2019-09-19
Il mercato degli schiavi è già ripreso
Sbarchi continui a Lampedusa, mentre la Ocean Viking continua a premere per arrivare in Europa. Le Ong scrivono a Giuseppe Conte per dettare la linea sui porti. Così si ritorna all'immigrazione incontrollata.Tornano le vecchie abitudini: silenzio sull'accoltellatore. Ha colpito a Milano al grido di «Allah akbar»: non fa notizia. Lo speciale comprende due articoli.Traffico ripreso in grande stile al porto di Lampedusa, dove nelle ultime due settimane sono arrivati ben 570 migranti. Una situazione di totale caos, con l'hotspot siciliano al limite dello scoppiare e continui sbarchi di barconi con centinaia di persone che affollano l'isola. Un'imbarcazione è giunta all'attracco con 102 migranti e alla conta va aggiunto anche il gommone di ieri, arrivato a mezzogiorno, con altri 50, all'ingresso della area marina protetta, e un altro barchino ancora con altri 13. In questo marasma, la Ocean Viking, nave di Sos Méditerranée e Medici senza frontiere, due giorni fa ha soccorso in due interventi distinti 109 migranti, chiedendo un un porto sicuro dove sbarcare. All'annuncio hanno risposto le autorità libiche, che hanno assegnato il porto di Homs, ma secondo le Ong, la Libia «come costantemente stabilito dall'Unhcr, non è un porto sicuro». La Ocean Viking ha quindi chiesto un'alternativa e di fatto per ora resta in zona Sar libica in attesa di procedere ad altri soccorsi. Ma non è finita qui. Un'altra barca, questa volta di legno, con 45 migranti a bordo, ha lanciato una richiesta di soccorso ad Alarm Phone, la piattaforma che aiuta i migranti nel mediterraneo. «Dicono di essere in mare già da due giorni (tre, ndr) e di non avere acqua potabile», scrivono su Twitter quelli di Alarm Phone, che verso le 10:40 di ieri si sono messi in contatto con l'imbarcazione. «Una donna incinta perde sangue e necessita di cure mediche urgenti». Quindi il sollecito: «Un'operazione di salvataggio deve essere avviata immediatamente!». Nel frattempo tredici tra le più importanti organizzazioni non governative che si occupano dell'assistenza nel Mediterraneo hanno scritto al premier Giuseppe Conte perché si faccia promotore di un cambio di passo nel corso del suo secondo mandato con il nuovo governo giallorosso. Cosa ne sarà delle politiche di Matteo Salvini, volte a frenare il fenomeno incontrollato dell'immigrazione e che hanno portato risultati comprovati? A giudicare dai fatti sono già state messe in un cassetto per aprire i porti. Il documento «Governo dell'immigrazione. Non si ricominci da capo né si improvvisi», redatto appunto da Cooperazione in rete, chiede che il presidente del Consiglio si faccia promotore di una mozione parlamentare che «modifichi il precedente impegno a non sottoscrivere» il Global Compact.Le Ong stesse ammetto che non«tutti gli immigrati fuggono dalla guerra, dalle calamità, dalla fame. Occorre prenderne atto». Per questo è necessario ristabilire «precise e chiare» regole per gli ingressi, «nel rispetto dei diritti umani e della dignità della persona». Questa secondo le 13 Ong è la via «maestra per combattere l'irregolarità e per permettere un'adeguata accoglienza e integrazione. Solo l'apertura di ingressi regolari può legittimare opzioni politiche di fermezza contro l'immigrazione incontrollata». Nel documento rivolto a Conte anche il tema dei partenariati internazionali: «La via intrapresa dall'Italia e dall'Unione europea degli accordi con i principali paesi di provenienza e di transito dei migranti dovrà essere rafforzata e perfezionata in una prospettiva di lungo termine, non a senso unico ma a reale vantaggio reciproco, con positive ricadute sulla popolazione e lo sviluppo delle comunità». In sostanza si punterebbe sulla garanzia del «diritto di non essere obbligato a emigrare». Per questo la cooperazione internazionale, nelle «sue articolazioni nazionali e internazionali, può avere un ruolo primario a sostegno di questo processo». La situazione di emergenza va inserita nello scenario futuro, in cui la popolazione africana raddoppierà nei prossimi trent'anni arrivando a 2,5 miliardi. Sul banco degli imputati c'è prima di tutto il trattato di Dublino, la cui riforma, nonostante l'urgenza, è incagliata nei meccanismi di veto del Consiglio europeo, in cui è necessario il voto unanime. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/il-mercato-degli-schiavi-e-gia-ripreso-2640420532.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="tornano-le-vecchie-abitudini-silenzio-sullaccoltellatore" data-post-id="2640420532" data-published-at="1758082133" data-use-pagination="False"> Tornano le vecchie abitudini: silenzio sull’accoltellatore Il ventitreenne yemenita che, inneggiando ad Allah, ha aggredito con un'arma da taglio un soldato alla stazione Centrale di Milano è riuscito a colpire il militare, ma non l'attenzione dei giornali. Ieri, l'edizione nazionale di Repubblica non solo non proponeva la notizia in prima pagina, ma la relegava a un trafiletto in fondo a pagina 18. L'edizione milanese aveva sì un richiamo in prima (ci mancherebbe), ma nel titolo alludeva genericamente di un uomo che «accoltella militare in Centrale». Per scoprire il possibile movente jihadista bisognava andarsi a leggere il catenaccio dell'articolo, a pagina 7. Taglio basso di prima sul Corriere, che però ha avuto il merito di specificare: «Ferisce un soldato nel nome di Allah». Nessuna traccia del fattaccio sul Fatto (cartaceo)... Ma se bisogna tentare il gioco di prestigio di Avvenire, tanto vale non dare affatto la notizia, proprio come ha fatto il quotidiano diretto da Marco Travaglio. Sul taglio basso della prima pagina del giornale della Cei, ieri campeggiava questo titolo: «Straniero aggredisce. Straniero lo cattura». Per carità, a pagina 11 la testata ha ammesso con i lettori che un uomo aveva assalito un soldato in stazione a Milano, urlando «Allah akbar». Ma il focus non era che nel capoluogo lombardo si fosse verificato un atto di microterrorismo, perpetrato da un ragazzo arrivato in Europa dalla Libia ed espulso dalla Germania per le sue simpatie islamiste. Nessun allarme, nessuno stupore per il fatto che il gesto di un presunto jihadista avesse fatto capolino sul territorio di una nostra metropoli (peraltro non nuova a episodi allarmanti: nel 2016, in stazione Centrale, era transitato anche il terrorista della strage di Berlno, Anis Amri, poi ucciso dai poliziotti in uno scontro a fuoco a Sesto San Giovanni). Il punto, per Avvenire, è che il ventitreenne yemenita Mahamad Fathe, che ha sfiorato la giugulare dell'alpino in servizio davanti la stazione meneghina per l'operazione «Strade sicure», è stato subito fermato da un altro immigrato, un senegalese di 52 anni che ha aiutato le forze dell'ordine a bloccare l'aggressore. È questo che la direzione ha ritenuto doveroso enfatizzare in prima pagina: per uno straniero che prova ad ammazzare un militare inneggiando alla jihad perché vuole conquistarsi «il paradiso di Allah», si trova subito un altro straniero eroe. Per carità: tanto di cappello al senegalese per il coraggio dimostrato. Ma possibile che per il quotidiano dei vescovi italiani non significhi niente che Fathe fosse arrivato nel nostro Paese nel 2017 su un barcone partito dalle coste libiche? Ricevuto nei nostri porti aperti e poi, dopo la cacciata dalla Germania, rientrato nel Mantovano con la scusa di una domanda di protezione internazionale? Dietro tutto questo non c'è un dato politico? Il gesto del cinquantaduenne del Senegal pareggia i conti? Facciamo finta che non sia successo niente e «restiamo umani»?