impossibile l'ipocrisia del perdonismo. Tre anni fa a Bergamo, per stroncare un raid vergognoso in centro città fra le mamme con i passeggini, la polizia arrestò una quindicina di ultrà. Alcuni minorenni, tutti incarcerati. Nei giorni successivi la questura si trovò davanti a un problema inatteso; i genitori in processione ne chiedevano la liberazione, accompagnati da amici sacerdoti e da un'unica inquietante giustificazione: «In fondo sono tutti figli di questa terra».
Gridare al lupo prima e lavarsi la coscienza dopo (all'italiana) è perdente, mortificante. Ecco perché responsabili delle miserie da stadio non sono solo i teppisti ma anche chi, pur avendone l'autorità, non fa rispettare le leggi. Se non domani. L'ultima statuetta del triste presepe è il professionista della strumentalizzazione, colui che (come spiegava Albert Camus ne La peste) getta topi infetti dai tombini. Il sindaco di Napoli, Luigi De Magistris, ha parlato di «razzismo di Stato». «Poteva mai essere sospesa la partita in un Paese che vede nel governo un ministro dell'Interno che dovrebbe garantire la sicurezza negli stadi, ma che cantava qualche anno fa cori razzisti contro i napoletani?».
Buttarla in politica significa dare forza ai reprobi. E costringere Koulibaly a scendere in campo anche la prossima volta con i tappi nelle orecchie.
Giorgio Gandola
Meazza chiuso, castigati gli onesti
Il conto della vergogna dei cori e degli ululati razzisti partiti dalla curva nord di San Siro nel corso di Inter-Napoli lo pagheranno i tifosi perbene: il giudice sportivo, Gerardo Mastrandrea, ieri ha inflitto alla società nerazzurra due gare a porte chiuse, mentre una terza verrà disputata con la sola curva chiusa. L'Inter giocherà senza il suo pubblico il match di Coppa Italia contro il Benevento (il prossimo 13 gennaio) e quello contro il Sassuolo alla ripresa del campionato di serie A (19 gennaio). La sanzione, si legge nella motivazione, è stata inflitta per «cori insultanti di matrice territoriale, reiterati per tutta la durata della gara, nei confronti dei sostenitori della squadra avversaria, provenienti dalla grande maggioranza dei tifosi assiepati nel settore indicato e percepiti anche in tutto l'impianto» e per «coro denigratorio di matrice razziale» indirizzato al difensore del Napoli Kalidou Koulibaly.
Per lo stesso Koulibaly arriva una squalifica per due giornate, «per comportamento scorretto nei confronti di un avversario; già diffidato (una giornata); per avere, al 35° del secondo tempo, dopo la notifica del provvedimento di ammonizione, rivolto al direttore di gara un ironico applauso (una giornata)». Due turni di squalifica anche per Lorenzo Insigne, attaccante dei partenopei espulso «al 48° del secondo tempo per avere rivolto al direttore di gara un epiteto gravemente insultante, sanzione aggravata perché capitano».
Il questore di Milano, Marcello Cardona, aveva chiesto di «vietare le trasferte dell'Inter fino al termine del campionato» e «l'immediata chiusura della curva per cinque giornate e una di Coppa Italia, fino al 31 marzo 2019». La Prefettura di Firenze - per competenza territoriale - ha deciso di chiudere il settore ospiti per la gara tra Empoli e Inter in programma domani nella cittadina toscana. Sarà anche proibita la vendita di biglietti per lo stadio Castellani ai residenti in Lombardia.
Ancora una volta, dunque, la stupidità di un manipolo di ignoranti finisce per colpire i veri tifosi, gli appassionati di calcio, le famiglie che vanno allo stadio per godersi lo spettacolo e sostenere la propria squadra. Subito dopo l'annuncio della chiusura di San Siro per due turni, sui social network si sono moltiplicate le proteste dei tifosi interisti e in particolare degli abbonati, che non potranno assistere alle prossime due partite, con un danno economico e morale non indifferente.
