
Il presidente Usa centra l'obiettivo dello storico incontro con il dittatore nordcoreano Kim Jong Un. Secondo la stampa mondiale il tycoon avrebbe dovuto portarci all'Apocalisse. In realtà ha già fatto molto più di Barack Obama.Ho il vago sospetto che il Nobel non glielo daranno. E sarà un errore: perché dopo tanti premi per la pace assegnati in modo simil demenziale (da Yasser Arafat a Barack Obama), quello al presidente Donald Trump potrebbe essere finalmente un premio meritato. I 13 secondi di stretta di mano con il dittatore nordcoreano Kim Jong Un, infatti, hanno segnato una svolta epocale, dopo 70 anni di guerra e crisi. Non a caso siti internet e tv per tutta la giornata di ieri li hanno associati a immagini che sono già nei libri di storia, dalla conferenza di Yalta alla pace di Camp David, da Kennedy-Kruscev a Reagan-Gorbaciov. Troppo? Può darsi. Ma di sicuro il vecchio Donald ha già fatto per la pace del mondo assai più di quello che fece Obama. Solo che a Donald, a differenza di Obama, il Nobel non glielo daranno mai perché non è nero, non s'inchina alla finanza, non parla di green economy e ha persino i capelli arancioni. Dunque premiarlo non è per nulla chic.A Obama (ricordate?) glielo diedero addirittura preventivo. Sulla fiducia (poi tradita). Invece Trump, sulla fiducia, ci aveva già portati alla terza guerra mondiale, alla catastrofe nucleare, all'armageddon con conseguente day after. Basta andare indietro di qualche mese, nel novembre scorso, per trovare il titolo del Newsweek che sentenziava: «Donald potrebbe scatenare un Olocausto nucleare in cinque minuti». I giornaloni italiani mandavano i loro inviati nelle basi militari («Ecco dove si prepara la guerra»), mentre il Congresso americano metteva in discussione, per la prima volta dopo decenni, le prerogative del Comandante in capo: «Se scoppia la terza guerra mondiale, Trump è troppo impulsivo», sostenevano i deputati democratici. In ogni dove spuntavano esperti catastrofisti: «Il mondo condotto verso una guerra, stiamo assistendo al comportamento più spericolato e irresponsabile nella storia del pianeta». Mentre un abate benedettino, tal Notker Wolf, spendeva parole di comprensione per il buon Kim Jong Un («è solo terrorizzato»), individuando tutto il male del mondo nell'unico vero cattivo: The Donald, ovviamente.A ripensare a quei giorni c'è da chiedersi come abbiamo fatto a non ritirarci tutti in un rifugio antiatomico con una buona scorta di acqua e cibo, aspettando l'Apocalisse. Eravamo bombardati da messaggi catastrofici: Trump che ci rovina. Trump che ci devasta, Trump il guerrafondaio, Trump l'irresponsabile, Trump che risponde a tono («Ho un bottone nucleare», dice Kim. «E io ce l'ho più grande del tuo», ribatteva lui), Trump che insulta («piccolo uomo razzo, cagnolino malato»), Trump che minaccia («Se saremo costretti non avremo altra alternativa che distruggere la Corea del Nord»), Trump che muove le navi militari, Trump che alza i toni, Trump che ci porta al baratro a forza di tweet, Trump aggressivo, Trump che vuole far dimenticare i suoi guai scatenando la guerra, Trump malato di mente, Trump pazzo, Trump violento, Trump mal consigliato, Trump che odia, Trump che ama giocare con i missili… E com'è che alla fine da tutto questo intruglio esplosivo non sono uscite catastrofi, morti, stermini, disastri nucleari, ma soltanto una stretta di mano che meriterebbe pure il Nobel per la pace?È possibile perché, anche se nessuno pare averlo ancora imparato, succede sempre così. Da Hitler in giù: i dittatori più orrendi non si fermano con i fiori e le carezze, ma mettendo loro paura. Porgi l'altra guancia è un bellissimo messaggio evangelico, che ci può portare tutti alla pace eterna. Non certo alla pace in terra. Per quest'ultima, Churchill docet, bisogna mostrare i muscoli. Trump l'ha capito e lo applica benissimo. Infatti ha mostrato i muscoli ad Al Baghdadi e l'Isis non c'è più; ha mostrato i muscoli alla Corea ed è arrivato alla pace. E ora sta seguendo la stessa via con i palestinesi (ambasciata a Gerusalemme) e l'Iran. Del resto anche nelle trattative private, nel duro mondo dei tycoon, è così: se ti mostri debole, ti fanno a fette. Se alzi un po' la voce, forse riesci a portare a casa il risultato.Il criterio, per altro, non vale solo nelle trattative economiche o in quelle con i dittatori. Vale sempre. Lo ha dimostrato nelle ultime ore, a casa nostra, Matteo Salvini: avevamo chiesto mille volte a francesi e spagnoli di aprire i loro porti per accogliere gli immigrati, non l'avevano mai fatto. È bastata una prova di forza per costringerli a tornare sui loro passi. E sono sicuro che avrebbe ottenuto lo stesso risultato anche il professor Paolo Savona nelle trattative con l'Europa se non avessero cominciato a massacrarlo sul piano B dell'euro. Come si fa a non capire che la minaccia del piano B sull'euro è l'equivalente della minaccia trumpiana di schiacciare il bottone atomico? Si vis pacem, para bellum, dicevano gli antichi. E noi l'abbiamo scritto, ripetuto, inciso mille volte, abbiamo usato la formula per titolare libri e film. Ma poi ogni volta ce ne dimentichiamo. E così ci illudiamo che le crisi più gravi si risolvano belando come pecore e non ruggendo come Donald. Al quale Donald, è chiaro, nessuno darà mai un Nobel preventivo come a Obama. Ma a conti fatti? Possibile che nessuno ci ripensi? Neppure per un attimo? Il Nobel al ruggito di pace. Sarebbe bello. E forse, per una volta, persino giusto.
Nadia Battocletti (Ansa)
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