2023-08-19
Gli 007 americani gelano l’Ucraina: «Controffensiva destinata a fallire»
Secondo i servizi, Kiev non riuscirà a riconquistare la Crimea, tagliando il ponte terrestre sfruttato dai russi. E ora, nonostante l’ok all’invio degli F-16, anche l’entourage di Volodymyr Zelensky annuncia di essere pronto a trattare.La controffensiva ucraina non raggiungerà il suo principale obiettivo. Niente riconquista della città strategica di Melitopol, situata nella parte sudorientale del Paese. E, quindi, nessuna possibilità di soffiare ai russi il collegamento terrestre con la Crimea, che il leader della nazione invasa, Volodymyr Zelensky, ancora a fine luglio prometteva sarebbe stata reintegrata «rapidamente».La pietra tombale sulle velleità di Kiev le mettono fonti dell’intelligence Usa, citate ieri dal Washington Post. Non è il primo segnale di sfiducia nelle chance della resistenza. L’ultimo è arrivato a Ferragosto da uno stretto collaboratore del segretario generale Nato, che ha suggerito, come punto di caduta delle trattative con Mosca, peraltro non ancora ufficialmente avviate, la cessione di alcuni territori agli invasori in cambio dell’adesione dell’Ucraina - ovvero di ciò che ne rimarrebbe - all’Alleanza atlantica. Un’ipotesi che gli aggrediti hanno immediatamente bocciato e che lo stesso Jens Stoltenberg si è affrettato a smentire. Il sospetto è che gli occidentali stiano attivando il meccanismo della finestra di Overton: si buttano lì idee inconcepibili, in attesa che, semina oggi e semina domani, diventino accettabili, popolari e, infine, si trasformino in decisioni politiche. È significativo, ad esempio, che il New York Times, anziché insistere come al solito sull’ecatombe di reclute russe allo sbaraglio, abbia scritto che vittime e feriti hanno raggiunto quota mezzo milione, ucraini inclusi.Per il momento, prevale la linea del colpo al cerchio seguito da quello alla botte. Alle randellate degli 007 statunitensi, i quali respingono anche l’accusa che l’invio di missili a lungo raggio avrebbe mutato le sorti del conflitto, tiene dietro l’assenso dato dall’inquilino della Casa Bianca, Joe Biden, a Danimarca e Olanda, affinché consegnino gli F-16 agli ucraini. Giusto 24 ore dopo che la stessa Kiev ha dovuto comunicare che non riuscirà a utilizzarli entro l’inverno. Che anche l’entourage di Zelensky abbia fiutato la mala parata, poi, lo dimostra la missiva di Andriy Yermak a Repubblica. Il capo dell’ufficio del presidente parla di «resilienza», «sovranità», dei 270.000 chilometri quadrati riacciuffati, però si rassegna a un dato di fatto: «Siamo consapevoli che la vittoria e la pace non saranno raggiunte sul campo di battaglia da soli». La proposta ucraina parte dai risultati del vertice di Gedda e prevede tre fasi: incontri con gli ambasciatori dei «Paesi partecipanti»; incontri con i consulenti per la sicurezza nazionale, nei quali preparare «le raccomandazioni per i leader degli Stati»; e, infine, l’attuazione di un piano condiviso con i capi di Stato di governo. Il problema è che il programma prescinde dal dialogo con lo zar e che quest’ultimo, consolidate le fortificazioni difensive delle sue truppe nel Donbass, non è apparso disposto a trattare. Anzi, pare aver indurito le sue posizioni, anche sull’export del grano, al punto che il ministro turco degli Esteri, Hakan Fidan, ieri ha confermato che intende discutere la questione con i suoi omologhi russo, Sergej Lavrov, e ucraino, Dmytro Kuleba. Un segnale positivo è la notizia che la nave Joseph Schulte è arrivata in sicurezza nel Bosforo, navigando nel corridoio aperto dalle forze di Kiev nel Mar Nero: è la prima imbarcazione ucraina a lasciare un porto nazionale dallo scorso 16 luglio.Certo, come nota il quotidiano di largo Fochetti, se il Cremlino si arroccasse e, al contrario, i suoi interlocutori privilegiati, in primis la Cina, accogliessero la soluzione tripartita promossa da Kiev, Vladimir Putin si ritroverebbe isolato. E, forse, sarebbe costretto a cedere. Al momento, è dura immaginare come finirà questa guerra «imprevedibile». Così l’ha definita Jake Sullivan, consigliere alla sicurezza nazionale di Biden, interpellato sul report dei servizi segreti: «Non posso parlarne», ha tagliato corto. «Noi stiamo facendo il possibile per sostenere l’Ucraina». Le cui speranze, tuttavia, sono appese al «coraggio dei soldati». Un po’ poco. Anche perché, sul campo, rimane lo stallo. La cronaca dei combattimenti è ogni giorno uguale a sé stessa: esplosioni a Mosca, con temporanea chiusura dello spazio aereo; incendio a un terminal petrolifero di Novorossiysk; attacchi nel Donetsk; scontri a Zaporizhzhia; due caccia giapponesi decollati dopo l’avvistamento di velivoli russi sullo stretto di Tsushima, che separa l’isola nipponica dalla Corea del Sud. Mentre l’autocrate bielorusso, Alexander Lukashenko, minaccia di nuovo il ricorso al nucleare, «se Polonia, Lituania, Lettonia» aggredissero Minsk.La sensazione è che la guerra d’attrito sia entrata nella sua fase di congelamento. Sullo sfondo, c’è la politica interna della superpotenza che alimenta lo sforzo bellico ucraino. Negli Usa si avvicinano le elezioni 2024 e i dem non hanno intenzione di regalare un assist ai repubblicani. Non si potrebbe vendere all’opinione pubblica un secondo tracollo stile Afghanistan, ma neppure pretendere un appoggio a oltranza agli astronomici esborsi per le armi spedite alla resistenza. Senza contare che, con la Germania locomotiva d’Europa che annaspa, il Vecchio continente è minacciato da una recessione che a Washington non conviene aggravare. Come sempre, a orientare le scelte sono gli interessi, più che il senso di giustizia, il rispetto dell’indipendenza o l’ammirazione per la resilienza degli svantaggiati.Attenderemo al varco i raffinati analisti animati da nobili ideali, i quali, dopo averci catechizzati su pace e condizionatori, sull’obbligo morale di sostenere gli ucraini in lotta «per i nostri valori», con la stessa sicumera, al momento opportuno, ci spiegheranno: occorre realismo, nell’interesse di una tregua si dovranno accettare dei compromessi. Gli stessi che, magari, potevano essere raggiunti tanti mesi e, soprattutto, tanti morti fa.
«Haunted Hotel» (Netflix)
Dal creatore di Rick & Morty arriva su Netflix Haunted Hotel, disponibile dal 19 settembre. La serie racconta le vicende della famiglia Freeling tra legami familiari, fantasmi e mostri, unendo commedia e horror in un’animazione pensata per adulti.