2023-03-13
Turismo addio? Così l'Italia rischia di buttare il suo petrolio (nonostante il boom delle prenotazioni)
Turisti nel centro di Firenze (Ansa)
Ristoranti già chiusi alle dieci di sera per mancanza di personale, strutture ricettive con pochi servizi, case vacanza sporche e insicure. Quest’anno si prevede un aumento dei visitatori pari al 12% e oltre la metà di loro arriverà dall’estero. Ma faremo fatica ad accoglierli.Il presidente di Federalberghi Bernabò Bocca: «Ora chi vuol specializzarsi deve andare a Losanna. Le riqualificazioni? Lo Stato ci aiuti».Lo speciale contiene due articoli«Possiamo sederci?», «Mi spiace stiamo chiudendo». Sono appena le 22 di un fine settimana a Roma e questo è il discorso che capita sempre più spesso di intercettare davanti a un ristorante. Le saracinesche calano presto nella Capitale per un motivo da non credersi: manca il personale. Non ci sono camerieri e i cuochi sono contesi a peso d’oro. Così non è insolito che a servire ai tavoli ci siano i figli del proprietario e in cucina, la moglie o un parente. Questo accade mentre il turismo marcia a pieno ritmo. L’istituto Demoskopika prevede per quest’anno, oltre 442 milioni di presenze (+12,2% sul 2022) e 127 milioni di arrivi, con una crescita dell’11,2% sull’anno scorso.Cosa sta accadendo?È come galleggiare sul petrolio ma non avere le trivelle per estrarlo. A più di un mese da Pasqua e in vista dei lunghi ponti del 25 aprile e del 1° maggio, fioccano le prenotazioni nelle località più gettonate. Oltre il 50% arrivano dall’estero. Eppure le strutture fanno fatica a stare dietro alla domanda. È il nostro petrolio ma non sappiamo sfruttarlo. Il boom di turisti interessa soprattutto il Mezzogiorno, complice una primavera che già si fa sentire.Federalberghi Napoli si attende per Pasqua l’80% di camere occupate. In Campania dovrebbero arrivare oltre 6 milioni di turisti.A gran richiesta anche le località del Salento. Il presidente della sezione turismo di Confindustria Lecce e tour operator, Giovanni Serafino, è soddisfatto. Per la primavera, dice, c’è molta domanda da parte di gruppi da tutta Europa, ma anche americani e sud americani, per tour che abbracciano l’intera regione. «Il format più gettonato», spiega, «prevede in genere una settimana da nord a sud della Puglia con tappa fissa a Lecce, per almeno due giorni, alla scoperta del Barocco. Soggiorni mediamente più brevi invece per gli italiani, a cavallo tra il venerdì santo e il lunedì dell’Angelo». Grandi numeri anche per Roma, Firenze, Venezia, Milano. Nella Capitale i visitatori nel 2022 sono più che raddoppiati, superando quota 15 milioni. Secondo l’Ente Bilaterale Turismo del Lazio, gli arrivi complessivi in alberghi e residence della Capitale sono aumentati del 245,22% sul 2021 e un recupero del 74,15% sul 2019. Il turismo di Roma genera quasi il 9% del Pil turistico italiano, per un valore di 7,6 miliardi. Per la Toscana, l’Istituto Demoskopika prevede per quest’anno 49,8 milioni di presenze (+13,4% rispetto al 2022) con 14 milioni di arrivi (+13,5%) e entrate complessive per 14.262 milioni di euro (+26,3% rispetto al 2022).Negli aeroporti si stima un incremento consistente del traffico. Già lo scorso anno, sono transitati 164,6 milioni di passeggeri. Siamo all’85% rispetto ai livelli del 2019. Nel pre Covid erano 193 milioni. Uno scenario positivo se non fosse che l’industria del turismo non riesce a soddisfare in pieno la domanda. Il sistema ha molti punti deboli, dagli alberghi ancorati a vecchie logiche di gestione familiare e incapaci di adeguarsi agli standard internazionali (tranne le grandi catene degli hotel di fascia alta), alla concorrenza selvaggia delle case vacanza che spesso non rispettano le norme di sicurezza e di igiene, all’offerta dei musei e delle gallerie d’arte strutturate in gran parte secondo vecchi criteri espositivi e poco informatizzate, alla carenza di personale nella ristorazione e negli alberghi. A peggiorare le prospettive c’è la questione delle concessioni balneari. Nella sola Emilia Romagna sono a rischio 1.500 piccole imprese a conduzione