In molti, dopo la morte dell'ultrà Daniele Belardinelli, avevano chiesto lo stop al campionato di Serie A, ma la Figc ha detto no: il prossimo turno si disputerà regolarmente. «Sabato in Serie A si gioca», ha detto il presidente della Figc, Gabriele Gravina, «ho parlato un po' con tutti per sentire il clima intorno a ciò che è successo ieri e all'unanimità, dai sottosegretari Giorgetti e Valente alla Lega di Serie A e al presidente del Coni, abbiamo deciso di andare avanti».
Intanto, sul campionato incombe il braccio di ferro tra Carlo Ancelotti e la Figc. Il tecnico azzurro, che ha lamentato la mancata sospensione della partita, ha annunciato che se dovessero ripetersi cori razzisti sarà il Napoli a lasciare il campo. «Se una squadra», ha risposto Gravina, «decidesse di lasciare il campo per cori razzisti violerebbe le norme».
Carlo Tarallo
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Agguato alla carovana di tifosi napoletani: a dar man forte agli interisti sono arrivati pure da Nizza e da Varese, come l'uomo investito e ucciso.Il giocatore africano Kalidou Koulibaly è stato insultato per il colore della pelle senza che nessuno (dalle istituzioni alla Figc, alle squadre) abbia mosso un dito. Sul tema fa comodo solo urlare. Rigorosamente dopo i fattacci.Due turni di squalifica allo stadio, colpiti anche gli abbonati che non c'entrano nulla con le bestialità dell'altra sera. Ipotesi assurda: fermare la A. Gravina: «No, si gioca».Lo speciale contiene tre articoli Milano, ore 19.30 del giorno di Santo Stefano, angolo tra via Fratelli Zoia e via Novara: dieci furgoncini da nove posti l'uno partiti da Napoli sono fermi in coda nel traffico meneghino, insieme ad altre auto. La polizia li attende a due minuti di strada per scortarli allo stadio Meazza, dopo esser stata avvisata via radio da una volante che li aveva notati all'uscita della tangenziale e aveva cominciato a seguirli. Un gruppo di ultrà nerazzurri, affiancati anche da elementi provenienti dalle curve del Nizza e del Varese (circa 100 persone coperte da cappucci e passamontagna) anticipa il servizio d'ordine e si fa strada tra le auto. L'assalto è immediato. Il primo furgoncino viene colpito con mazze da baseball e bastoni. I tifosi del Napoli scendono e in strada scoppia la rissa: quattro ultrà partenopei vengono accoltellati durante gli scontri. Tre di loro verranno medicati sul posto. Il quarto, con un brutto taglio all'altezza dell'addome, finirà in codice giallo all'ospedale Sacco. Sono minuti di violenza cieca, poi, all'arrivo in forze della polizia, scatta una fuga generale. Tra i fumogeni e le auto che sgommano, un Suv di colore scuro fa manovra, si sposta sulla corsia di sorpasso e, contromano, parte a tutto gas. Nelle immagini recuperate dalla Digos si vede che il mezzo urta un uomo e lo sbalza a terra. L'indagine della polizia sugli scontri tra i tifosi della partita Inter-Napoli di mercoledì comincia da qui. Da questo momento preciso. E da un'accusa che, con molta probabilità, sarà omicidio stradale: «Non si sa chi era alla guida del Suv e non abbiamo nemmeno la certezza che si sia accorto», ha spiegato il questore di Milano, Marcello Cardona. La vittima della manovra era fra gli ultrà dell'Inter: Daniele Belardinelli detto Dede, classe 1983, di Varese, piastrellista con una passione per le arti marziali, indicato come uno dei capi della frangia di tifosi del Varese calcio (gemellati con gli ultrà dell'Inter) denominata Blood & Honour, Sangue e onore, motto della gioventù hitleriana. Belardinelli aveva precedenti specifici per reati da stadio e due Daspo (diffide dalla partecipazione a eventi sportivi) alle spalle. Nel 2007 diede un schiaffo a Sean