2025-05-10
Un giorno da Leone
Papa Leone XIV (Getty Images)
Il nuovo Papa indossa i paramenti della tradizione. L’omelia della prima messa, con al centro il Vangelo anziché la geopolitica: «Farsi piccoli per lasciare spazio a Gesù». L’asse americani-curiali in conclave.«La Chiesa sia un faro che illumina le notti del mondo». La luce è Gesù Cristo, la bussola è la fede e «il mio programma è sparire perché lui venga glorificato». Se la prima omelia è lo specchio di uno stile e di un proposito, allora quelli di papa Leone XIV non sono propriamente sovrapponibili al carattere e alla road map di papa Francesco, anzi si discostano proprio. Robert Francis Prevost mette al centro la dottrina, cita a piene mani il Vangelo, si definisce «successore dell’apostolo Pietro» (non di Jorge Bergoglio) e chiede ai cardinali che lo hanno chiamato «per portare una croce» di camminare insieme con lui «per annunciare la Buona Notizia». C’è la classicità dell’Ave Maria di Franz Schubert (è il mese mariano) nella prolusione davanti ai porporati che lo hanno eletto pontefice, durante la prima Messa solenne nella Cappella Sistina risistemata come un luogo di culto dopo essere stata per soli due giorni teatro del conclave. Il Papa americano conferma le impressioni della sera dell’annuncio: sobrio, pacato, rispettoso del protocollo millenario, con la croce pastorale realizzata per Benedetto XVI e le scarpe nere come Francesco. Comincia a parlare in inglese e prosegue in italiano; nessun problema poiché conosce sette lingue. E con frasi brevi e limpide mette in chiaro il punto di partenza: «La Chiesa sia sempre più città posta sul monte, arca di salvezza che naviga attraverso i flutti della storia, faro che illumina le notti del mondo».Fra gli affreschi in cui Cristo giudica il Creato costruito da Dio, Leone XIV lancia subito un chiaro richiamo al mondo occidentale che ha dimenticato le radici cristiane, vero obiettivo di missione per lui che fu missionario, terreno arido da tornare ad arare. Non senza sorpresa dice: «Anche oggi non sono pochi i contesti in cui la fede cristiana è ritenuta una cosa assurda, per persone deboli e poco intelligenti; contesti in cui ad essa si preferiscono altre sicurezze, come la tecnologia, il denaro, il successo, il potere, il piacere. Si tratta di ambienti in cui non è facile testimoniare e annunciare il Vangelo e dove chi crede è deriso, osteggiato, disprezzato, o al massimo sopportato e compatito. Eppure, proprio per questo, sono luoghi in cui urge la missione». Un concetto potente. Chiudi gli occhi e vedi schierati gli agnostici (anche in tonaca), gli atei e gli annoiati di professione che ritengono la religione un orpello e non un veicolo di spiritualità. È necessaria una nuova evangelizzazione nei quartieri Ztl piuttosto che nei villaggi lontani o nelle periferie, dove Dio viene accolto con rispetto e umiltà. Il «Prevòst della Bovisa» (come direbbe alla brianzola Giovanni Testori) coglie nel segno, sollecita a non sottovalutare la forza della fede «la cui mancanza porta spesso con sé drammi come la perdita del senso della vita, l’oblio della misericordia, la violazione della dignità della persona nelle sue forme più drammatiche, la crisi della famiglia e tante altre ferite di cui la nostra società soffre e non poco». Al centro dell’omelia non ci sono le minoranze arcobaleno, non c’è il permafrost, non c’è la geopolitica. Ma c’è Gesù, l’unico salvatore «e rivelatore del volto del Padre» che Leone XIV cita undici volte, il quale «per rendersi vicino e accessibile agli uomini, si è rivelato a noi negli occhi fiduciosi di un bambino, nella mente vivace di un giovane, nei lineamenti maturi di un uomo». Qui arriva la seconda stoccata gentile: «Quel Dio fattosi uomo, in alcuni contesti è ridotto solamente a una specie di leader carismatico o di superuomo. E questo non solo fra i non credenti, ma anche fra molti battezzati che finiscono così per vivere un ateismo di fatto». Sistemate anche le derive nietzschiane della sinistra progressista cattodem che non vede l’ora di lobotomizzare l’uomo secolarizzandolo. Eppure quel Gesù che spesso il mondo considera «una persona priva d’importanza, al massimo un personaggio curioso che può suscitare meraviglia con i suoi modi insoliti di parlare e di agire, una presenza fastidiosa per le istanze di onestà e le esigenze morali che richiama, è il patrimonio che da 2.000 anni la Chiesa custodisce, approfondisce e trasmette».La Chiesa torni ai cattolici, aveva sottolineato il cardinal Camillo Ruini nei giorni delle trattative. Così sembra da questi primi segnali, che si aggiungono ai due evidenziati in piazza San Pietro l’altra sera: la frase iniziale per nulla personale («La pace sia con tutti voi» fu la prima pronunciata da Cristo risorto) e l’invito a recitare l’Ave Maria assieme ai fedeli festanti. Nulla di più classico. I grandi temi formeranno certamente l’agenda, ora è ancora tempo di quelli sacri. Alla fine della funzione, il new Pope yankee (fu profetico pure Paolo Sorrentino) chiama i cardinali all’unione, a camminare «insieme e in armonia» come chiesto dal conclave. Perché «il Papa non è altro che un fedele amministratore».Forse lo Spirito Santo (e il pragmatismo degli uomini in porpora) hanno davvero colto nel segno. La sensazione arriva anche con la risposta implicita a una domanda che percorre il mondo dei media: come sarà la comunicazione di Leone XIV? Lui ricorda le parole del martire sant’Ignazio di Antiochia portato in catene a Roma: «Sarò veramente discepolo di Gesù Cristo quando il mondo non vedrà il mio corpo». E spiega: «C’è un impegno irrinunciabile per chiunque nella Chiesa eserciti un ministero di autorità, sparire perché rimanga Cristo, farsi piccolo perché lui sia glorificato». Dottrina in purezza. A naso, Fabio Fazio, Tik Tok e il Festival di Sanremo dovranno trovarsi nuovi testimonial.
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)