2018-04-19
L’Ue fa sbiancare il governo sulle spiagge
La direttiva sugli stabilimenti balneari è stata fraintesa dall'Italia. Lo ha detto Frederik Frits Bolkestein in persona, il padre della legge, spiegando che le concessioni sono beni ma i nostri politici le hanno trattate come servizi. Mettendo a rischio 30.000 imprese.Gli stabilimenti balneari «sono beni e non servizi» e, per questo, non possono essere soggetti alla direttiva Bolkestein. Tradotto: non devono affatto andare all'asta, come invece ha sempre sostenuto il governo italiano. A dirlo non è un populista qualunque a caccia di facili consensi in zona costiera, bensì Frederik Frits Bolkestein medesimo, il politico olandese, ex commissario Ue e padre della direttiva che da più di dieci anni tiene oltre 30.000 imprese - per lo più familiari - col fiato sospeso. Mister Bolkestein ha parlato ieri a Roma, negli spazi della Camera, chiamato a relazionare davanti a centinaia di associazioni e comitati rappresentanti del settore turistico. E le sue parole, inutile dirlo, sono state accolte da applausi scroscianti, una vera e propria ovazione. La direttiva Bolkestein, approvata dalla Commissione europea nel 2006, recepita dall'Italia nel 2010 e poi rimandata nella sua applicazione al 31 dicembre 2020, era nata per favorire, attraverso la messa a bando internazionale, la libera circolazione dei servizi anche relativi al turismo balneare. L'idea era incentivare la concorrenza con bandi pubblici aperti a imprese di tutta Europa. In tutti questi anni però - con un'interpretazione che ora si conferma errata - il governo italiano ha compreso tra i capitoli da mandare all'asta anche quello relativo alle concessioni degli stabilimenti, annoverando le concessioni alla voce «servizi» e mettendo in forse il futuro delle imprese che li gestiscono da tempo.«In virtù della concessione, i concessionari possiedono suolo e strutture, quindi la concessione è un bene, non è un servizio. E non capisco come possa essere considerata un servizio», ha spiegato Bolkestein a viva voce. E ancora: «Sono oltre 30.000 piccole e medie imprese che danno molta occupazione, economicamente parlando sono molto importanti. Anche se i concessionari aiutano i turisti penso che non dovrebbero essere considerati servizi perché non è il loro campo principale», ha aggiunto facendo le veci di un ministero sensibile al problema, che negli anni è mancato. Per fugare ogni dubbio sulla sua autorevole posizione, Bolkestein ha anche ricordato come solo l'Italia abbia, cocciutamente, perseverato nell'interpretazione errata mentre, per esempio, la vicina Spagna chiedeva e otteneva da Bruxelles una proroga di 75 anni per l'applicazione alle concessioni. «Se si possa fare altrettanto in Italia non so, dipende dal governo», ha precisato ancora il padre della norma, chiamando in causa - senza citarlo - anche un ministro dell'Economia che anzitempo gli avrebbe segretamente dato ragione. «Il governo italiano farebbe bene ad agire secondo quello che il ministro dell'Economia mi ha detto tempo fa: «Siamo d'accordo che non sono servizi che vengono forniti ma beni di cui si è in possesso», ha infatti concluso, lasciando alla platea l'onere dell'interpretazione.Su che cosa abbia mosso il Pd - che era alla guida del Paese - a trattare decine di migliaia di aziende «non come un bene da tutelare, ma come una lobby da abbattere», secondo una definizione di Deborah Bergamini, deputata di Forza Italia che insieme all'associazione Donnedamare ha organizzato il faccia a faccia con l'autore della direttiva, esistono solo vaghe ipotesi. Quel che invece è certo è che, nonostante gli esempi oltre confine e le battaglie giuridiche degli interessati e le politiche del centrodestra, con una escalation di prove di forza - anche negli ultimi mesi - la sinistra ha pervicacemente difeso l'interpretazione più invasiva per il settore balneare. Lo scorso dicembre, per esempio, la senatrice del Pd Stefania Pezzopane aveva tentato di metterci una pezza, proponendo almeno 30 anni di periodo transitorio prima dell'applicazione della norma, però i suoi compagni avevano stroncato sul nascere l'idea. In campagna elettorale Matteo Salvini, segretario della Lega, ha fatto della Bolkestein un tema di prim'ordine, promettendone la cancellazione e sostenendo esattamente quello che ieri il padre stesso della contestatissima direttiva ha confermato.