Sogliano, all'epoca direttore sportivo del Varese, perché non voleva far scendere in campo la squadra dopo la morte del tifoso laziale Gabriele Sandri. Scontato il primo Daspo, fu coinvolto in uno scontro tra tifoserie durante una partita amichevole tra Como e Inter (occasione in cui, esattamente come l'altroieri, i tifosi del Varese si recarono sul Lario per dar man forte agli interisti contro i rivali di turno) che gli costò altri cinque anni di lontananza coatta dagli stadi. A Varese era noto anche per i suoi successi nella scherma corta con la Fight academy di Morazzone (paese in cui viveva). Era infatti campione in tutte le specialità di gara: coltello, giacca e coltello e capraia. «I primi ad attirare l'attenzione sulla vittima», ha spiegato il questore, «sono stati i tifosi del Napoli, poi quelli dell'Inter lo hanno portato in macchina in ospedale». I medici hanno provato disperatamente a intervenire sulle gravi lesioni alla milza, all'aorta toracica e addominale e sulle diverse fratture, tra cui quella al femore. Ma non c'è stato nulla da fare e, ieri mattina alle 4.30, l'ultrà del Varese è morto. «Si sono dette molte cose sbagliate su di lui», ha dichiarato ieri la moglie Cristina a Varesenews, «era un bravo padre e un gran lavoratore. La casa, le macchine e il furgone sono il frutto del suo lavoro». Anche dal mondo del basket arrivano attestati di stima per Belardinelli: dalla tifoseria organizzata della curva dell'Olimpia Milano al Forum di Assago fanno sapere di aver avuto «il privilegio di conoscerlo e di ammirare il suo esempio di stile ultrà».Nessuno si sbilancia su un possibile legame tra i tafferugli e l'investimento. Anche perché la dinamica è ancora in fase di analisi e gli investigatori stanno ancora raccogliendo i video amatoriali girati con gli smartphone dai passanti. L'investitore anonimo potrebbe anche essere un automobilista che si è trovato lì per caso e che, preso dal panico, ha azzardato la manovra ed è partito a tutta velocità. Oppure potrebbe trattarsi di un tifoso che cercava di raggiungere lo stadio, anche se, confermano gli investigatori, di solito soltanto i furgoncini viaggiano in carovana. E se da un lato la polizia è concentrata nella caccia al pirata della strada, dall'altro sta cercando di individuare uno a uno i facinorosi che hanno eseguito quella che il questore ha definito «un'azione squadrista». Che, probabilmente, le tifoserie meditavano già da tempo. Gli ultrà del Nizza (che come quelli del Varese sono gemellati con i nerazzurri) non erano ancora riusciti a regolare i conti con i napoletani per gli scontri durante i preliminari di Champions League del 2017. L'agguato, insomma, per la dinamica con cui si è sviluppato, ha tutta l'aria di essere stato premeditato. Anche per questo motivo in Questura si respira aria pesante. Il questore (per motivi di ordine pubblico che, si apprende da fonti dell'ufficio di gabinetto, motiverà nelle sedi opportune) ha chiesto di vietare le trasferte dell'Inter fino alla fine del campionato e la chiusura della curva Nord di San Siro fino a marzo 2019 (ovvero altre cinque partite). Tre ultrà interisti coinvolti nella guerriglia sono stati già individuati e arrestati. L'accusa è rissa aggravata e lesioni personali. Su quella che gli investigatori ora chiamano «scena dell'evento» è stata recuperata, tra vari bastoni, spranghe e martelli, anche una roncola. «Saranno emessi Daspo durissimi per tutti quelli che hanno partecipato all'agguato», ha annunciato il questore, proprio mentre i suoi uomini, dopo le perquisizioni nelle abitazioni dei sospettati, stanno valutando almeno nove provvedimenti da emettere nelle prossime ore.Fabio Amendolara<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/un-morto-e-quattro-feriti-il-peggio-degli-ultra-si-e-radunato-a-san-siro-con-mazze-e-roncole-2624518555.