2020-08-24
Armando Siri: «Tutti i soldi buttati nei bonus valevano la flat tax generale»
Il senatore leghista Armando Siri: «Hanno scelto la via dell'assistenzialismo e dell'allarmismo per tenersi le poltrone. Negazionista? Io guardo i dati: gli ospedali sono semivuoti».Armando Siri, senatore della Lega, già sottosegretario alle Infrastrutture e Trasporti nel precedente governo gialloverde, tra gli artefici della proposta di flat tax leghista, ha organizzato con Vittorio Sgarbi un recente convegno al Senato sul coronavirus, dando voce a scienziati e intellettuali che hanno osato sollevare dubbi sulla gestione politica dell'emergenza e su un certo allarmismo mediatico. Risultato: partecipanti e organizzatori si sono ritrovati addosso l'incredibile accusa di «negazionismo», la parola che indica l'infame menzogna di chi nega l'orrore della Shoah.Senatore Siri, che cos'ha pensato quando ha letto di essere nientemeno che un «negazionista»?«È uno svilire la parola stessa, è un mancare di rispetto a una pagina di storia terribile e alle sue vittime. Per giunta, affibbiarla per mera strumentalizzazione politica a un'iniziativa che non ha nulla di pseudo-negazionista, ma anzi voleva essere realista, è veramente assurdo. I “negativi" (non dirò: i “negazionisti") sono quelli che raccontano una storia che non è vera, quelli che negano che da settimane per fortuna le terapie intensive sono pressoché vuote».Se comprendo bene, lei sostiene che la bussola sia stata smarrita da tempo.«Si sta frantumando il perimetro di consuetudini, regole e valori su cui si è fondata la Repubblica. La Costituzione nel dopoguerra ha rappresentato il miglior compromesso possibile tra capitalismo, comunismo, religione. La sensazione è che gli equilibri che reggevano le dinamiche politiche, civili e sociali non ci siano più. Si sta consumando una metamorfosi, siamo nel momento della dissoluzione e non sappiamo ancora quali saranno i nuovi punti fermi».E il coronavirus come ha inciso su questo processo?«Abbiamo assistito al catastrofico sovvertimento dello stato di diritto provocato da una sorta di disturbo delirante paranoide delle istituzioni. Esse hanno perso la loro funzione di equilibrio perché si sono dissolte le ragioni dell'equilibrio per cui hanno preso vita. Non esiste più una minaccia comunista, non esiste più il capitalismo produttivo e ideologico (sostituito dalla finanza speculativa priva di ideologia) e si è indebolita la forza dei precetti religiosi». In questo sfilacciamento generale qualcuno ha scommesso sulla paura…«La campagna di paura che stanno portando avanti con disinvoltura politici, mass media, scienziati e personaggi pubblici a vario livello è uno dei sintomi inequivocabili di questa crisi. Le istituzioni per prendere le decisioni aspettano di leggere il titolo sul giornale o la trasmissione della sera anziché avere una propria bussola con la quale orientarsi e orientare il Paese. È un gatto che si mangia la coda. Se la gente ha paura, le istituzioni e l'intero sistema fatto di organismi politici, istituzionali e media, debbono mantenere la calma e rasserenare gli animi. Non aizzarli. Non si è mai visto un governo in un momento di incertezza gridare “al lupo al lupo" con la complicità della tv pubblica e del sistema di informazione nazionale». Vede giunta addirittura a questo livello la fragilità istituzionale italiana?«Le istituzioni non dovrebbero essere puro ornamento al servizio del delirio collettivo del momento, come qualcuno pensa, anche qualche mio collega in Parlamento. Le istituzioni sono un presidio stabile a salvaguardia dei valori e dei principi previsti dalla Costituzione. Il principio dell'inviolabilità della libertà personale non può in nessun caso soccombere di fronte a qualsivoglia necessità di nuova e temporanea organizzazione sociale. Invece pare che nulla riesca a fermare questa deriva autoritaria e irrazionale di retrogusto orwelliano». Si può uscire da questo tunnel emotivo?«Se per fortuna le terapie intensive sono vuote, e, come sostenuto da molti clinici e virologi autorevoli, non si riempiranno più per il Covid, assistiamo invece all'aumento esponenziale di utilizzo di psicofarmaci nella popolazione. Il dato pre Covid era già allarmante, 12 milioni di italiani fanno uso di ansiolitici, antidepressivi, sonniferi. Cinque milioni fanno uso di stupefacenti per non parlare dell'abuso di alcol. Lo stato d'animo degli individui è in perenne condizione di prostrazione e angoscia per il futuro».Da liberale, però, mi interrogo anche su ciò che ciascun individuo possa fare. Non basta dare la colpa a ciò che ci circonda o alle circostanze esterne.