2018-08-05
Un boschiano alla Cultura, l’ultimo tassello piazzato dal Giglio magico
Giovanni Panebianco nuovo segretario del Mibac. Decisiva la promozione dell'allora sottosegretario e la sponda M5s. Il renziano Ernesto Maria Ruffini resterà alle Entrate?A Siena Luca Lotti rispolvera le purghe per tenere le mani sui resti del Pd. Decine di ex Margherita verso l'espulsione. Gli ortodossi li accusano del flop Comunali. Il repulisti, però, servirà a tirare le redini locali del partito, imbastendo persino un Nazareno con un caro amico di Denis Verdini.Lo speciale contiene due articoliChissà se il ministro dell'Economia Giovanni Tria il quale - come ha scritto giovedì scorso su queste pagine Giancarlo Perna - sta confermando tutta la squadra del Pd Gian Carlo Padoan e che 48 ore fa ha confermato anche i vertici di Sogei (l'ad Andrea Quacivi e il presidente Biagio Mazzotta), riuscirà nell'impresa con il super renziano Ernesto Maria Ruffini a direttore dell'Agenzia delle entrate e presidente dell'Agenzia della riscossione. Ruffini il quale, lungi dall'essere un mero tecnico, all'epoca della Leopolda 2014 e dell'ascesa di Matteo Renzi, battibeccò via Twitter con l'attuale vicepremier Matteo Salvini prendendolo per i fondelli, reo di averlo chiamato Enrico e non Ernesto.Sugli immigrati il direttore dell'Agenzia delle entrate, ha infatti idee molto chiare: molto distanti da Salvini e vicine a quelle del fratello Paolo, prefetto in Vaticano.Prima del suo incarico pubblico a marchio Pd, Ruffini esprimeva i suoi giudizi politici a 360 gradi sul suo blog sull'Espresso e, nel mucchio, aveva attaccato Salvini ricordandogli che «dal 1892 al 1956, i Salvini approdati nel porto di Ellis Island sono stati ben 228».Salvini non aveva perso tempo e, etichettandolo come anti leghista, gli aveva risposto per le rime via Twitter, chiamandolo Enrico Maria e non Ernesto Maria, e augurandogli una serena notte. Ruffini, che ora aspetta la conferma a direttore dell'Agenzia delle entrate proprio da Salvini, gli aveva prontamente replicato: «Ho trascorso una serenissima notte, grazie @matteosalvini. Il tuo affezionatissimo Enrico Maria, Ernesto per gli amici». Insomma un altro uomo di sinistra, anti leghista, che rischia di rimanere in un ruolo così cruciale nel governo votato per il cambiamento e che è riuscito nell'impresa di avere contro tutte le sigle sindacali delle agenzie fiscali sulla riorganizzazione che sta facendo in fretta e furia. Come se all'interno dell'Agenzia delle entrate non ci fosse nessuno tra i direttori centrali e regionali da poter promuovere come fatto in Ferrovie, invece di confermare un avvocato tributarista catapultato ai vertici della macchina fiscale perché di fede renziana.I sindacati, dopo quella che definiscono «la caotica riorganizzazione» degli uffici centrali di inizio anno, attaccano con un comunicato stampa Ruffini nel metodo e nel merito. Innanzitutto, «l'assoluta intempestività della proposta dal momento che, a tutt'oggi, non risulta chiarito se il vertice dell'amministrazione, soggetto a spoils system, sia stato riconfermato o meno. Quello che vogliamo dire è che sembra irrazionale e poco comprensibile tanta fretta in assenza di stabilità del management dell'Agenzia». Ruffini voleva approvare la riorganizzazione lo scorso 26 luglio, ma i sindacati si sono messi di traverso. Nel merito, secondo le sigle sindacali, «non appare assolutamente chiaro l'obiettivo che una tale riorganizzazione si prefigge: sarebbe stato più opportuno, un'analisi più approfondita ed analitica del nuovo modello così come un ragionamento specifico sul mantenimento o meno delle direzioni provinciali nel loro assetto attuale». Per i sindacati appare poi «incredibile» che il processo di integrazione tra Entrate ed ex