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="i-guai-del-calcio-non-si-risolveranno-con-lantirazzismo-della-domenica" data-post-id="2624518555" data-published-at="1765819302" data-use-pagination="False"> I guai del calcio non si risolveranno con l’antirazzismo della domenica Tutti eroi del giorno dopo. Tutti in corsa per l'Abbondino d'oro, premio alla carriera dedicato a chi si avvicina di più al don Abbondio manzoniano. Quello che decideva di non decidere perché «il coraggio uno non se lo può dare». Il sindaco, l'arbitro, il questore, l'allenatore, i colleghi in campo, il procuratore federale; tutti protagonisti a San Siro durante Inter-Napoli dello stesso triste presepe che in Italia va di moda da Natale a Ferragosto: quello dello scaricabarile. Perché il problema del razzismo negli stadi non riguarda soltanto una minoranza di imbecilli che alimentano le loro frustrazioni ululando contro gli avversari di colore, ma affonda le sue radici nell'insipienza, nella cattiva coscienza, nell'inettitudine delle autorità incapaci di far rispettare regole solennemente stabilite. Da noi funziona a meraviglia solo la filosofia della «prossima volta». Per accorgersene basta ascoltare le dichiarazioni delle statuine gallonate il giorno dopo i fatti, quando Kalidou Koulibaly era ormai uscito di scena cornuto e mazziato; quando la partita era inevitabilmente virata in rissa (da boxing game a game di boxe); quando le tv che pagano miliardi per comprare un simile spettacolo avevano mostrato ovvia indignazione. Allora, solo allora, le autorità hanno aperto le imposte e hanno fatto capolino da dietro le loro tendine di pizzo. Il sindaco arcobaleno di Milano, Beppe Sala, è stato il primo in ordine di apparizione: «Chiedo scusa al giocatore insultato a nome mio e della Milano sana, che vuol testimoniare che si può sentirsi fratelli nonostante i tempi difficili in cui viviamo. Mi piacerebbe che a Empoli la fascia di capitano dell'Inter la portasse Asamoah. La prossima volta ai primi buu mi alzerò e me ne andrò». Poteva farlo in diretta. Uscire dalla tribuna d'onore è facile, basta chiedere a Javier Zanetti di spostarsi un attimo. In Italia non mancano mai l'indignazione del giorno dopo e la minaccia civile: c'è sempre una prossima volta. Anche per il questore Marcello Cardona, ex arbitro, che spiega: «Qui siamo nella demenza di offendere la squadra avversaria anche quando ci sono giocatori di colore nella propria. Dopo gli ultimi cori a cinque minuti dalla fine la partita andava sospesa». E perché mai la massima autorità di pubblica sicurezza della città non l'ha fatta sospendere? «Era il caso di creare casino pubblico con tutto quello che stava succedendo? No». In attesa di sapere quando è il caso - di sicuro «la prossima volta» -, e in attesa di vedere i giocatori di colore della squadra avversaria, per esempio dell'Inter, andarsene per solidarietà (sarebbe un gesto impagabile, mai che succeda), registriamo la dichiarazione dell'allenatore del Napoli, Carlo Ancelotti: «Abbiamo chiesto tre volte la sospensione ma niente. La prossima volta ci fermiamo noi, dobbiamo lasciare il campo». Poteva alzarsi dalla panchina, andare dal collega Luciano Spalletti e dirgli: «Se tu non ti vergogni per ciò che succede, mi vergogno io. Ce ne andiamo insieme o me ne vado da solo. Ciao». Non ha avuto il coraggio di farlo, anche per lui c'è sempre una prossima volta, anche lui don Abbondio. Ora chiacchierano tutti, anzi fanno a gara, si arrampicano l'uno sulle frasi dell'altro, salgono sulla babele di congetture, promettono pene esemplari. Ma