- Sbarchi continui a Lampedusa, mentre la Ocean Viking continua a premere per arrivare in Europa. Le Ong scrivono a Giuseppe Conte per dettare la linea sui porti. Così si ritorna all'immigrazione incontrollata.
- Tornano le vecchie abitudini: silenzio sull'accoltellatore. Ha colpito a Milano al grido di «Allah akbar»: non fa notizia.
Lo speciale comprende due articoli.
Traffico ripreso in grande stile al porto di Lampedusa, dove nelle ultime due settimane sono arrivati ben 570 migranti. Una situazione di totale caos, con l'hotspot siciliano al limite dello scoppiare e continui sbarchi di barconi con centinaia di persone che affollano l'isola. Un'imbarcazione è giunta all'attracco con 102 migranti e alla conta va aggiunto anche il gommone di ieri, arrivato a mezzogiorno, con altri 50, all'ingresso della area marina protetta, e un altro barchino ancora con altri 13.
In questo marasma, la Ocean Viking, nave di Sos Méditerranée e Medici senza frontiere, due giorni fa ha soccorso in due interventi distinti 109 migranti, chiedendo un un porto sicuro dove sbarcare. All'annuncio hanno risposto le autorità libiche, che hanno assegnato il porto di Homs, ma secondo le Ong, la Libia «come costantemente stabilito dall'Unhcr, non è un porto sicuro». La Ocean Viking ha quindi chiesto un'alternativa e di fatto per ora resta in zona Sar libica in attesa di procedere ad altri soccorsi. Ma non è finita qui. Un'altra barca, questa volta di legno, con 45 migranti a bordo, ha lanciato una richiesta di soccorso ad Alarm Phone, la piattaforma che aiuta i migranti nel mediterraneo. «Dicono di essere in mare già da due giorni (tre, ndr) e di non avere acqua potabile», scrivono su Twitter quelli di Alarm Phone, che verso le 10:40 di ieri si sono messi in contatto con l'imbarcazione. «Una donna incinta perde sangue e necessita di cure mediche urgenti». Quindi il sollecito: «Un'operazione di salvataggio deve essere avviata immediatamente!».
Nel frattempo tredici tra le più importanti organizzazioni non governative che si occupano dell'assistenza nel Mediterraneo hanno scritto al premier Giuseppe Conte perché si faccia promotore di un cambio di passo nel corso del suo secondo mandato con il nuovo governo giallorosso. Cosa ne sarà delle politiche di Matteo Salvini, volte a frenare il fenomeno incontrollato dell'immigrazione e che hanno portato risultati comprovati? A giudicare dai fatti sono già state messe in un cassetto per aprire i porti.
Il documento «Governo dell'immigrazione. Non si ricominci da capo né si improvvisi», redatto appunto da Cooperazione in rete, chiede che il presidente del Consiglio si faccia promotore di una mozione parlamentare che «modifichi il precedente impegno a non sottoscrivere» il Global Compact.
Le Ong stesse ammetto che non«tutti gli immigrati fuggono dalla guerra, dalle calamità, dalla fame. Occorre prenderne atto». Per questo è necessario ristabilire «precise e chiare» regole per gli ingressi, «nel rispetto dei diritti umani e della dignità della persona». Questa secondo le 13 Ong è la via «maestra per combattere l'irregolarità e per permettere un'adeguata accoglienza e integrazione. Solo l'apertura di ingressi regolari può legittimare opzioni politiche di fermezza contro l'immigrazione incontrollata».
Nel documento rivolto a Conte anche il tema dei partenariati internazionali: «La via intrapresa dall'Italia e dall'Unione europea degli accordi con i principali paesi di provenienza e di transito dei migranti dovrà essere rafforzata e perfezionata in una prospettiva di lungo termine, non a senso unico ma a reale vantaggio reciproco, con positive ricadute sulla popolazione e lo sviluppo delle comunità». In sostanza si punterebbe sulla garanzia del «diritto di non essere obbligato a emigrare». Per questo la cooperazione internazionale, nelle «sue articolazioni nazionali e internazionali, può avere un ruolo primario a sostegno di questo processo».
