2019-01-24
Trump sostiene Guaidò. Maduro ancora resiste: è il momento della spallata
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Il Venezuela, dopo la mossa statunitense di riconoscere ufficialmente il presidente autoproclamato Juan Guaidó, il leader dell'opposizione al regime di Nicolás Maduro, sta entrando in una fase di grande incertezza politica dopo gli anni di caudillismo chavista che hanno distrutto l'economia del Paese. Basti pensare che il prodotto interno lordo è passato dai 334,7 miliardi di dollari nel 2008 ai 96,3 dell'anno scorso, secondo i dati del Fondo monetario internazionale. Tutto questo, nonostante il Venezuela disponesse di più petrolio dell'Arabia Saudita. Contro il dittatore comunista si sono già schierati Brasile, Argentina, Cile, Colombia, Perù, Paraguay, Costa Rica, Guatemala e Canada. A favore Turchia e Russia. Silenzio da Roma. La mossa di Donald Trump ha aiutato a ribadire gli equilibri internazionali già noti. Sulla scia dell'Organizzazione degli Stati americani e della Casa Bianca, altri Paesi hanno riconosciuto l'autoproclamazione di Guaidó (avvenuta nella giornata di commemorazione dei i 61 anni della caduta della dittatura di Marcos Pérez Jiménez): Brasile, Argentina, Cile, Colombia, Perù, Paraguay, Costa Rica, Guatemala e Canada. Soltanto il Messico di Andrés Manuel López Obrador, uno dei pochi presidenti di sinistra al potere oggi nel continente, ha espresso il proprio sostegno al regime chavista, almeno «per il momento», ribadendo il principio di non interferenza nelle questioni interne degli altri Paesi, così come hanno fatto la Bolivia, Cuba e Nicaragua. Lo stesso Nicaragua che da anni protegge Alessio Casimirri, brigatista e amico di Cesare Battisti, che ha addirittura un locale nella capitale nicaraguense Managua Con l'Unione europea che ha espresso sostegno a Guaidó, con Maduro, che ha gridato al golpe yankee, si sono subito schierati i suoi alleati più potenti, Turchia, Russia, che sostengono economicamente (potremmo dire sfruttano, visto il crollo del Pil) il governo di Caracas in cambio di petrolio, come già facevamo con il predecessore Hugo Chávez. In particolare, la Turchia di Recep Tayyip Erdogan, uno dei Paesi strategici della Nato ma che ora guarda anche alla Russia di Vladimir Putin, ha recentemente firmato con il Venezuela un accordo sull'oro (a sottoscriverlo per Caracas è stato il ministro dell'Industria venezuelano Tareck El Aissami, di origini siriano-libanesi, finito nel mirino delle sanzioni americane per «corruzione e traffico di droga»): con la sponda iraniana, Ankara punta ad aggirare la stretta di Washington e «raffinare e certificare» in Turchia il metallo estratto in Venezuela.Però, come fa notare Emiliano Guanella da San Paolo in un'analisi per il centro studi Ispi, senza la Russia e la Cina è impensabile una mozione o un'iniziativa sul Venezuela in sede di Nazioni Unite. Così, a meno di ripensamenti di Vladimir Putin e Xi Jinping che appaiono improbabili, gli Stati Uniti stanno pensando a nuove sanzioni. Trump ha detto che «nessuna azione è esclusa a priori per ottenere un cambio democratico in Venezuela». L'intervento militare a stelle e strisce è impensabile ma diversi deputati del Congresso di Washington, tra cui Rick Scott della Florida, che ha definito Maduro un «terrorista», hanno iniziato a far pressioni sulla Casa Bianca affinché introduca altre strette all'economia venezuelana. Fino a riconoscere il Venezuela come uno Stato sponsor del terrorismo, alla luce dei molti report redatti da Emanuele Ottolenghi, senior fellow del Foundation for defense of democracies, che raccontano i rapporti tra Caracas, Teheran e l'organizzazione terroristica libanese Hezbollah. L'obiettivo Usa potrebbe essere il blocco delle importazioni petrolifere per portare al collasso definitivo l'economia. Tuttavia, sottolinea sempre Guanella, la rottura delle relazioni diplomatiche «provocherebbe seri problemi ai 2.5 milioni di emigrati venezuelani sparsi nei diversi Paesi della regione». Come potranno, per esempio, si chiede l'analista, «ottenere la convalida di un titolo di studio, rinnovare il loro passaporto, chiedere certificati penali o qualsiasi documento necessario per vivere o lavorare nel paese d'accoglienza».Il regime change in Venezuela sembra quindi avvicinarsi. C'è crescente fiducia tra i gestori fondi: il bond Venezuela 2027, benchmark obbligazionario del Paese sudamericano, ha registrato infatti in queste ore il più robusto rialzo dell'ultimo anno, salendo di oltre dieci punti percentuali in poche ore e portandosi sui massimi livelli da maggio del 2018. Il balzo si è intensificato nelle ultime settimane parallelamente al montare delle proteste di piazza contro Maduro. Ma occhi puntati ora sui militari, storicamente al fianco del chavismo e inseriti nei gangli del regime. I vertici stanno per ora con il dittatore ma i soldati semplici, che vedono mogli e figli soffrire la crisi economica, hanno già dato segnali di vicinanza a Guaidó. Dipenderanno anche da loro i tempi della democratizzazione del Venezuela. Infine, attendiamo una presa di posizione del nostro governo: ovviamente a favore del nuovo presidente.