mentre i buu travolgevano Koulibaly e la sua dignità, nessuno si è mosso. E non raccontiamoci la favola della sorpresa, perché gli stessi latrati si sentono tutte le domeniche in tutte le partite, quando non compaiono le banane. Dov'era l'arbitro Paolo Silvio Mazzoleni, che avrebbe potuto sospendere la gara? Aveva forse un brano dei Deep Purple a palla negli auricolari? «È l'ultima che mi fai, domani ti punisco». Molti genitori sanno che questo è il modo migliore per trasformare figli vivaci in bimbi minkia autoreferenziali e fuori controllo; figuriamoci se il metodo può funzionare con gli ultrà inclini al razzismo più becero. Con la filosofia della «prossima volta» non si va lontani, al massimo si finisce per penalizzare la parte sana della tifoseria con le squalifiche del campo. Il peggio non poteva che arrivare dalla Procura federale, l'organo di disciplina sportiva, che ha un suo rappresentante negli stadi e dovrebbe coordinarsi con il questore per indurre il mondo sportivo a prendere le decisioni più gravi. Ventiquattro ore dopo i fatti, il procuratore Giuseppe Pecoraro affermava, come se si trattasse di un caso del tutto teorico riguardante qualcosa avvenuto in Alaska: «Per me quella partita andava sospesa». Il razzismo negli stadi si debella con due parole che ovunque hanno un senso, ma nell'Italia tutta incenso e sacrestia fanno ribrezzo: legge e ordine. In Inghilterra la violenza è stata debellata così. Ancora oggi esistono gli hooligans e le risse nei pub di Liverpool o di Manchester non fanno notizia. Ma dentro gli stadi non si sente volare una mosca perché chi viola le regole finisce in carcere: processo per direttissima, Daspo a vita, prigione. E il conto dei danneggiamenti recapitato a casa. Funziona. Da noi si tende a dilazionare, a giustificare, a voler applicare anche laddove è impossibile l'ipocrisia del perdonismo. Tre anni fa a Bergamo, per stroncare un raid vergognoso in centro città fra le mamme con i passeggini, la polizia arrestò una quindicina di ultrà. Alcuni minorenni, tutti incarcerati. Nei giorni successivi la questura si trovò davanti a un problema inatteso; i genitori in processione ne chiedevano la liberazione, accompagnati da amici sacerdoti e da un'unica inquietante giustificazione: «In fondo sono tutti figli di questa terra». Gridare al lupo prima e lavarsi la coscienza dopo (all'italiana) è perdente, mortificante. Ecco perché responsabili delle miserie da stadio non sono solo i teppisti ma anche chi, pur avendone l'autorità, non fa rispettare le leggi. Se non domani. L'ultima statuetta del triste presepe è il professionista della strumentalizzazione, colui che (come spiegava Albert Camus ne La peste) getta topi infetti dai tombini. Il sindaco di Napoli, Luigi De Magistris, ha parlato di «razzismo di Stato». «Poteva mai essere sospesa la partita in un Paese che vede nel governo un ministro dell'Interno che dovrebbe garantire la sicurezza negli stadi, ma che cantava qualche anno fa cori razzisti contro i napoletani?». Buttarla in politica significa dare forza ai reprobi. E costringere Koulibaly a scendere in campo anche la prossima volta con i tappi nelle orecchie. Giorgio Gandola <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/un-morto-e-quattro-feriti-il-peggio-degli-ultra-si-e-radunato-a-san-siro-con-mazze-e-roncole-2624518555.