familiare. Secondo Assoturismo Confesercenti sono oltre 50 mila le posizioni vacanti nelle imprese turistiche. Mancano cuochi, camerieri, barman ma anche receptionist e bagnini. Una situazione paradossale: da un lato si prospetta un aumento della produzione e dei posti di lavoro creati, dall’altro le imprese del settore continuano a registrare carenza di addetti. La difficoltà nel reperire personale qualificato si era manifestata anche prima della pandemia ma ora, con la ripartenza del settore, sta diventando più grave. Per il trimestre febbraio-aprile, che è il periodo di riapertura delle imprese stagionali, si prevede un fabbisogno di circa 210.000 addetti. Le aziende segnalano questa difficoltà nel 34% dei casi, non solo per assenza di qualifiche ma per mancanza di candidati. Una percentuale che sale addirittura al 52% nella ristorazione e nelle altre imprese del turismo è al 26,7%. I profili necessari sono per il 2,6% di professioni con elevata specializzazione, l’81,5% di professioni qualificate (ci sono 10.000 posti da coprire), l’1,3% di addetti specializzati e il 14,6% di personale non qualificato. Non si trovano 18.000 camerieri semplici, 11.000 facchini e 6.000 lavapiatti. Mancano poi contabili (2.500), baristi (2.000), informatici e assistenti reception (1.500), cuochi (1.000) e circa 3.000 bagnini. E dire che alcuni stipendi non sono niente male contrariamente a chi sostiene che sarebbero le scarse retribuzioni a non attrarre i giovani. Per un cameriere semplice si parte da 1.560 euro lordi al mese, per capo cuoco o capo barista la base supera i 1.740 euro mensili, lo stesso per un primo portiere. Assoturismo conclude stimando per le imprese che non riusciranno a reperire tutti gli addetti necessari, una perdita media di fatturato del 5,3%, con conseguente abbassamento degli standard qualitativi e impatti sulla produttività. Tutto a vantaggio della concorrenza straniera.C’è poi la crisi del sistema alberghiero. «Migliaia di alberghi sono in default, il fenomeno è molto più vasto di quanto non lo si voglia far apparire», commenta Giampietro Ferrari, Head of operations per Remax commercial corporate. «La radice della crisi è culturale. La maggior parte delle gestioni e delle proprietà sono familiari e vivono dei clienti abituali. Non c’è stata una evoluzione verso l’ospitalità estera. Oggi il turismo funziona se ha un respiro internazionale. E questo vuol dire adeguarsi a certi standard qualitativi che richiedono investimenti. Un esempio di come si muove il mercato è il Wyndham Hotels e Resorts, il maggiore franchising nel mondo che ha in portafoglio 20 brand e offre ai suoi più assidui clienti una fidelity card per soggiorni gratuiti in tutto il mondo».Non va meglio con le case vacanza che alimentano un mercato selvaggio, senza regole e di bassa qualità. I proprietari non sono soggetti al rispetto degli standard di sicurezza e di igiene, a cui devono sottostare gli alberghi. A Firenze sta dilagando il fenomeno degli studenti che si trasformano in gestori e subaffittano gli appartamenti o i posti letto ai turisti.Carenze si riscontrano anche nella digitalizzazione dell’offerta museale. Stando all’Osservatorio Innovazione Digitale nei Beni culturali del Politecnico di Milano, il 76% dei musei è presente su almeno un profilo dei social network ma solo un museo su quattro (24%), ha un piano strategico per l’innovazione digitale. Anche in questo settore manca il personale specializzato: il 51% dei musei non si avvale di alcun professionista con competenze informatiche. Solo il 9,8% offre la possibilità di una visita virtuale.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/turismo-addio-cosi-l-italia-rischia-di-buttare-il-suo-petrolio-nonostante-il-boom-delle-prenotazioni-2659584864.