2020-01-01
Trump si riorganizza in Africa per mollare Macron
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L'amministrazione Trump potrebbe presto abbandonare i francesi nell'Africa Occidentale. Stando a quanto riportato qualche giorno fa dal New York Times, il Pentagono starebbe infatti considerando di ritirare i propri contingenti militari dall'area: nella fattispecie, il segretario alla Difesa, Mark Esper, avrebbe incaricato AfriCom di preparare un piano in tal senso entro gennaio. Non è tuttavia per il momento chiaro se l'intenzione sia quella di ridurre la presenza militare statunitense in loco o se si voglia attuare addirittura un ritiro completo e definitivo. Allo stato attuale, sono circa settemila i militari americani presenti in Africa, soprattutto nella regione subsahariana, con l'obiettivo di contrastare gruppi islamisti come al Qaeda, Boko Haram e Isis. Ma non è tutto, perché Washington si occupa anche di fornire assistenza alla Francia in zone come il Mali e il Niger: assistenza sotto il profilo logistico, aereo e di intelligence, per un costo complessivo di circa quarantacinque milioni di dollari all'anno.Alla base della nuova linea del Pentagono si riscontrano svariate ragioni. Ragioni innanzitutto di natura geopolitica. Sembra infatti che Esper voglia concentrare le risorse americane in aree internazionali considerate maggiormente sensibili per la sicurezza nazionale statunitense: in particolare, parrebbe che il Pentagono voglia dirigere il proprio impegno soprattutto verso il confronto con Russia e Cina. In secondo luogo, non è affatto escludibile che, con una simile mossa, Donald Trump voglia sferrare una stilettata proprio a Emmanuel Macron. Che i rapporti tra i due leader si siano fatti ultimamente non poco tesi, non è del resto un mistero. E, tra i vari dossier divisivi, l'Africa gioca un ruolo abbastanza rilevante. Basti pensare a quanto sta accadendo in Libia, con gli Stati Uniti che si stanno mostrando sempre più insofferenti verso il generale Khalifa Haftar (spalleggiato invece da Parigi e Mosca). Alla luce di tutto questo, non si può quindi escludere che la Casa Bianca voglia infliggere un sonoro schiaffo all'inquilino dell'Eliseo, lasciandolo nei fatti solo in alcune aree particolarmente pericolose come il Mali, dove - lo scorso novembre - tredici soldati francesi hanno perso la vita a causa di un incidente, nel corso di un'operazione contro un gruppo islamista.Tuttavia, a fianco di queste considerazioni di natura geopolitica, Trump sta probabilmente guardando anche alle elezioni presidenziali del 2020. Ricordiamo infatti che, nel corso della campagna elettorale di tre anni fa, il magnate newyorchese abbia vinto anche grazie alla promessa di bloccare le "guerre senza fine" in cui Washington era rimasta invischiata nei decenni precedenti. In tal senso, un ritiro (anche parziale) dei soldati americani dal territorio africano potrebbe essere funzionale al mantenimento di quella stessa promessa. Non sarà del resto un caso che - come sottolinea sempre il New York Times - il presidente americano abbia intenzione di ridurre la presenza dei soldati statunitensi anche in Medio Oriente (soprattutto in Afghanistan e Iraq).Il punto adesso sarà capire se la linea promossa dal Pentagono troverà adeguato sostegno interno. Se - come abbiamo visto - Trump ha le sue ragioni per approvarla, potrebbero ciononostante emergere alcune criticità: anche all'interno della stessa amministrazione. In primo luogo, non è affatto detto che il Dipartimento di Stato condivida la scelta del Pentagono. Lo scorso novembre, il segretario di Stato, Mike Pompeo, aveva sostenuto la necessità di incrementare gli sforzi contro il jihadismo nel Sahel. In occasione di un meeting della Nato, aveva non a caso dichiarato: «Svilupperemo e coordineremo i nostri sforzi in stretta collaborazione con i Paesi del Sahel». Del resto, non dimentichiamo che - nel dicembre del 2018 - l'allora consigliere per la sicurezza nazionale americano, John Bolton, avesse enunciato una nuova strategia per la presenza statunitense in Africa, volta a contrastare la crescente influenza russa e - soprattutto - cinese in loco. Una strategia fondata principalmente su due pilastri: investimenti economici e lotta al terrorismo. Da quanto emerso negli ultimi giorni, è tuttavia possibile che l'uscita di scena di Bolton (silurato lo scorso settembre) stia determinando un cambio della linea americana in materia di Africa. Un cambio di linea che, qualora Pompeo decidesse di lasciare l'incarico di segretario di Stato per candidarsi al Senato nel 2020, potrebbe divenire ancora più marcato. In secondo luogo, il Pentagono non avrebbe ancora coinvolto il Congresso in questa sua decisione. E non è escludibile che una simile mossa possa suscitare qualche malumore soprattutto da parte dei falchi al Senato. E' comunque interessante rilevare un dato importante: se Trump sembra intenzionato a ridurre la presenza militare americana in Africa, parrebbe comunque interessato a mantenere alto il livello degli investimenti statunitensi nell'area, soprattutto in funzione anticinese. Un anno fa, l'inquilino della Casa Bianca ha infatti creato la U.S. International Development Finance Corporation: un'agenzia che - dotata di un tetto di spesa di sessanta miliardi di dollari - favorisce e incrementa gli investimenti americani nei Paesi a basso o medio reddito, molti dei quali appartenenti alla regione subsahariana.