La situazione di emergenza va inserita nello scenario futuro, in cui la popolazione africana raddoppierà nei prossimi trent'anni arrivando a 2,5 miliardi. Sul banco degli imputati c'è prima di tutto il trattato di Dublino, la cui riforma, nonostante l'urgenza, è incagliata nei meccanismi di veto del Consiglio europeo, in cui è necessario il voto unanime.
Tornano le vecchie abitudini: silenzio sull’accoltellatore
Il ventitreenne yemenita che, inneggiando ad Allah, ha aggredito con un'arma da taglio un soldato alla stazione Centrale di Milano è riuscito a colpire il militare, ma non l'attenzione dei giornali.
Ieri, l'edizione nazionale di Repubblica non solo non proponeva la notizia in prima pagina, ma la relegava a un trafiletto in fondo a pagina 18. L'edizione milanese aveva sì un richiamo in prima (ci mancherebbe), ma nel titolo alludeva genericamente di un uomo che «accoltella militare in Centrale». Per scoprire il possibile movente jihadista bisognava andarsi a leggere il catenaccio dell'articolo, a pagina 7.
Taglio basso di prima sul Corriere, che però ha avuto il merito di specificare: «Ferisce un soldato nel nome di Allah». Nessuna traccia del fattaccio sul Fatto (cartaceo)... Ma se bisogna tentare il gioco di prestigio di Avvenire, tanto vale non dare affatto la notizia, proprio come ha fatto il quotidiano diretto da Marco Travaglio.
Sul taglio basso della prima pagina del giornale della Cei, ieri campeggiava questo titolo: «Straniero aggredisce. Straniero lo cattura».
Per carità, a pagina 11 la testata ha ammesso con i lettori che un uomo aveva assalito un soldato in stazione a Milano, urlando «Allah akbar». Ma il focus non era che nel capoluogo lombardo si fosse verificato un atto di microterrorismo, perpetrato da un ragazzo arrivato in Europa dalla Libia ed espulso dalla Germania per le sue simpatie islamiste. Nessun allarme, nessuno stupore per il fatto che il gesto di un presunto jihadista avesse fatto capolino sul territorio di una nostra metropoli (peraltro non nuova a episodi allarmanti: nel 2016, in stazione Centrale, era transitato anche il terrorista della strage di Berlno, Anis Amri, poi ucciso dai poliziotti in uno scontro a fuoco a Sesto San Giovanni).
Il punto, per Avvenire, è che il ventitreenne yemenita Mahamad Fathe, che ha sfiorato la giugulare dell'alpino in servizio davanti la stazione meneghina per l'operazione «Strade sicure», è stato subito fermato da un altro immigrato, un senegalese di 52 anni che ha aiutato le forze dell'ordine a bloccare l'aggressore. È questo che la direzione ha ritenuto doveroso enfatizzare in prima pagina: per uno straniero che prova ad ammazzare un militare inneggiando alla jihad perché vuole conquistarsi «il paradiso di Allah», si trova subito un altro straniero eroe.
Per carità: tanto di cappello al senegalese per il coraggio dimostrato. Ma possibile che per il quotidiano dei vescovi italiani non significhi niente che Fathe fosse arrivato nel nostro Paese nel 2017 su un barcone partito dalle coste libiche? Ricevuto nei nostri porti aperti e poi, dopo la cacciata dalla Germania, rientrato nel Mantovano con la scusa di una domanda di protezione internazionale? Dietro tutto questo non c'è un dato politico? Il gesto del cinquantaduenne del Senegal pareggia i conti? Facciamo finta che non sia successo niente e «restiamo umani»?
- La Procura di Reggio Emilia ha deciso di spacchettare l'inchiesta sugli affidi facili Si aprono nuovi filoni grazie alle numerose segnalazioni arrivate negli ultimi due mesi.
- Il Tg 3 mostra un'email della segretaria di Claudio Foti che contiene gli incassi monstre sulle terapie dei piccoli. Una parte dei soldi girata all'associazione di cui fanno parte gli assistenti sociali emiliani.
- Vent'anni fa abbiamo assistito alle stesse storie di abusi inventati e riti satanici Un meccanismo che ho denunciato da tempo e su cui va fatta definitiva chiarezza.
