2022-08-11
Trump sfida i magistrati e si prepara al 2024
L’ex presidente si appella al Quinto emendamento e non risponde all’interrogatorio sulla sua presunta frode fiscale. E torna sul blitz in Florida: «Caccia alle streghe». Ancora nessun chiarimento sull’operazione dall’Fbi. Joe Biden: «L’ho saputo dai media».«Ho rifiutato di rispondere alle domande in base ai diritti e ai privilegi concessi a ogni cittadino dalla Costituzione degli Stati Uniti». Con queste parole, si è espresso ieri Donald Trump in una nota, non molto tempo dopo essere arrivato negli uffici della procuratrice generale dello Stato di New York, Letitia James. L’ex presidente doveva essere interrogato sotto giuramento in relazione a un’indagine civile che la James sta conducendo su presunti illeciti commessi dalla Trump Organization. Ore prima di recarsi all’interrogatorio, Trump ne aveva dato annuncio, definendo la procuratrice generale «razzista» e accusando la sua inchiesta di avere delle motivazioni politiche. Ricordiamo che Letitia James appartiene al Partito democratico e che, durante la campagna elettorale che l’avrebbe portata a diventare procuratrice generale nel gennaio 2019, definì Trump un «presidente illegittimo». Alla luce di ciò, l’ex inquilino della Casa Bianca aveva tentato un ricorso, accusando la James di faziosità: un ricorso che, lo scorso maggio, è stato tuttavia respinto dalla giudice distrettuale, Brenda Sannes (nominata da Barack Obama nel 2014). Non si placano intanto le polemiche sul raid condotto lunedì dall’Fbi nella villa di Trump in Florida. Né il Dipartimento di Giustizia né il Bureau hanno rilasciato finora dichiarazioni ufficiali. La Casa Banca, dal canto suo, ha detto che Joe Biden avrebbe appreso dell’accaduto direttamente dai media. Secondo indiscrezioni giornalistiche, sembra probabile che la motivazione del blitz sia da ricondursi all’accusa, secondo cui Trump si sarebbe indebitamente portato a casa dei documenti classificati dopo la fine del mandato presidenziale. Pare inoltre che i federali abbiano impedito ai legali dell’ex presidente di essere presenti durante la perquisizione. «Speriamo che l’Fbi non abbia piazzato prove», ha dichiarato l’ex presidente a tal proposito. La situazione si ingarbuglia. E si scorgono vari fattori a dir poco problematici. In primo luogo, si pone il tema del silenzio del Dipartimento di Giustizia. È vero, c’è chi dice che questo silenzio risulterebbe normale nel corso di un’indagine. Resta però il fatto che quanto accaduto lunedì è un evento mai verificatosi nella storia americana. Ragion per cui sarebbe stato necessario comunicare ufficialmente la motivazione del raid in modo tempestivo. Ciò non è invece accaduto. Fino a ieri sera, quando La Verità è andata in stampa, il Dipartimento di Giustizia restava muto. Un silenzio, si badi bene, che non è stato criticato solo dai repubblicani, ma anche da una testata liberal come il New Yorker. Del resto, ne va della credibilità delle istituzioni. Un secondo aspetto da chiarire è il seguente: veramente Biden non sapeva nulla, come ha detto la Casa Bianca? È un po’ difficile da credere. Essendo il raid di lunedì un evento senza precedenti (un evento, per di più, con potenziali ripercussioni dannose sulle istituzioni americane) è quantomeno improbabile che il procuratore generale, Merrick Garland, non abbia almeno consultato o preventivamente informato il presidente. Anche perché, se davvero Biden avesse appreso tutto dai giornali, significherebbe che la sua amministrazione è attraversata da profonde disfunzionalità. Non si può invece del tutto escludere che il Dipartimento di Giustizia sia «vagamente» politicizzato proprio dall’attuale presidente. Certo: c’è chi con solerzia ci ricorda l’ovvio. E cioè che nessuno - Trump compreso - è al di sopra della legge. Va tuttavia ricordato che nessun ex presidente americano è mai stato sottoposto a indagini o perquisizioni. E questo è accaduto proprio per evitare di indebolire le istituzioni. Richard Nixon ottenne il perdono da Gerald Ford sul Watergate nel 1974, mentre Bill Clinton strinse un accordo nel 2001 con l’Office of the Independent Counsel per non essere incriminato in relazione al caso Lewinsky. Ma il punto veramente significativo risiede nel fatto che Nixon e Clinton non erano rieleggibili, mentre Trump lo è. E, secondo vari sondaggi, ha notevoli chances nel 2024 contro Biden, con cui duellò elettoralmente già nel 2020. Qualcuno dice che in realtà Biden non avrebbe bisogno oggi del mezzo giudiziario, avendo preso ben 7 milioni di voti in più di Trump due anni fa: un ragionamento che tuttavia non funziona. Le elezioni americane non si giudicano sulla base del voto popolare totale, ma sulla base di quello degli Stati chiave. Ebbene, non solo Biden non conquistò tutti gli Stati chiave nel 2020, ma in quelli dove vinse lo fece anche di misura. Si aggiunga poi un altro fattore: come notato dal professor Jonathan Turley su The Hill, le violazioni del Presidential records act (la legge che regola la conservazione dei documenti ufficiali) non sono solitamente affrontate per via penale ma amministrativa. Se dunque il raid è stato veramente condotto per la questione della presunta sottrazione di documenti, si tratterebbe di una misura già in sé sproporzionata, aggravata dal fatto che, a finire nel mirino, è stato un ex presidente: un evento, lo abbiamo detto, senza precedenti nella storia americana. E infine c’è la tempistica. È almeno da febbraio che va avanti questa storia dei documenti classificati. Se c’era tanta urgenza, perché il blitz è stato condotto in pieno agosto, dopo così tanti mesi? A pensar male, verrebbe da credere che sia stato scelto il periodo in cui la campagna elettorale per le Midterm sta entrando nel vivo: un modo, cioè, per colpire così Trump e i repubblicani. Certo è che, se così fosse, la strategia avrebbe (almeno per ora) fatto flop. Alle primarie di martedì in Wisconsin e Connecticut, i candidati sostenuti dall’ex presidente hanno infatti conseguito ottimi risultati. Insomma, tante cose non tornano su questo blitz. E intanto sulla Casa Bianca inizia ad aleggiare uno spettro. Quello dell’abuso di potere.
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