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="la-nostra-scuola-di-formazione-uneccellenza-persa" data-post-id="2659584864" data-published-at="1678618554" data-use-pagination="False"> «La nostra scuola di formazione un’eccellenza persa» Nei prossimi due anni arriveranno a Roma i grandi marchi dell’industria alberghiera internazionale ma nel frattempo la Capitale offre al turista solo poche strutture moderne in un panorama che è in larga parte risulta un po’ datato. Roma sembra posizionata su un turismo poco spendente ma anche le altre città d’arte non fanno molta differenza. Presidente Bernabò Bocca (Federalberghi) non c’è il rischio che il Paese non riesca ad agganciare il momento favorevole della crescita del turismo? «È vero, le previsioni sulle presenze sono positive sia per la primavera sia per l’estate. Non bisogna perdere questa grande occasione. Il turismo ha dimostrato che in una situazione di normalità, può dare un grosso contributo anche per l’indotto. Non riempe solo le casse degli alberghi, ne beneficia ciò che c’è attorno. Bisogna fare il più possibile per attirare soprattutto nella Capitale, un turista alto spendente. È un discorso che può far storcere il naso a qualcuno ma si rivela vincente per le ricadute in tutti i settori. Milano ha fatto da apripista, sta giocando un campionato per conto proprio ed è decollata. Chi arriva in una città d’arte vuole non solo i servizi dentro l’albergo ma anche dentro la città. E a Roma cosa trova? L’offerta come locali di divertimento serale è scarsa e la città è un perenne cantiere aperto. Inoltre qualsiasi tentativo di vivacizzare la città si scontra con i divieti. Il risultato è che dopo il tramonto ci si sente insicuri a passeggiare perfino nel centro storico». Però anche gli alberghi dovrebbero fare la loro parte. Gran parte risalgono agli anni Settanta e non hanno standard internazionali. «Il turismo non è mai stata una priorità tra le voci del bilancio pubblico. In altri Paesi europei le riqualificazioni degli alberghi vengono aiutate da fondi pubblici. Noi dobbiamo affidarci al credito e sappiamo che le banche non sono mai state tanto generose. I fondi del Pnrr sono importanti. Il miliardo previsto è andato subito via, sono state accettate 3.500 domande a fronte di oltre 7.000 presentate. Questo dimostra che c’è una gran voglia di investire nella ristrutturazione. Ora c’è un nuovo bando di 1,2 miliardi». Bisognava aspettare i fondi del Pnrr per riqualificare il patrimonio alberghiero? «È quello che hanno fatto anche altri settori. I proprietari sono usciti stremati dal Covid e poi hanno dovuto affrontare i rincari energetici. Tanti alberghi che solitamente erano aperti tutto l’anno, hanno dovuto chiudere per i mesi di minor traffico turistico e hanno subito perdite consistenti. Il turismo rappresenta il 10% del Pil e avrebbe diritto ad avere più finanziamenti pubblici, invece hanno avuto la precedenza altri settori. L’alberghiero ha avuto non più del 3% dei fondi del Pnrr». Un altro problema è la carenza di personale. Non sarà perché le retribuzioni sono basse? «Certo, se confrontata al reddito di cittadinanza a cui si sommano i lavoretti al nero, la retribuzione di 1.600-1.700 euro che può dare un albergo, è inferiore. Ma a quanto pare il governo sta cercando di rimettere mano a questo sostegno che è una misura giusta nell’impostazione ma è stata applicata in modo tale da favorire le truffe. Poi c’è stato il fenomeno della trasmigrazione, durante la pandemia, di tanti giovani che hanno lasciato il settore del turismo perché percepito come poco sicuro e hanno trovato un impiego pubblico». La carenza di personale però riguarda soprattutto il personale specializzato. Anche qui gioca a loro favore il reddito di cittadinanza? «Le professionalità più alte mancano, semplicemente perché sono pochissime e contese dai grandi alberghi. Manca in Italia una scuola di formazione. Quella di Stresa che rappresentava un modello, è stata chiusa e ora chi vuole specializzarsi deve andare a Losanna. Il mio gruppo alberghiero ha stipulato una partnership con questo istituto svizzero e i ragazzi che terminano i corsi li impieghiamo nelle strutture». Eppure l’Italia aveva una tradizione di scuola alberghiera che era un vanto internazionale. «Era una eccellenza che è andata persa ma il ministro per il Turismo sta lavorando per ricreare un modello simile».
La nave Mediterranea nel porto di Trapani (Ansa)