Lo speciale contiene tre articoli
I demoni sono così tanti che di inchieste ne servono due. La prima è l'ormai celebre «Angeli e demoni» condotta dalla Procura di Reggio Emilia grazie al lavoro della pm Valentina Salvi e del procuratore Marco Mescolini. Adesso è in arrivo una sorta di «Angeli e demoni bis, che nasce dallo spacchettamento delle indagini.
Il fatto è che questo: da quando l'inchiesta è esplosa, nonostante il silenzio assordante della gran parte dei mezzi di informazione, in Emilia Romagna hanno cominciato a piovere decine e decine di nuove denunce. Si sono fatti avanti genitori, avvocati, associazioni: persone che da tempo segnalano il malfunzionamento del sistema di gestione dei minori, e che ora finalmente hanno trovato la possibilità di avere giustizia.
Come abbiamo raccontato nei giorni scorsi, la Procura reggiana ha passato a quella di Modena il fascicolo riguardante la vicenda di una bimba di Mirandola data in cura a Nadia Bolognini quando già la terapeuta si trovava ai domiciliari. Per quella storia ci sono tre nuovi indagati (la Bolognini stessa, la responsabile del Servizio minori dell'Unione Comuni modenesi area nord Federica Pongiluppi e Romina Sani Brenelli, responsabile della casa famiglia Madamadorè di Parma) per abuso d'ufficio, che si aggiungono ai 29 già indagati in precedenza.
In buona sostanza, tutto il materiale di inchiesta fino al 27 giugno scorso fa parte di «Angeli e demoni», mentre tutte le segnalazioni arrivate dopo faranno parte dell'inchiesta bis.
Come scrive il Corriere della Sera, due dei nuovi esposti sono stati presentati dall'avvocato ferrarese Patrizia Micai. «Il tribunale dei minorenni deve capire che la cosa è della massima urgenza e che l'aspettativa è altissima», ha detto il legale. Le due nuove segnalazioni finiranno nel secondo filone dell'inchiesta: «La prima», spiega il Corriere, «al fine di chiarire l'iter che ha portato un padre a non potere più vedere i suoi tre figli dopo la separazione dalla moglie, la seconda per fare luce sulle motivazioni per le quali due genitori possono incontrare il loro bimbo, allontanato quando aveva 10 mesi, solo alla presenza degli operatori».
Nel frattempo, sulla questione affidi è intervenuta con decisione la Lega dell'Emilia Romagna, tramite il capogruppo in Regione Stefano Bargi. Il Carroccio ha depositato ieri la richiesta, al presidente della «Commissione speciale di inchiesta sistema tutela minori», di convocare in audizione i vertici regionali del sistema dei servizi sociali.
I leghisti chiedono che vengano convocate e ascoltate «in commissione e in diretta streaming», un bel po' di persone, a cominciare dallo scrittore Carlo Lucarelli, presidente della Fondazione emiliano romagnola vittime dei reati. Poi Elena Buccoliero, Direttrice della Fondazione emiliano romagnola vittime dei reati; Maria Clede Garavini, Garante per l'infanzia e l'adolescenza emiliana; Luigi Fadiga (Garante emiliano fino al 2016); Filomena Albano, Garante nazionale per l'infanzia; Fausto Nicolini, direttore dell'Ausl di Reggio Emilia e Gino Passarini, responsabile del servizio Politiche sociali e socio educative dell'Emilia Romagna.
Inoltre, la Lega chiede di convocare, tra gli altri, il sindaco di Bibbiano attualmente agli arresti, Andrea Carletti, e il giornalista Pablo Trincia, autore dell'inchiesta Veleno.
«È evidente come questa nostra richiesta di audizione di figure cardine nella gestione dei servizi sociali nella nostra regione discenda dalla poca fiducia nei confronti dei vertici Pd di questa Commissione speciale, considerando come nell'inchiesta sugli affidi illegali della Val d'Enza figurino non pochi esponenti del Pd. dal sindaco di Bibbiano, agli ex sindaci di Cavriago e di Montecchio, al direttore generale dell'Ausl reggiana, per tacere di certi operatori», dice Stefano Bargi. «Del resto gli ultimi sviluppi dell'indagine “Angeli e demoni" stanno facendo emergere come tutta l'Emilia Romagna, e non solo la Val d'Enza, sia, in realtà, stata infettata dal sistema degli affidi illeciti. Ed è altrettanto noto a tutti come nel sistema Val d'Enza, epicentro dello scandalo, i livelli dell'amministrazione fossero connessi in modo inestricabile con quelli politici e anche ideologici».
