
La dignità della donna, il rispetto del pianeta, i diritti umani: principi indiscutibili che vengono gonfiati a dismisura fino a deformarli. L’ecologia è una bella scienza se non degenera in controllo sociale. E la sacrosanta lotta al razzismo non deve essere a senso unico.Il verbo stroppiare è una variante popolare e molto poco usata del verbo storpiare. Praticamente non esiste al di fuori di questo proverbio. In questo proverbio però è assolutamente perfetto, perché stroppiare assona vagamente a scoppiare: le cose scoppiano se ci metti dentro troppa roba. Scoppiano le borse, le valigie, e i sacchi della spesa fino a che esiste la possibilità di fare la spesa. Scoppiano le discariche, scoppiano e traboccano i cassonetti, per la gioia dei cinghiali di Roma, in passato capitale dell’arte e della cultura, oltre che del cattolicesimo, attualmente capitale dei cinghiali. I miei complimenti ai sindaci. Scoppiano le ideologie, a metterci dentro troppa roba, e questo, bisogna riconoscerlo, è una tragica caratteristica della sinistra. Si parte da un concetto giusto e inattaccabile, per esempio la dignità della donna, la dignità del pianeta, la dignità di ogni persona umana indipendentemente dall’orientamento sessuale che dichiara o dall’odio più o meno forte che ha per il suo corpo e per il proprio sesso, si gonfia fino a rendere il tutto enorme e deforme. Odio per gli uomini, divinizzazione del pianeta e disprezzo per l’uomo che ne è considerato il cancro, distruzione delle protezioni giuridiche alla famiglia e annientamento delle libertà più elementari (inclusa quella di non amare i comportamenti anti igienici) sono l’esasperata conseguenza di battaglie in origine sensate.Il concetto del troppo che stroppia è egregiamente spiegato nel libro Di bene in peggio. Istruzioni per un successo catastrofico di Paul Watzlawick pubblicato da Feltrinelli nella collana Universale economica. Il libro definisce «ipersoluzione» la soluzione eccessiva che crea un problema analogo se non più grave di quello che si voleva risolvere. È necessario per realizzare questo geniale scopo una mente assolutamente manichea, gloriosamente spaccata sul concetto di bene assoluto e male assoluto, assolutamente incapace di comprendere il concetto di equilibrio, e anche quello di logica, ma soprattutto assolutamente incapace di comprendere il concetto di giustizia. L’ecologia sarebbe potuta essere una bella scienza, se fosse rimasta una scienza, un onesto sistema per migliorare i paesaggi, la qualità dell’aria e la vita. È diventata un tripudio di certezze che spiega come la mia 500 diesel inquini più dei jet privati grazie ai quali i protettori del clima si riuniscono, che le bombe in Ucraina non producono anidride carbonica mentre un condizionatore d’aria ne produce in quantitativi indecenti. È lo stesso tipo di scienza che ha spiegato che un caffè preso in piedi non contagia terrificanti malattie, mentre, se sorbito da seduti, potrebbe sterminare un quartiere. Anche il concetto di vaccinazione è stato una bella idea e in alcuni casi ha funzionato molto bene. Ora è diventato un dogma assoluto oltre che una fonte di reddito eccezionale per le case farmaceutiche, al punto tale che non c’è bisogno di grandi vocazioni al complottismo per cominciare a sospettare maledette connivenze, continui conflitti di interesse.Che una miocardite, una sclerosi a placche, una trombosi del seno venoso siano meglio di una malattia che, se curata correttamente, non con tachipirina e vigile attesa, ha lo 0,2% di mortalità è un’idea interessante, ma opinabile, ed è stata venduta come un dogma, trattando da poveri scemi o direttamente da feccia dell’umanità tutti quelli che si sono permessi di avere qualche dubbio. Che aver iniettato in donne incinte farmaci che avevano scritto sul foglietto illustrativo frasi come «non sono conosciuti gli effetti a distanza», «non sono conosciuti gli effetti sulla genotossicità», «non è stato provato su donne incinte» e quindi non si raccomanda l’uso su donne incinte, è stato un sistema bizzarro per aumentare la salute del mondo.Anche che la razza ariana esistesse e fosse superiore ai suoi tempi è stato un dogma. Il salasso come cura per ogni malattia inclusa l’anemia è andato anche per la maggiore e ha portato innumerevoli pazienti all’incontro