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="meazza-chiuso-castigati-gli-onesti" data-post-id="2624518555" data-published-at="1765819302" data-use-pagination="False"> Meazza chiuso, castigati gli onesti Il conto della vergogna dei cori e degli ululati razzisti partiti dalla curva nord di San Siro nel corso di Inter-Napoli lo pagheranno i tifosi perbene: il giudice sportivo, Gerardo Mastrandrea, ieri ha inflitto alla società nerazzurra due gare a porte chiuse, mentre una terza verrà disputata con la sola curva chiusa. L'Inter giocherà senza il suo pubblico il match di Coppa Italia contro il Benevento (il prossimo 13 gennaio) e quello contro il Sassuolo alla ripresa del campionato di serie A (19 gennaio). La sanzione, si legge nella motivazione, è stata inflitta per «cori insultanti di matrice territoriale, reiterati per tutta la durata della gara, nei confronti dei sostenitori della squadra avversaria, provenienti dalla grande maggioranza dei tifosi assiepati nel settore indicato e percepiti anche in tutto l'impianto» e per «coro denigratorio di matrice razziale» indirizzato al difensore del Napoli Kalidou Koulibaly. Per lo stesso Koulibaly arriva una squalifica per due giornate, «per comportamento scorretto nei confronti di un avversario; già diffidato (una giornata); per avere, al 35° del secondo tempo, dopo la notifica del provvedimento di ammonizione, rivolto al direttore di gara un ironico applauso (una giornata)». Due turni di squalifica anche per Lorenzo Insigne, attaccante dei partenopei espulso «al 48° del secondo tempo per avere rivolto al direttore di gara un epiteto gravemente insultante, sanzione aggravata perché capitano». Il questore di Milano, Marcello Cardona, aveva chiesto di «vietare le trasferte dell'Inter fino al termine del campionato» e «l'immediata chiusura della curva per cinque giornate e una di Coppa Italia, fino al 31 marzo 2019». La Prefettura di Firenze - per competenza territoriale - ha deciso di chiudere il settore ospiti per la gara tra Empoli e Inter in programma domani nella cittadina toscana. Sarà anche proibita la vendita di biglietti per lo stadio Castellani ai residenti in Lombardia. Ancora una volta, dunque, la stupidità di un manipolo di ignoranti finisce per colpire i veri tifosi, gli appassionati di calcio, le famiglie che vanno allo stadio per godersi lo spettacolo e sostenere la propria squadra. Subito dopo l'annuncio della chiusura di San Siro per due turni, sui social network si sono moltiplicate le proteste dei tifosi interisti e in particolare degli abbonati, che non potranno assistere alle prossime due partite, con un danno economico e morale non indifferente. In molti, dopo la morte dell'ultrà Daniele Belardinelli, avevano chiesto lo stop al campionato di Serie A, ma la Figc ha detto no: il prossimo turno si disputerà regolarmente. «Sabato in Serie A si gioca», ha detto il presidente della Figc, Gabriele Gravina, «ho parlato un po' con tutti per sentire il clima intorno a ciò che è successo ieri e all'unanimità, dai sottosegretari Giorgetti e Valente alla Lega di Serie A e al presidente del Coni, abbiamo deciso di andare avanti». Intanto, sul campionato incombe il braccio di ferro tra Carlo Ancelotti e la Figc. Il tecnico azzurro, che ha lamentato la mancata sospensione della partita, ha annunciato che se dovessero ripetersi cori razzisti sarà il Napoli a lasciare il campo. «Se una squadra», ha risposto Gravina, «decidesse di lasciare il campo per cori razzisti violerebbe le norme». Carlo Tarallo
La risposta alla scoppiettante Atreju è stata una grigia assemblea piddina
Il tema di quest’anno, Angeli e Demoni, ha guidato il percorso visivo e narrativo dell’evento. Il manifesto ufficiale, firmato dal torinese Antonio Lapone, omaggia la Torino magica ed esoterica e il fumetto franco-belga. Nel visual, una cosplayer attraversa il confine tra luce e oscurità, tra bene e male, tra simboli antichi e cultura pop moderna, sfogliando un fumetto da cui si sprigiona luce bianca: un ponte tra tradizione e innovazione, tra arte e narrazione.