«Dobbiamo accettare la sfida con noi stessi, perché mai come oggi la sfida è soprattutto personale. È da qui che dobbiamo partire per giungere a una società fondata sulla consapevolezza che ogni cosa che costituisce il mondo intorno a noi è per la gran parte la conseguenza diretta di nostre azioni o omissioni quotidiane. Il punto è che pochissimi sono disposti a mettersi in discussione davvero senza tirare in ballo il giudizio, la penitenza e la punizione. Non è mai tramontata, ahimé, l'epoca del capro espiatorio. Purtroppo spesso, quando pensiamo al cambiamento, intendiamo quello degli altri».Sta delineando uno scenario in cui serve una ricostruzione in primo luogo morale?«La politica, per ritornare a essere importante nella vita sociale, deve lavorare a nuove basi filosofico-ideologiche, altrimenti sarà spazzata via dalla povertà. Non la povertà economica, che nella maggior parte dei casi è una diretta conseguenza della povertà di idee, progetti, desideri e ambizioni: ma la povertà spirituale, appunto».Occorre dunque ripartire da scuola e lavoro?«Ritorniamo a dare valore e dignità a mestieri, arti e professioni. Oggi in certe zone del Paese è quasi impossibile trovare una segretaria che abbia fatto una scuola che l'abbia formata per questo mestiere così importante. Allora dobbiamo optare per la laureata che magari aspirava a chissà quale avventurosa professione e deve accontentarsi di quello che passa il convento. Ma così accumuliamo insoddisfazione e frustrazione. Abbiamo bisogno di periti, di meccanici, fabbri, falegnami, calzolai e tantissime professioni di alta specializzazione nei campi in cui per tradizione il nostro Paese esprime eccellenza». Il suo giudizio complessivo sul comportamento del governo?«L'atteggiamento è stato quello di una estromissione del Parlamento. Badi bene: io sono anche favorevole all'elezione diretta del capo dello Stato come titolare del potere esecutivo: ma il problema di questo governo è che nessuno l'ha votato».Avviciniamoci all'attualità economica.«Con una premessa. In economia parlare del prossimo decreto, sussidio, bonus e sgravio a cui aggrapparci per tirare a campare è un esercizio scontato ma deleterio. È un continuare a trascinarci in una sorta di realtà alterata dallo stato di confusione in cui ci troviamo. Ogni cosa fatta oggi non ha più alcun significato nelle 24 ore successive». Serve quindi un'ambizione infinitamente maggiore, intuisco.«Serve lucidità e razionalità per stabilire un cronoprogramma a medio-lungo termine che preveda realizzazione di infrastrutture in tempi e modalità uguali a quelle del Ponte di Genova (che dovrebbe essere la normalità), una coraggiosa riforma fiscale con una flat tax al 15% capace di sollecitare i consumi interni, attrarre investimenti, rimettere in moto la produzione e di conseguenza l'occupazione».La sensazione è che il governo abbia sminuzzato e spezzettato i miliardi spesi da marzo a oggi, non determinando alcun impatto reale nell'economia.«Con i soldi spesi negli ultimi decreti, la flat tax avremmo potuto realizzarla per tutti. Ora servirebbe anche una profonda pacificazione fiscale e sociale che consenta a tutti i cittadini di sanare la posizione pregressa pagando una quota minima, chiudendo le pendenze fiscali e consentendo allo Stato di incassare denaro che altrimenti non incasserebbe mai».Ha la sensazione che quei 100 miliardi siano stati dissipati dal governo?«Hanno scelto la via dell'assistenzialismo e dei sussidi, attaccandosi alla mammella dello Stato, anziché mettere in atto una vera azione di sostegno a produzione, investimenti e lavoro. Diceva Gramsci che la storia insegna, ma non ha scolari: avendo dimenticato le lezioni del passato, il governo ha disperso i soldi in mille rivoli, vanificando la portata dello stanziamento. Tra cinque anni ci guarderemo indietro, e scopriremo che da quei soldi, in termini di risultati, non sarà venuto nulla. Resteranno solo i debiti da pagare».Altre priorità?«Serve una legge che tagli davvero la burocrazia in ambito edilizio e produttivo. Non ci siamo chiesti alla fine chi pagherà questi sussidi se continuiamo a mettere i bastoni tra le ruote a chi vuole lavorare per migliorare la propria condizione». È destinata a prevalere la forza frenante della pubblica amministrazione? «Questo è uno dei principali motivi per i quali la gente ha perso l'entusiasmo e non riesce più a credere in un futuro prospero in Italia. L'attuale pubblica amministrazione è il nemico numero uno della prosperità e della crescita economica e sociale del paese. Purtroppo, la forza coercitiva e bloccante della pubblica amministrazione è direttamente proporzionale alla debolezza della visione politica». Non posso non chiederle della vicenda giudiziaria che la riguarda.«Non ho nulla da commentare. Sono fiducioso e mi aggrappo con tutta la forza a quell'idea alta di giustizia che ho maturato fin da ragazzino, quando non avendo neppure da mangiare, con una mamma malata e un fratello più piccolo da accudire, trovavo conforto e speranza per il futuro leggendo la nostra Costituzione nella biblioteca comunale sotto casa».
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