2023-03-27
Tutti i problemi di Erdogan in vista delle elezioni presidenziali turche
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Recep Tayyip Erdogan (Ansa)
Tra gli appuntamenti elettorali più significativi di quest’anno figura senza dubbio quello delle elezioni generali in Turchia: qui si voterà il 14 maggio, per rinnovare la Grande assemblea nazionale turca e soprattutto per eleggere il presidente. Recep Tayyip Erdogan, insomma, si gioca la riconferma. E la strada per lui si profila tutt’altro che in discesa. Lo scorso 13 marzo, Reuters riferiva che “nuovi sondaggi mostrano che il candidato presidenziale dell'opposizione turca, Kemal Kilicdaroglu, è in vantaggio sul presidente Tayyip Erdogan di oltre dieci punti percentuali in vista delle elezioni del 14 maggio”. Capo della coalizione Alleanza della nazione, Kilicdaroglu risulta il più solido dei candidati presidenziali che si accingono a sfidare Erdogan. Attenzione: dare il sultano come già sconfitto è sicuramente un errore. Erdogan è ininterrottamente presidente della Turchia dall’agosto del 2014, dopo essere stato premier (altrettanto ininterrottamente) dal marzo 2003. Scalzarlo dal potere, insomma, non è impresa esattamente facile. Tuttavia non sono pochi i grattacapi che si sta trovando ad affrontare. In primis, la Turchia – anche in conseguenza del controverso accordo siglato nel 2016 con l’Unione europea – ospita oggi sul proprio territorio oltre tre milioni di rifugiati siriani. Una situazione che ha prodotto impatti negativi sul piano socioeconomico, alimentando conseguentemente il malcontento verso il presidente in carica. In secondo luogo, negli ultimi anni il quadro economico turco ha mostrato notevoli debolezze (dall’inflazione dilagante a un pesante deficit commerciale): un dato di fatto preoccupante, che ha spinto Erdogan a cercare la distensione con alcuni dei suoi vecchi avversari internazionali (dall’Arabia Saudita a Israele, passando per l’Egitto). In terzo luogo, è chiaro che sulle prossime elezioni incombono gli impatti del devastante terremoto che ha colpito a febbraio Siria e Turchia. Secondo quanto recentemente riferito da Politico, l’impopolarità del sultano è aumentata dopo quella catastrofe. Una catastrofe che alle urne potrebbe costargli cara. In particolare, si rimproverano al presidente le politiche finora condotte sul fronte dell’edilizia. “Se c'è qualcuno responsabile di questo processo, è Erdogan. È questo partito di governo che da vent’anni non prepara il Paese a un terremoto”, ha tuonato Kilicdaroglu nelle ore successive al disastro. Insomma, per ora la partita è aperta. E, forse, la principale domanda da porsi è: come potrebbe cambiare la politica estera turca nel caso Erdogan venisse sconfitto? Difficile dirlo al momento. Ricordiamo che il sultano ha portato avanti una linea piuttosto spregiudicata sul piano internazionale. Pur appartenendo alla Nato, Ankara, negli ultimi anni, ha rafforzato decisamente i propri legami con Mosca nel settore della difesa e dell’energia. Non solo. Erdogan e Vladimir Putin hanno messo efficacemente in piedi meccanismi di collaborazione anche su dossier in cui nutrono interessi divergenti (dalla Siria alla Libia). Pochi giorni fa, Kilicdaroglu, pur criticando l’attacco russo all’Ucraina, ha detto che, se diventerà presidente, manterrà rapporti con il Cremlino basati su “stabilità” e “fiducia”.
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