con il Creatore, ma all’epoca era la scienza. Anche l’antirazzismo era partito benino, ma poi si è impantanato. Secondo Martin Luther King il razzismo consiste nel dare un peso diverso alla stessa azione a seconda di chi la commette. Faccio un esempio terra terra. Un signore di origine africana ammazza a picconate tre signori di origine non africana: nessun personaggio pubblico al funerale dei tre. Un italiano durante una rissa colpisce con un pugno un uomo di origine africana che per accidente cade sbattendo malamente la testa sul marciapiede e muore. Ben due ministri vanno al suo funerale. Secondo le obsolete teorie di Martin Luther King, questa sarebbe una forma di razzismo. Oggi è la norma, esattamente come la norma è che giovani di origine africana o, più raramente asiatica, restino deliziosamente impuniti dopo gesti di vandalismo o di aggressione a poliziotti e insegnanti. Anche i 60 milioni di euro, circa 12 miliardi di vecchie lire, elargiti a una simpatica imprenditrice di origine africana lasciano perplessi. Una signora italiana con lo stesso curriculum li avrebbe ottenuti? Con la stessa entusiastica carenza di controlli? L’avvocato Emanuele Fusi nel saggio White Guilt riporta una spaventosa serie di episodi di violenza, sia verbale sia fisica, ai danni di bianchi innocenti e racconta l’assoluta indifferenza che accompagna questi episodi. Abbiamo marciato e scritto in tanti contro i crimini dei sudafricani bianchi. Perché nessuno marcia e scrive per i crimini dei sudafricani neri? Nel suo libro Un colpevole quasi perfetto il saggista francese Pascal Bruckner riporta un episodio terrificante. In un saggio sottoposto alla rivista Sociology of race and ethnicity nel 2018, tre accademici americani, turbati dalla crisi del dibattito intellettuale negli Stati Uniti, propongono alla redazione alcuni passi scelti dal Mein Kampf sostituendo «ebrei» con «bianchi». Alla fine l’articolo viene rifiutato ma non prima di aver ricevuto il plauso di numerosi accademici che interpretano lo studio alla lettera: «Questo articolo ha le potenzialità per fornire un contributo forte e originale all’analisi dei meccanismi che rafforzano l’adesione a prospettive suprematiste bianche».I tre autori, Peter Boghossian, James Lindsay e Helen Pluckrose, si erano già fatti notare per altre bufale, molte delle quali erano state accettate da riviste di alto livello: una riguardava «la cultura dello stupro fra i cani che frequentano i parchi canini di Portland (Oregon)»; un’altra del 2017 sosteneva che il pene è una costruzione sociale e che è responsabile, fra le altre cose, del surriscaldamento globale. Questi ricercatori sono stati minacciati di licenziamento dalle loro università e sono stati accusati di fare il gioco della destra. È interessante notare come la cosa fondamentale sia non fare gioco della destra, che quindi è per antonomasia il male assoluto. Bisognerebbe regalare Di bene in peggio agli alfieri della sinistra e del politicamente corretto. Potrebbe essere un testo utile. Dello stesso autore un altro libro imperdibile ha l’interessante titolo Istruzioni per rendersi infelici, ma perché tediare dei professionisti con un manuale per dilettanti?
La poetessa russa Anna Achmatova. Nel riquadro il libro di Paolo Nori Non è colpa dello specchio se le facce sono storte (Getty Images)
Nel suo ultimo libro Paolo Nori, le cui lezioni su Dostoevskij furono oggetto di una grottesca polemica, esalta i grandi della letteratura: se hanno sconfitto la censura sovietica, figuriamoci i ridicoli epigoni di casa nostra.
Obbligazionario incerto a ottobre. La Fed taglia il costo del denaro ma congela il Quantitative Tightening. Offerta di debito e rendimenti reali elevati spingono gli operatori a privilegiare il medio e il breve termine.
Alice ed Ellen Kessler nel 1965 (Getty Images)
Invece di cultura e bellezza, la Rai di quegli anni ha promosso spettacoli ammiccanti, mediocrità e modelli ipersessualizzati.
Il principe saudita Mohammad bin Salman Al Sa'ud e il presidente americano Donald Trump (Getty)
Il progetto del corridoio fra India, Medio Oriente ed Europa e il patto difensivo con il Pakistan entrano nel dossier sulla normalizzazione con Israele, mentre Donald Trump valuta gli effetti su cooperazione militare e stabilità regionale.