Il giro d’affari di Hansel e Gretel «150.000 euro per 18 minorenni»
Le cifre sono incredibili: quasi 150.000 euro l'anno per seguire una ventina di bambini. Il documento lo ha scovato Luca Ponzi, giornalista del Tg3 dell'Emilia Romagna, ed è una bomba. Non solo perché mostra quanti soldi fruttasse la gestione dei minorenni a Bibbiano e dintorni, ma anche perché svela un giro di denaro che è - per lo meno - decisamente poco chiaro.
I numeri che abbiamo citato sono contenuti in una email inviata nell'aprile del 2018 da Cinzia Salemi, segretaria del Centro studi Hansel e Gretel, al fondatore Claudio Foti. Per prima cosa, questa mail testimonia - come nota anche il giudice del Tribunale del riesame - che Foti era a conoscenza degli incassi della sua associazione e non totalmente estraneo alle questioni economiche come vorrebbe far credere.
La Salemi è la persona che, come specifica sempre il riesame, tiene in contatti con i servizi sociali di Bibbiano, ovvero quelli che forniscono i rimborsi spese per le terapie tramite denaro pubblico.
Nella mail, la Salemi illustra a Foti alcune possibilità di gestione del denaro, allegando anche alcuni prospetti fatti a mano, un po' alla buona ma efficaci. Il primo prospetto prevede terapie da 135 euro l'ora (cioè la cifra fissata al centro La Cura di Bibbiano) per 18 bambini, con 4 incontri da un'ora al mese nell'arco di un anno (vengono calcolati 10 mesi, escludendo dicembre e agosto, mesi di vacanza). Sommando i soldi ricavati dagli incontri mensili con i piccoli agli incassi derivanti da «supervisione» e «formazione», più le terapie per altri 4 bimbi, si arriva a un totale di 144.000 euro all'anno. Niente male, visto che si tratta di un solo paese. Provate a immaginare di estendere il business anche ad altre città (magari Modena e Parma) e vi renderete conto che, alla fine dell'anno, i guadagni non sono poi così bassi, anzi.
Oltre a questo primo prospetto, però, ce ne sono altri. La Salemi, infatti, suggerisce a Foti di aumentare «il costo orario delle terapie per esempio da 135 a 180 euro l'ora». Di questi 180 euro, solo 60 andrebbero all'operatore che si occupa effettivamente della terapia. Dei denari restanti, una parte finirebbe alla Sie, ovvero la srl fondata da Foti per gestire le sue attività. «Sie avrebbe un margine di profitto di 3980 euro al mese», scrive la segretaria. La donna propone anche un aumento minore, 160 euro, che consentirebbe - tutto compreso - di incassare in un anno 166.400 euro.
Le cifre, tuttavia, non sono il punto centrale. Da questa email emergono almeno due dettagli fondamentali. Per prima cosa, fa impressione vedere come i bimbi in terapia siano ridotti a cifre su un foglio, un numero utilizzato per conteggiare i possibili incassi. Si parla di ore di terapia solo nella prospettiva di trasformale in guadagni. E infatti si pianifica il lavoro a tavolino per un anno intero, come se a tutti i minori dovesse per forza andar bene lo stesso modello.
Poi c'è un'altra questione: il percorso dei soldi. Nella mail si parla esplicitamente di un contributo da versare all'associazione Rompere il silenzio. Tale contributo, ipotizza Cinzia Salemi, può arrivare tramite una cooperativa chiamata Si può fare oppure, qualora i costi delle terapie aumentassero, direttamente tramite la Sie, cioè la società di Foti. E qui viene il bello.