Territorio si fermi a livello di direzioni regionali senza interessare gli uffici locali in modo da favorire i cittadini che possono fare le pratiche del catasto e del fisco in uno stesso spazio fisico.Infine i sindacati attaccano Ruffini per aver affidato a una società esterna «la graduazione delle posizioni» dirigenziali e non, senza voler dire quanto sia stato speso.Nel frattempo l'Agenzia delle entrate ha diffuso - come ogni anno - il comunicato sulla sospensione delle cartelle nel mese di agosto. Quest'anno con il sostegno del ministro Tria che ha appoggiato apertamente l'iniziativa annunciando la sospensione che però già avviene da anni. A lodare subito l'iniziativa è neanche a dirlo un senatore del Pd, Bruno Astorre, che in una nota scrive: «Sospendere oltre un milione di atti tra Agenzia delle entrate e Agenzia delle entrate riscossione è una decisione non solo di buon senso, ma che denota il cambio di passo impresso del direttore Ernesto Maria Ruffini. Un fisco dal volto nuovo, che fa della semplificazione il perno del sistema. Semplificazione non solo amministrativa ma anche nel rapporto con i cittadini. Per i contribuenti, un ostacolo in meno».Nel frattempo al Mibac, il Ministero dei beni e delle attività culturali, fa carriera un funzionario della presidenza del Consiglio, Giovanni Panebianco, 48 anni, nominato nuovo segretario generale. La nomina, che avviene su indicazione del ministro con un decreto del presidente del Consiglio dei ministri, sarà operativa dal primo settembre. Bel salto per Panebianco il quale, dal governo a guida Pd, era riuscito a incassare un incarico di prima fascia pur essendo di seconda (gerarchicamente più basso) grazie alla vicinanza all'ex sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Maria Elena Boschi. Si sussurra che suo nuovo sponsor ed estimatore sia Vincenzo Spadafora, il potente consigliere del vicepremier Luigi Di Maio. Dal prossimo 1° settembre Panebianco sostituirà l'architetto Carla Di Francesco che è andata in pensione. Anna Maria Fiore<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/un-boschiano-alla-cultura-lultimo-tassello-piazzato-dal-giglio-magico-2592734375.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="a-siena-lotti-rispolvera-le-purghe-per-tenere-le-mani-sui-resti-del-pd" data-post-id="2592734375" data-published-at="1757769819" data-use-pagination="False"> A Siena Lotti rispolvera le purghe per tenere le mani sui resti del Pd Fine luglio. A Siena la sconfitta epocale alle comunali brucia ancora al Pd. E le conseguenze arderanno ancora non si sa per quanto. L'esame degli errori, però, consiste in una sorta di lista di proscrizione. Tra i 60 e i 70 iscritti verranno purgati dal partito, rei - a detta dei vertici locali - di aver sostenuto Alessandro Pinciani, dirigente Pd di area Margherita che è andato per la sua strada sottraendo voti a Bruno Valentini, sindaco uscente, candidato ufficiale del partito. E di conseguenza favorendo la vittoria di Luigi De Mossi. «Si attendono le comunicazioni ufficiali e i verbali della Commissione, visto anche che gli stessi epurati ad oggi non hanno ricevuto ancora nessun avviso, come ad esempio fa sapere l'ex presidente del Consiglio regionale Alberto Monaci. L'espulsione era nell'aria già ad aprile», si legge sul sito online radiosienatv.it, «da quando Alessandro Pinciani - anche lui fra i futuri espulsi - annunciò la sua candidatura autonoma alle comunali del 20 giugno, ed è stata applicata da statuto». «Sono escluse», recita il comma 9, articolo 2 dello statuto dem, «dalla registrazione nell'anagrafe degli iscritti e nell'albo degli elettori del Pd le persone appartenenti ad altri movimenti politici o iscritte ad altri partiti politici o aderenti, all'interno delle assemblee