Le trattative in corso tra Stati Uniti e Arabia Saudita sulla possibile normalizzazione dei rapporti con Israele si inseriscono in un quadro più ampio che comprende evoluzioni infrastrutturali, commerciali e di sicurezza nel Medio Oriente. Un elemento centrale è l’Imec, ossia il corridoio economico India-Medio Oriente-Europa, presentato nel 2023 come iniziativa multinazionale finalizzata a migliorare i collegamenti logistici tra Asia meridionale, Penisola Arabica ed Europa. Per Riyad, il progetto rientra nella strategia di trasformazione economica legata a Vision 2030 e punta a ridurre la dipendenza dalle rotte commerciali tradizionali del Golfo, potenziando collegamenti ferroviari, marittimi e digitali con nuove aree di scambio.
La piena operatività del corridoio presuppone relazioni diplomatiche regolari tra Arabia Saudita e Israele, dato che uno dei tratti principali dovrebbe passare attraverso porti e nodi logistici israeliani, con integrazione nelle reti di trasporto verso il Mediterraneo. Fonti statunitensi e saudite hanno più volte collegato la normalizzazione alle discussioni in corso con Washington sulla cooperazione militare e sulle garanzie di sicurezza richieste dal Regno, che punta a formalizzare un trattato difensivo bilaterale con gli Stati Uniti.
Nel 2024, tuttavia, Riyad ha firmato in parallelo un accordo di difesa reciproca con il Pakistan, consolidando una cooperazione storicamente basata su forniture militari, addestramento e supporto politico. Il patto prevede assistenza in caso di attacco esterno a una delle due parti. I governi dei due Paesi lo hanno descritto come evoluzione naturale di rapporti già consolidati. Nella pratica, però, l’intesa introduce un nuovo elemento in un contesto regionale dove Washington punta a costruire una struttura di sicurezza coordinata che includa Israele.
Il Pakistan resta un attore complesso sul piano politico e strategico. Negli ultimi decenni ha adottato una postura militare autonoma, caratterizzata da un uso esteso di deterrenza nucleare, operazioni coperte e gestione diretta di dossier di sicurezza nella regione. Inoltre, mantiene legami economici e tecnologici rilevanti con la Cina. Per gli Stati Uniti e Israele, questa variabile solleva interrogativi sulla condivisione di tecnologie avanzate con un Paese che, pur indirettamente, potrebbe avere punti di contatto con Islamabad attraverso il patto saudita.
A ciò si aggiunge il quadro interno pakistano, in cui la questione israelo-palestinese occupa un ruolo centrale nel dibattito politico e nell’opinione pubblica. Secondo analisti regionali, un eventuale accordo saudita-israeliano potrebbe generare pressioni su Islamabad affinché chieda rassicurazioni al partner saudita o adotti posizioni più assertive nei forum internazionali. In questo scenario, l’esistenza del patto di difesa apre la possibilità che il suo richiamo possa essere utilizzato sul piano diplomatico o mediatico in momenti di tensione.
La clausola di assistenza reciproca solleva inoltre un punto tecnico discusso tra osservatori e funzionari occidentali: l’eventualità che un’azione ostile verso Israele proveniente da gruppi attivi in Pakistan o da reticolati non statali possa essere interpretata come causa di attivazione della clausola, coinvolgendo formalmente l’Arabia Saudita in una crisi alla quale potrebbe non avere interesse a partecipare. Analoga preoccupazione riguarda la possibilità che operazioni segrete o azioni militari mirate possano essere considerate da Islamabad come aggressioni esterne. Da parte saudita, funzionari vicini al dossier hanno segnalato la volontà di evitare automatismi che possano compromettere i negoziati con Washington.
Sulle relazioni saudita-statunitensi, la gestione dell’intesa con il Pakistan rappresenta quindi un fattore da chiarire nei colloqui in corso. Washington ha indicato come priorità la creazione di un quadro di cooperazione militare prevedibile, in linea con i suoi interessi regionali e con le esigenze di tutela di Israele. Dirigenti israeliani, da parte loro, hanno riportato riserve soprattutto in relazione alle prospettive di trasferimenti tecnologici avanzati, tra cui sistemi di difesa aerea e centrali per la sorveglianza delle rotte commerciali del Mediterraneo.
Riyadh considera la normalizzazione con Israele parte di un pacchetto più ampio, che comprende garanzie di sicurezza da parte statunitense e un ruolo definito nel nuovo assetto economico regionale. Il governo saudita mantiene l’obiettivo di presentare il riconoscimento di Israele come passo inserito in un quadro di stabilizzazione complessiva del Medio Oriente, con benefici economici e infrastrutturali per più Paesi coinvolti. Tuttavia, la gestione del rapporto con il Pakistan richiede una definizione più precisa delle implicazioni operative del patto di difesa, alla luce del nuovo equilibrio a cui Stati Uniti e Arabia Saudita stanno lavorando.
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