Fumettisti e illustratori sono stati il cuore pulsante dell’Oval: oltre 40 autori, tra cui il cinese Liang Azha e Lorenzo Pastrovicchio della scuderia Disney, hanno accolto il pubblico tra sketch e disegni personalizzati, conferenze e presentazioni. Primo Nero, fenomeno virale del web con oltre 400.000 follower, ha presentato il suo debutto editoriale con L’Inkredibile Primo Nero Show, mentre Sbam! e altre case editrici hanno ospitato esposizioni, reading e performance di autori come Giorgio Sommacal, Claudio Taurisano e Vince Ricotta, che ha anche suonato dal vivo.
Il cosplay ha confermato la sua centralità: più di 120 partecipanti si sono sfidati nella tappa italiana del Nordic Cosplay Championship, con Carlo Visintini vincitore e qualificato per la finale in Svezia. Parallelamente, il propmaking ha permesso di scoprire il lavoro artigianale dietro armi, elmi e oggetti scenici, rivelando la complessità della costruzione dei personaggi.
La musica ha attraversato generazioni e stili. La Battle of the Bands ha offerto uno spazio alle band emergenti, mentre le icone delle sigle tv, Giorgio Vanni e Cristina D’Avena, hanno trasformato l’Oval in un grande palco popolare, richiamando migliaia di fan. Non è mancato il K-pop, con workshop, esibizioni e karaoke coreano, che ha coinvolto i più giovani in una dimensione interattiva e partecipativa. La manifestazione ha integrato anche dimensioni educative e culturali. Il Dipartimento di Matematica dell’Università di Torino ha esplorato il ruolo della matematica nei fumetti, mostrando come concetti scientifici possano dialogare con la narrazione visiva. Lo chef Carlo Mele, alias Ojisan, ha illustrato la relazione tra cibo e animazione giapponese, trasformando piatti iconici degli anime in esperienze reali. Il pubblico ha potuto immergersi nella magia del Villaggio di Natale, quest’anno allestito nella Casa del Grinch, tra laboratori creativi, truccabimbi e la Christmas Elf Dance, mentre l’area games e l’area videogames hanno offerto tornei, postazioni libere e spazi dedicati a giochi indipendenti, modellismo e miniature, garantendo una partecipazione attiva e immersiva a tutte le età.
Con 28.000 visitatori in due giorni, Xmas Comics & Games conferma la propria crescita come festival della cultura pop, capace di unire creatività, spettacolo e narrazione, senza dimenticare la componente sociale e educativa. Tra fumetti, cosplay, musica e gioco, Torino è diventata il punto d’incontro per chi vuole vivere in prima persona il racconto pop contemporaneo, dove ogni linguaggio si intreccia e dialoga con gli altri, trasformando la fiera in una grande esperienza culturale condivisa.
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i,Hamza Abdi Barre (Getty Images)
La Somalia è intrappolata in una spirale di instabilità sempre più profonda: un’insurrezione jihadista in crescita, un apparato di sicurezza inefficiente, una leadership politica divisa e la competizione tra potenze vicine che alimenta rivalità interne. Il controllo effettivo del governo federale si riduce ormai alla capitale e a poche località satelliti, una sorta di isola amministrativa circondata da gruppi armati e clan in competizione. L’esercito nazionale, logorato, frammentato e privo di una catena di comando solida, non è in grado di garantire la sicurezza nemmeno sulle principali rotte commerciali che costeggiano il Paese. In queste condizioni, il collasso dell’autorità centrale e la caduta di Mogadiscio nelle mani di gruppi ostili rappresentano scenari sempre meno remoti, con ripercussioni dirette sulla navigazione internazionale e sulla sicurezza regionale.
La pirateria somala, un tempo contenuta da pattugliamenti congiunti e operazioni navali multilaterali, è oggi alimentata anche dal radicamento di milizie jihadiste che controllano vaste aree dell’entroterra. Questi gruppi, dopo anni di scontri contro il governo federale e di brevi avanzate respinte con l’aiuto delle forze speciali straniere, hanno recuperato terreno e consolidato le proprie basi logistiche proprio lungo i corridoi costieri. Da qui hanno intensificato sequestri, assalti e sabotaggi, colpendo infrastrutture critiche e perfino centri governativi di intelligence. L’attacco del 2025 contro una sede dei servizi somali, che portò alla liberazione di decine di detenuti, diede il segnale dell’audacia crescente di questi movimenti.