Di Si può fare è responsabile Romina Sani Brenelli (ora indagata a Modena). Costei è la donna a cui è stata affidata la bimba di Mirandola la cui vicenda ha portato all'apertura di un nuovo fascicolo dell'inchiesta. Questa bimba era stata mandata prima in terapia al centro La Cura di Bibbiano, poi direttamente da Nadia Bolognini (moglie di Foti), grazie a un provvedimento dell'Unione Comuni modenesi area nord del 3 luglio scorso, quando la terapeuta era già agli arresti. Guarda un po': quel provvedimento prevedeva un aumento dei costi da 135 a 170 euro l'ora. La Sani Brenelli, inoltre, fa parte del direttivo dell'associazione Rompere il silenzio. Ed ecco l'altro particolare determinante: nel direttivo dell'associazione c'è pure Francesco Monopoli, dei servizi sociali dell'Unione Val d'Enza, strettissimo collaboratore di Federica Anghinolfi. Proviamo a riepilogare: i soldi pubblici incassati per le terapie finiscono in parte alla società di Foti e in parte all'associazione di cui Foti fa parte assieme ad affidatari di bambini e operatori dei servizi sociali, cioè quelli che il denaro pubblico lo distribuiscono. Il passaggio è contorto ma inquietante.
Non stupisce che la segretaria di Foti ragioni di aumentare i costi quasi dando per scontato che i servizi sociali di Bibbiano accettino le nuove tariffe: del resto fanno parte delle stesse associazioni. Un bel giro d'amici, non c'è che dire.
Francesco Borgonovo
Tutto nasce dal «sistema Modena»
Idea popolo e libertà
L'inchiesta Angeli e Demoni della Procura di Reggio Emilia mostra impietosamente la trama di vicende che purtroppo si ripetono uguali da vent'anni. Con gli stessi demoni che replicano la tragica storia dei «diavoli della Bassa modenese» prima e delle maestre presunte pedofile di Rignano Flaminio poi.
Vent'anni fa presentai al ministro della Giustizia, Oliviero Diliberto, una interrogazione parlamentare - firmata come vicepresidente della Camera - chiedendo come fosse stato possibile che i quattro minori Covezzi fossero stati sottratti alla famiglia, accusata di non aver vigilato sulle loro «gite notturne» a base di riti satanici e smembramento di bambini nei cimiteri. Diliberto mi chiese cortesemente di aspettare un'altra settimana prima di ottenere una risposta (che non arrivò mai). Era stata Valeria Covezzi (oggi trentenne), dopo un tempestoso incontro con la psicologa Valeria Donati, a confidare al suo affidatario che i genitori abusavano di lei e dei suoi fratelli. Ancora oggi, nonostante l'assoluzione definitiva dei genitori, la Covezzi continua pubblicamente a sostenere che i riti satanici e lo squartamento di decine di bambini sono realmente accaduti. Non potevo immaginarlo, allora. Ma adesso so, leggendo le carte dell'inchiesta «Angeli e Demoni» che a Reggio Emilia, a distanza di vent'anni, è scattato lo stesso meccanismo. Ci sono bambini che hanno subito il lavaggio del cervello in base a una strategia comune di psicologi e affidatari (come capitato a Serena di Mirandola, allontanata da casa per ragioni economiche) perché raccontassero al Tribunale dei minorenni le solite storie di diavoli e abusi.
Di più: ora sappiamo che il metodo dello psicoterapeuta Claudio Foti - arrestato nell'ambito dell'inchiesta «Angeli e Demoni» e sostenitore della tesi che il 75% dei bambini italiani sono in qualche modo abusati - è stato applicato sia nella bassa modenese che a Rignano Flaminio che a Reggio Emilia, e purtroppo è stato insegnato in questi anni nelle scuole di formazione dei magistrati e degli assistenti sociali e addirittura nelle università cattoliche.
Mi aspetto di essere ascoltato dalla Procura della Repubblica di Modena a seguito dell'esposto che ho presentato lo scorso anno su queste vicende, non soltanto per quanto riguarda l'attività dei servizi della Val d'Enza ma anche su quanto accaduto a Modena. E, soprattutto, sulle terribili conseguenze che hanno avuto per le famiglie e l'equilibrio dei minori il fatto di averli convinti, costruendo falsi ricordi, di essere stati abusati e complici di atroci delitti.
Carlo Giovanardi
- Una coppia inglese perde la custodia del bimbo autistico perché si rifiuta di fargli assumere i farmaci blocca pubertà. Negli Stati Uniti chi contesta la transizione dei minorenni viene segnalato alle autorità.
- Nella ricorrenza di San Giuseppe c'è davvero poco da festeggiare: la figura paterna, nell'ultimo anno, è stata attaccata su ogni fronte. E persino cancellata per sentenza.