elettive, a gruppi consiliari diversi da quello del Partito democratico. Gli iscritti che, al termine delle procedure per la selezione delle candidature, si sono candidati in liste alternative al Pd, o comunque non autorizzate dal Pd, sono esclusi e non più registrabili». Fino qui sembra una faida locale: pulizia dopo la sconfitta elettorale. Se non fosse che, con la scusa del mancato sostegno in campagna elettorale, a finire nel mirino dei vertici pd che fanno riferimento a Valentini e soprattutto a Luca Lotti è l'intera corrente dell'ex Margherita. Gli impatti sono locali, ma crescono man mano fino a Roma, dove toccheranno gli equilibri con Paolo Gentiloni e l'area che è stata di Giuseppe Fioroni. L'operazione guidata da Lotti mira, dopo la tremenda débâcle nei Comuni di Siena, Massa e Pisa, a non perder il controllo del partito a livello regionale. E permette al Pd locale di fare pagare agli esuli «vecchie colpe» consumate attorno ai cocci del Monte dei Paschi di Siena. La corrente monaciana del Pd senese era da tempo in rotta con gli organi dirigenti del partito, non avendo prima partecipato all'assemblea comunale per la votazione del candidato sindaco di fine marzo sia all'ultima successiva alla disfatta elettorale del ballottaggio. Ma l'astio parte da lontano, quando Alberto Monaci, contrario alla nomina di Alessandro Profumo al vertice di Mps si oppose all'allora sindaco di area Ds Franco Ceccuzzi, lo sfiduciò e lo costrinse alle dimissioni. Nonostante siano passati anni, quella mossa non è mai stata perdonata e la frattura resta insanabile. Ecco perché la «purga di Siena» dovrebbe consentire a Lotti di mantenere il controllo della Regione. Il fedelissimo di Matteo Renzi sa bene che il prossimo ottobre, quando è stata indetta l'assemblea regionale, gli uomini ancora fedeli alla Margherita e ad Alberto Monaci sono pronti ad allearsi con gli orlandiani. Dall'altra parte stanno i lottiani e gli ex Ds. Valentini dal canto suo è interessato a mantenere stretto il rapporto con l'area vicina a Renzi perché, a quanto risulta alla Verità, avrebbe chiesto di essere candidato alla elezioni Europee del 2019 o alle Regionali del 2020. Preferirebbe la prima opzione. Così mentre si fa la conta interna al Pd come se ancora esistesse l'Urss e fosse in ballo la gestione di immensi blocchi di potere, da fuori la base piddina assiste a qualcosa di simile alla sezione di un cadavere. Vota altrove e i Comuni rossi cadono uno dietro l'altro anche in una Regione che ha sempre votato a sinistra. In questo mare periglioso, Lotti sembra aver compreso la necessità di trovare una sponda esterna. Solo che siamo di fronte all'ennesima coazione a ripetere. Va letto in questo modo il sostegno del responsabile regionale di Forza Italia, Tommaso Villa, il giovane collega di Denis Verdini che nel 2015 decise di rimanere tra le fila degli azzurri. «L'amicizia resta ma Denis lo sa: io rimango un uomo di Forza Italia», ebbe a dire cedendo però il passo a Stefano Mugnai nominato dopo poco coordinatore regionale di Fi. Il gioco del Nazareno tra Renzi e Verdini sembra riproporsi. Anche se i nomi dei protagonisti cambiano la somma degli addendi resta la medesima. Lotti teme che perdere il controllo del partito possa creare una reazione a catena fino a Roma oltre che causare locali quanto spiacevoli effetti collaterali. A fine anno scadono i vertici dell'Usl Toscana Sud Est (che copre Siena, Arezzo e Grosseto). Le nomine nella sanità sono un piatto goloso di cui il Pd renziano difficilmente vorrà disfarsi. Solo che a forza di giochi intrecciati e di espulsioni, resteranno più poltrone che tesserati. Claudio Antonelli
La Global Sumud Flotilla. Nel riquadro, la giornalista Francesca Del Vecchio (Ansa)
Vladimir Putin e Donald Trump (Ansa)