Le debolezze dell’apparato statale restano uno dei fattori decisivi. Nonostante due decenni di aiuti, investimenti e programmi di addestramento militare, le forze somale non riescono a condurre operazioni continuative contro reti criminali e gruppi jihadisti. Il consumo interno di risorse, la corruzione diffusa, i legami di fedeltà clanici e la dipendenza dall’Agenzia dell’Unione africana per il supporto alla sicurezza hanno sgretolato ogni tentativo di riforma. Nel frattempo, l’interferenza politica nella gestione della missione internazionale ha sfiancato i donatori, ridotto il coordinamento e lasciato presagire un imminente disimpegno. A questo si aggiungono le tensioni istituzionali: modifiche costituzionali controverse, una mappa federale contestata e tentativi percepiti come manovre per prolungare la permanenza al potere della leadership attuale hanno spaccato la classe politica e paralizzato qualsiasi risposta comune alla minaccia emergente. Mentre i vertici si dividono, le bande armate osservano, consolidano il controllo del territorio e preparano nuovi colpi contro la navigazione e le città costiere. Sul piano internazionale cresce il numero di governi che, temendo un collasso definitivo del sistema federale, sondano discretamente la possibilità di una trattativa con i gruppi armati. Ma l’ipotesi di una Mogadiscio conquistata da milizie che già controllano ampie aree della costa solleva timori concreti: un ritorno alla pirateria sistemica, attacchi oltre confine e una spirale di conflitti locali che coinvolgerebbe l’intero Corno d’Africa.
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Il presidente eletto del Cile José Antonio Kast e sua moglie Maria Pia Adriasola (Ansa)
Un elemento significativo di queste elezioni presidenziali è stata l’elevata affluenza alle urne, che si è rivelata in aumento del 38% rispetto al 2021. Quelle di ieri sono infatti state le prime elezioni tenute dopo che, nel 2022, è stato introdotto il voto obbligatorio. La vittoria di Kast ha fatto da contraltare alla crisi della sinistra cilena. Il presidente uscente, Gabriel Boric, aveva vinto quattro anni fa, facendo leva soprattutto sull’impopolarità dell’amministrazione di centrodestra, guidata da Sebastián Piñera. Tuttavia, a partire dal 2023, gli indici di gradimento di Boric sono iniziati a crollare. E questo ha danneggiato senza dubbio la Jara, che è stata ministro del Lavoro fino allo scorso aprile. Certo, Kast si accinge a governare a fronte di un Congresso diviso: il che potrebbe rappresentare un problema per alcune delle sue proposte più incisive. Resta tuttavia il fatto che la sua vittoria ha avuto dei numeri assai significativi.
«La vittoria di Kast in Cile segue una serie di elezioni in America Latina che negli ultimi anni hanno spostato la regione verso destra, tra cui quelle in Argentina, Ecuador, Costa Rica ed El Salvador», ha riferito la Bbc. Lo spostamento a destra dell’America Latina è una buona notizia per la Casa Bianca. Ricordiamo che, alcuni giorni fa, Washington a pubblicato la sua nuova strategia di sicurezza nazionale: un documento alla cui base si registra il rilancio della Dottrina Monroe. Per Trump, l’obiettivo, da questo punto di vista, è duplice. Innanzitutto, punta a contrastare il fenomeno dell’immigrazione irregolare. In secondo luogo, mira ad arginare l’influenza geopolitica della Cina sull’Emisfero occidentale. Vale a tal proposito la pena di ricordare che Boric, negli ultimi anni, ha notevolmente avvicinato Santiago a Pechino. Una linea che, di certo, a Washington non è stata apprezzata.
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