Lo speciale contiene due articoli
«Non posso nemmeno sopportare l'idea che altre famiglie passino quello che abbiamo passato noi. È stato orrendo». A parlare è una madre inglese: ha raccontato la sua storia al Daily Mail, senza risparmiare i dettagli. Ma ha scelto di rimanere anonima, come tante altre donne nella sua condizione, e adesso capirete il perché. Questa donna ha un figlio adolescente con problemi legati alla sindrome di Asperger e all'autismo. Nel 2015, il ragazzino ha cominciato ad avere gravi problemi: faticava ad andare a scuola, si feriva. Così i genitori lo hanno portato da uno psicoterapeuta.
Durante una seduta, il ragazzo ha detto allo psicologo di essere intenzionato a cambiare sesso. E in quel momento è iniziato il calvario. Su suggerimento del terapista, i genitori hanno portato il figlio alla sede di Leeds della Tavistock Clinic, l'istituto (legato al servizio sanitario nazionale inglese) che si occupa dei minorenni «confusi sul loro genere».
Gli specialisti del Tavistock non sono andati molto per il sottile. Non si sono concentrati sull'autismo e l'Asperger, ma hanno spinto da subito per il cambio di sesso. Hanno prescritto al quindicenne i farmaci per il blocco della pubertà. I genitori, però, non erano d'accordo. Avevano letto che questi medicinali possono avere controindicazioni notevoli, e possono danneggiare lo sviluppo degli adolescenti. Così, nel 2017, hanno deciso di non mandare più il figlio alla Tavistock Clinic. Non l'avessero mai fatto. Sei mesi dopo, la famiglia ha appreso che il figlio non sarebbe tornato a casa. La scuola si era rivolta ai servizi sociali, segnalando i genitori. Gli insegnanti, racconta la madre, «erano preoccupati perché saltava le lezioni, andava in bagno, si tagliava e diceva che mamma e papà non sostenevano il suo desiderio di diventare una ragazza. La scuola e gli assistenti sociali hanno preso ciò che nostro figlio ha detto come vangelo. Ma considerando che è autistico, la sua percezione è filtrata dalla lente dell'autismo».
Ci sono voluti alcuni mesi (e la testimonianza di un amico di famiglia a favore dei genitori) prima che il ragazzo autistico potesse finalmente fare ritorno a casa. Ad altri genitori, tuttavia, è andata peggio. Il Daily Mail racconta che, nel 2018, «almeno tre bambini sono stati presi in carico dai servizi sociali perché i loro genitori si opponevano al cambio di sesso».
Situazioni analoghe si verificano negli Stati Uniti. Public Discourse, la rivista del Witherspoon Institute di Princeton, New Jersey (un centro di ricerca di orientamento conservatore molto attento alle problematiche legate al gender) nelle ultime settimane ha raccolto le testimonianze di cinque madri di minorenni intenzionati a cambiare sesso. Anche queste donne hanno scelto di rimanere anonime, ma le loro vicende sono piuttosto eloquenti. «Sono rimasta scioccata quando mia figlia di tredici anni mi ha detto di essere il figlio transgender», dice una delle mamme americane. Anche sua figlia aveva problemi legati all'autismo (come un terzo circa dei giovanissimi che si rivolgono alla clinica del gender britannica).
«L'ho portata da un medico specializzato nei temi legati al gender», continua la donna, «alla ricerca di una guida esperta. Invece, il medico ha accettato la sua nuova identità e mi ha detto che devo riferirmi a mia figlia con pronomi maschili, chiamarla con un nome maschile e comprarle una fascia contenitiva per appiattire i suoi seni».
L'aspetto più sconvolgente di questa testimonianza, però, è un altro. «I genitori come», spiega la madre americana, «devono rimanere anonimi. Dobbiamo difendere la privacy dei nostri figli e affrontiamo ripercussioni legali se i nostri nomi vengono rivelati. I genitori che non supportano l'identità di genere dei propri figli rischiano di essere denunciati ai Servizi di protezione dell'infanzia e rischiano di perdere la custodia dei figli. Nel New Jersey, il dipartimento dell'Istruzione incoraggia ufficialmente le scuole a segnalare tali genitori».
