
Per finanziare i 10 miliardi di taglio dell'Irpef promessi, Giuseppe Conte & C. hanno deciso di «rimodulare» la cosiddetta imposta sul valore aggiunto. Un giochino a saldo zero per i conti pubblici, ma non per molti contribuenti. Che così si ritroveranno cornuti e mazziati.Il governo nato con la missione di non fare aumentare l'Iva si prepara a far aumentare l'Iva. Oh, naturalmente Giuseppe Conte e compagni negheranno fino alla morte di essere pronti a rincarare le tasse, sbandierando le promesse di riduzioni dell'Irpef e raccontando in tv dei bonus che si apprestano a mettere nella busta paga di milioni di italiani. Tuttavia le smentite serviranno a poco: certo non a nascondere il gioco delle tre tavolette che Palazzo Chigi ha escogitato insieme al ministero dell'Economia per far quadrare i conti dello Stato. Riassumiamo qui, per i non esperti, le partite di giro che il governo intende varare. Al momento il gettito Iva, ossia ciò che i contribuenti pagano ogni qualvolta comprano qualche cosa, è pari a 133 miliardi di euro, vale a dire il 28,8 per cento degli introiti complessivi del fisco. Per contro, c'è un gettito Irpef, cioè di imposte sul reddito delle persone fisiche, che raggiunge i 187 miliardi, superando il 40 per cento del gettito totale. Per dirla in pillole, gli italiani pagano una montagna di tasse: prima sui proventi del loro lavoro e poi sulle loro spese, quotidiane e non. I precedenti governi, molti dei quali del Pd, nel passato, non sapendo dove trovare il denaro per finanziare le mancette elettorali necessarie a conservare la poltrona, si sono inventati le clausole di salvaguardia. In pratica, non avendo a disposizione i soldi per coprire le spese, hanno giurato che li avrebbero reperiti grazie a tagli di spese che, se non fossero arrivati, sarebbero stati coperti da un aumento dell'Iva. Tutto ciò perché l'Europa, conoscendo i suoi polli - cioè i nostri politici - e non fidandosi delle loro rassicurazioni, aveva preteso garanzie.Risultato, nel corso degli anni, di rinvio in rinvio e di mancia in mancia (la più nota è il bonus di Renzi che, erogato pochi giorni prima del voto, gli consentì di vincere le elezioni europee del 2014), si è arrivati alla cifra monstre di 20 miliardi di euro per il 2021, che nel2022 minaccia anche di crescere. Sono fondi che ogni anno bisogna reperire perché altrimenti scatta l'aumento dell'Iva. L'imposta sul valore aggiunto oggi ha un tetto massimo del 22 per cento, ma se non si trova come far quadrare i conti può crescere al 25 l'anno prossimo e al 26,5 quello successivo. Fin qui lo stato dell'arte che certo, visto l'andamento del Pil nell'ultimo quadrimestre del 2019, non promette nulla di buono. Ma ora veniamo allo «scherzetto» che Conte e compagni si preparano a tirare agli italiani. Come dicevamo, quando nacque il governo, la maggioranza giallorossa motivò il parto con la scusa di dover scongiurare l'aumento dell'Iva. Tutti quanti ricordiamo la straordinaria capriola di Matteo Renzi, il quale fino al giorno prima era contrario a qualsiasi alleanza con i 5 stelle e il giorno dopo, appena si spalancò l'abisso dello scioglimento anticipato della legislatura e di nuove elezioni, fece un balzo in avanti per abbracciare Grillo, Di Maio e pure Conte. Prima l'ex presidente del Consiglio giurava che con i pentastellati non avrebbe preso neanche il caffè, poi si è seduto a tavola per spartire la torta delle opere pubbliche. Lo facciamo per senso di responsabilità, annunciò nell'aula del Senato, facendo sghignazzare perfino le fondamenta dell'austero palazzo. Senza un governo, fu la tesi espressa quel giorno di agosto dell'anno scorso, si rischia l'aumento dell'Iva, perché nel caso non si correggessero i conti pubblici ci troveremmo a veder scattare le clausole di salvaguardia. Sì, insomma, Renzi & C. si sono sacrificati per il bene dei contribuenti, non per il loro. A lui e al Pd dobbiamo dire grazie per aver disinnescato la mina dell'aumento dell'Iva per il 2020. E però ecco che adesso c'è qualche altra mancia da distribuire, perché altrimenti i consensi dei 5 stelle, del Partito democratico e di Italia viva vanno giù. Così si vede spuntare nella manovra il taglio dell'Irpef, 10 miliardi di euro da mettere nelle tasche degli italiani prima che votino. Piccolo particolare: di questi miliardi nelle casse pubbliche non c'è neppure l'ombra. Dunque, che si fa? Semplice: i geni della finanza pubblica hanno partorito la parola magica: rimodulazione. Sì, invece di aumentare l'Iva la si riordina. Cioè si tratta di applicare il regolamento in vigore nella Marina del Regno delle due Sicilie: facite ammuina. Quello che è a destra va a sinistra e quello che sta a sinistra va a destra. Un gran casino solo per nascondere che l'Iva al 4 per cento passerà al 5, quella al 10 salirà al 12 e così via. Una gran furbata che non sarà a saldo zero per le tasche dei contribuenti, ma solo per quelle delle Stato. Che con una mano darà 10 miliardi agli italiani e con l'altra se li riprenderà. A essere colpita sarà la cosiddetta Iva agevolata, cioè quella più bassa, che in genere riguarda le materie prime. Un «tagliettino» dell'agevolazione che vale tra i 7 e gli 8 miliardi e magari la gente non se ne accorge neanche. Perché, diciamoci la verità: la nostra classe politica, o per lo meno una certa classe politica, pensa che gli italiani siano un po' fessi e dunque facili da fregare.
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