Giorgia Meloni (Ansa)
Alla vigilia del Consiglio europeo di Bruxelles, Giorgia Meloni ha riferito alle Camere tracciando le priorità del governo italiano su difesa, Medio Oriente, clima ed economia. Un intervento che ha confermato la linea di continuità dell’esecutivo e la volontà di mantenere un ruolo attivo nei principali dossier internazionali.
Sull’Ucraina, la presidente del Consiglio ha ribadito che «la nostra posizione non cambia e non può cambiare davanti alle vittime civili e ai bombardamenti russi». L’Italia, ha spiegato, «rimane determinata nel sostenere il popolo ucraino nell’unico intento di arrivare alla pace», ma «non prevede l’invio di soldati nel territorio ucraino». Un chiarimento che giunge a pochi giorni dal vertice dei «volenterosi», mentre Meloni accusa Mosca di «porre condizioni impossibili per una seria iniziativa di pace».
Ampio spazio è stato dedicato alla crisi in Medio Oriente. La premier ha definito «un successo» il piano in venti punti promosso dal presidente americano Donald Trump, ringraziando Egitto, Qatar e Turchia per l’impegno diplomatico. «La violazione del cessate il fuoco da parte di Hamas dimostra chi sia il vero nemico dei palestinesi, ma non condividiamo la rappresaglia israeliana», ha affermato. L’Italia, ha proseguito, «è pronta a partecipare a una eventuale forza internazionale di stabilizzazione e a sostenere l’Autorità nazionale palestinese nell’addestramento delle forze di polizia». Quanto al riconoscimento dello Stato di Palestina, Meloni ha chiarito che «Hamas deve accettare di non avere alcun ruolo nella governance transitoria e deve essere disarmato. Il governo è pronto ad agire di conseguenza quando queste condizioni si saranno materializzate». In quest’ottica, ha aggiunto, sarà «opportuno un passaggio parlamentare» per definire i dettagli del contributo italiano alla pace.
Sul piano economico e della difesa, la premier ha ribadito la richiesta di «rendere permanente la flessibilità del Patto di stabilità e crescita» per gli investimenti militari, sottolineando che «il rafforzamento della difesa europea richiede soluzioni finanziarie più ambiziose». Ha poi rivendicato i recenti riconoscimenti del Fondo monetario internazionale e delle agenzie di rating, affermando che «l’Italia torna in Serie A» e «si presenta in Europa forte di una stabilità politica rara nella storia repubblicana».
Nel passaggio ambientale, Meloni ha annunciato che l’Italia «non potrà sostenere la proposta di revisione della legge sul clima europeo» se non accompagnata da «un vero cambio di approccio». Ha definito «ideologico e irragionevole» un metodo che «pone obiettivi insostenibili e rischia di compromettere la credibilità dell’Unione».
Fra i temi che l’Italia porterà in Consiglio, la premier ha citato anche la semplificazione normativa - al centro di una lettera firmata con altri 15 leader europei e indirizzata a Ursula von der Leyen - e le politiche abitative, «a fronte del problema crescente dei costi immobiliari, soprattutto per i giovani». In questo ambito, ha ricordato, «il governo sta lavorando con il vicepresidente Salvini a un piano casa a prezzi calmierati per le giovani coppie».
Nel giorno del terzo anniversario del suo insediamento, Meloni ha infine rivendicato sui social i risultati del governo e ha concluso in Aula con un messaggio politico: «Finché la maggioranza degli italiani sarà dalla nostra parte, andremo avanti con la testa alta e lo sguardo fiero».
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