Già: i genitori che esprimono dubbi sul cambio di sesso dei propri figli minorenni vengono segnalati ai servizi sociali. Lo scorso novembre è accaduto anche in Texas. Il protagonista di questa bruttissima storia è Jeff Younger, colpevole di essersi opposto al cambio di sesso del figlio di sei anni, che si «identifica come femmina» da quando ne ha tre. Younger si stava separando dalla moglie e la donna lo ha accusato di maltrattare il piccolo poiché non supportava il suo desiderio di cambiare sesso. Younger ha fatto presente che il piccino dichiarava di «sentirsi femmina» solo in presenza della madre, ma non c'è stato nulla da fare. La moglie ha ottenuto un'ordinanza restrittiva, e Jeff rischia di perdere del tutto la possibilità di vedere suo figlio.
Ecco che cosa accade quando l'ideologia domina. Se si decide che cambiare sesso è «un diritto» del bambino, chi si oppone diventa un genitore degenere. Anche se sta semplicemente proteggendo suo figlio.
Oggi si celebra il funerale del papà
Oggi, San Giuseppe, dovrebbe essere la festa del papà. Quest'anno, tuttavia, sarebbe molto più opportuno celebrare il funerale del padre, il cui decesso è stato certificato negli ultimi mesi. I negozi, in questi giorni, si riempiono di bigliettini, libretti e accessori destinati ai genitori maschi, ma è una fiera dell'ipocrisia, perché la nostra società ha fatto di tutto per liberarsi della figura paterna.
Domenica, a Roma, si è tenuta la ventunesima edizione del Daddy's pride, «l'unica marcia al mondo dei papà separati». Varie associazioni hanno sfilato per chiedere - tra le altre cose - l'approvazione del ddl Pillon sull'affido condiviso. Questi padri chiedono che i loro diritti siano riconosciuti, vogliono poter condividere con le ex mogli l'educazione dei propri figli. Eppure, oggi, chi parla di affido condiviso viene trattato come un pericoloso reazionario, come un fanatico che vuole «tornare al Medioevo» e discriminare le donne. Aprire bocca in difesa dei padri non si può. è vietato.
Ma c'è anche molto di peggio. Il 4 luglio scorso, la Corte d'appello di Napoli ha di fatto abolito il padre per sentenza. I giudici hanno stabilito che un bambino può avere «due madri» fin dalla nascita. Se le donne condividono «il progetto della maternità», sono entrambe mamme. Anche la donna che non ha partorito il figlio, ha spiegato la Corte, è a tutti gli effetti il «secondo genitore» del piccolo. Del povero padre - cioè dell'uomo che ha fornito il liquido seminale indispensabile per la procreazione - si può tranquillamente fare a meno. Grazie alla fecondazione eterologa due donne possono servirsi di un donatore anonimo che poi sparisce dalla scena, come se non fosse mai esistito. La stessa parola padre, ormai, ha completamente perso di significato.
Qualche settimana fa i giornali di mezzo mondo si sono occupati del caso di una donna inglese che, sfruttando le leggi a tutela dei trans, si è fatta identificare come uomo sui documenti ufficiali. Poi, con la fecondazione assistita, ha messo al mondo un figlio. A quel punto ha preteso di essere riconosciuta ufficialmente come «padre» del piccolo.
Cose simili sono accadute anche negli Stati Uniti, dove di recente è capitato che una donna - dopo aver iniziato il percorso per cambiare sesso - sia rimasta incinta. Quando ha partorito, la ex signora non aveva più il seno, sfoggiava una barba rigogliosa e si presentava come papà.
Questa è la situazione in cui ci troviamo. La famiglia naturale - quella composta da padre e madre - è sotto attacco in quasi tutto l'Occidente (e non solo). Il maschio viene per lo più presentato come la causa di ogni male. Il padre viene cancellato con un tratto di penna oppure modificato chirurgicamente.
Tutti i valori associabili all'archetipo del padre sono considerati negativi e pericolosi. I diritti sacrosanti dei genitori maschi vengono negati. E allora, dite, che cosa si dovrebbe festeggiare? Quella di oggi è, a tutti gli effetti, la celebrazione di un'estinzione. La festa del papà è diventata un rito funebre. Un funerale molto strano, per altro, perché un sacco di gente ride e appare molto soddisfatta.





